CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26122

Tributi – Reddito d’impresa – Costi di ristrutturazione su fabbricati in leasing – Deducibilità – Piano di ammortamento in funzione della durata del contratto di leasing

Rilevato che

l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna aveva respinto l’appello erariale avverso la sentenza n. 275/2008 della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari in accoglimento del ricorso proposto dalla società J. S.p.A. avverso avviso di accertamento per IVA IRPEG IRAP 2003;

la contribuente resiste con controricorso ed ha depositato memoria difensiva

Considerato che

1. preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di non autosufficienza del ricorso per violazione degli artt. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., posto che a differenza di quanto si sostiene nel controricorso la sentenza è stata sottoposta a specifica impugnazione nel rispetto dell’art. 366, 1 comma,c.p.c. ed avendo la ricorrente corredato l’atto degli elementi essenziali, descrittivi tanto della vicenda fattuale, quanto della vicenda processuale (pagg. 2-9 del ricorso), volti a riassumere ed illustrare le ragioni ed i presupposti della pretesa tributaria, con la conseguenza che il ricorso per cassazione si palesa adeguato a consentire alla Corte di comprendere le censure prospettate fornendo una conoscenza del <<fatto>>, sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, oggetto dei motivi di ricorso di seguito illustrati;

2.1. si lamenta, con il primo motivo di ricorso, violazione di norme di diritto (art. 108, comma 3 TUIR, già art. 74) per avere la CTR erroneamente ritenuto illegittima la ripresa a tassazione di costi di ristrutturazione sostenuti su beni di terzi (fabbricati), acquisiti in locazione finanziaria, dedotti annualmente in funzione dei piani di ammortamento della durata di cinque anni, sostenendo l’Ufficio finanziario che tali costi dovessero essere invece dedotti in funzione della durata dei sottostanti contratti di leasing, pari ad otto anni;

2.2. la doglianza, che attiene, quindi, all’interpretazione dell’Amministrazione in tema di ammortamento delle migliorie su beni altrui, questione già esaminata da questa Corte in più occasioni (cfr. da ultimo Cass. nn. 21065/2018, 6288/2018), è fondata;

2.3. in tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, la deducibilità delle spese relative a più esercizi è subordinata, ai sensi dell’art. 74, 3° co., d.p.r. n. 917 del 1986, all’indicazione degli specifici criteri cui commisurare la durata dell’utilità del bene, al fine di stabilirne la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (cfr. Cass., n. 14326/2009);

2.4. a differenza dell’art. 67, 2° co., d.p.r. n. 917 del 1986, la suindicata norma di cui all’art. 74, 3° co., d.p.r. n. 917 del 1986 non prevede invero alcuna tipizzazione dei criteri di esposizione di tali componenti negativi del reddito, con la conseguenza che la ripartizione pluriennale non può aver luogo semplicemente applicando i criteri legali stabiliti per gli ammortamenti, ma l’impresa (il contribuente) ha l’onere di indicare criteri specifici commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (cfr. Cass., n. 8344/2006);

2.5. con particolare riferimento a spese per manutenzione e riparazioni nonché ad opere e migliorie, e in particolare il rifacimento di impianti elettrici ed idraulici degli immobili condotti in locazione, si è da questa Corte precisato che i costi di natura straordinaria al riguardo dal conduttore sopportati in vista della relativa utilità pluriennale ai sensi dell’art. 2426, 1° co. n. 5, c.c. possono (previo consenso del Collegio Sindacale, ove esistente) essere iscritti nell’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale anziché far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti (cfr. Cass. n. 24939/2013), sulla base dell’indicazione di specifici criteri, commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (cfr. Cass. n. 8344/2006);

2.6. in quest’ultimo caso, in presenza di un piano di ammortamento redatto in relazione alla durata contrattuale della locazione deve tenersi allora conto soltanto della prima scadenza, e non anche del periodo di rinnovo, in quanto commisurata alla possibilità di utilizzazione delle opere in oggetto;

2.7. non è stata pertanto ritenuta legittima la ripresa a tassazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria in ragione dell’assunto che la contribuente avrebbe dovuto viceversa considerare la rinnovazione automatica del contratto, e dunque la durata comprensiva del primo periodo di rinnovo (cfr. Cass., n. 382/2016);

2.8. orbene, a fronte di piano di ammortamento predisposto dalla contribuente entro un periodo di cinque anni, le affermazioni della CTR, secondo cui <<deve farsi riferimento alla disciplina civilistica che all’art. 2426, punto 5, c.c. dispone che i costi di impianto ed ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni>>, ritenendo quindi << il comportamento della società accertata … corretto, oltre che dal punto di vista civilistico, anche dal punto di vista fiscale>>, non risultano conformi ai suddetti principi di diritto, essendo stata unicamente affermata l’applicabilità del regime dei costi di utilità pluriennale, senza indicare alcun elemento che consentisse di verificare la concreta determinazione delle quote di costo deducibile e, in definitiva, l’inerenza e la competenza dei costi stessi;

3.1. con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione di norme di diritto (artt. 2, 5 e 11 DPR n. 446/1997) per avere la CTR erroneamente annullato il rilievo, a fini IRAP, per oneri finanziari non deducibili ai sensi dell’art. 5 cit., aventi ad oggetto costi connessi ad operazioni di finanziamento a tasso zero, a natura finanziaria, che la contribuente aveva inserito in bilancio alla voce B7 “Costi per servizi” del Conto Economico nella determinazione della base imponibile IRAP;

3.2. l’Ufficio finanziario lamenta che tali oneri fossero invece indeducibili ai fini IRAP in quanto costi connessi alla remunerazione del capitale;

3.3. la CTR, sul punto, ha motivato come segue:<<Nel caso di specie si controverte sul trattamento fiscale del corrispettivo che la Jumbo S.p.A. corrisponde a società finanziarie (quali Findomestic Banca S.p.A. e Agos Itafinco S.p.A.) affinché queste concedano al cliente Jumbo S.p.A. un finanziamento a tasso zero. L’Ufficio ritiene che i costi in oggetto abbiano natura finanziaria e che pertanto gli stessi siano stati erroneamente appostati nella voce B7 “Costi per servizi” del conto economico e, conseguentemente, indebitamente dedotti ai fini IRAP… Osserva questo Collegio giudicante che … tra le società finanziarie la Jumbo S.p.A. non si pone in essere alcun rapporto/contratto di finanziamento, costituendosi invero questo contratto di finanziamento direttamente tra la società finanziaria ed il cliente della Jumbo S.p.A. Per cui i corrispettivi corrisposti dalla Jumbo S.p.A. a dette società finanziarie non possono essere qualificati come “oneri finanziari”, non essendo in alcun modo tali corrispettivi il frutto civile di un mutuo, ma sono piuttosto il compenso per un servizio che le società finanziarie si obbligano a rendere ai clienti della Jumbo S.p.A., pertanto vanno qualificati come “costi per servizi”, come correttamente operato dalla società contribuente, ed in quanto tali sono deducibili dall’IRAP>>;

3.4. le affermazioni della CTR sono conformi a diritto atteso che in tema di IRAP, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997 (nel testo, applicabile ratione temporis), ai fini della determinazione della base imponibile, non sono deducibili gli interessi passivi su finanziamenti di cui all’art. 2425, comma 1, lettera C), che, al punto 17, comprende proprio gli interessi e gli altri oneri finanziari, da intendersi quali operazioni connesse a prestazioni di natura finanziaria, ovvero tutti quei costi bancari direttamente imputabili ad operazioni di finanziamento, prestito o relative operazioni finanziarie effettuate dalla stessa parte contribuente, dovendo al contrario essere rilevati come “costi per servizi” tutti i costi diversi da interessi e sconti passivi, commissioni passive su finanziamenti e spese bancarie accessorie all’ottenimento dei finanziamenti bancari;

3.5. nella specie, escluso che trattasi di costi sostenuti per ottenere finanziamenti bancari da parte della società contribuente, atteso che le operazioni di finanziamento riguardavano soggetti terzi, ovvero clienti della stessa, le spese sostenute per consentire il rilascio di tali finanziamenti in loro favore risultavano correttamente rilevate dalla Jumbo S.p.A. tra i costi per servizi, deducibile ai fini IRAP;

4. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, va accolto il primo motivo e respinto il secondo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.