CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26199

Licenziamento disciplinare – Appropriazione di generi alimentari e bevande destinate alla clientela – Contestazione – Proporzionalità della sanzione

Rilevato

che con sentenza in data 12- 19 dicembre 2017 nr. 2193 la Corte d’Appello di Milano confermava, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta da S. P. nei confronti del datore di lavoro, società R. sas di P. M. C. E C. (in prosieguo: la società) per l’impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data 4 dicembre 2013;

che la Corte territoriale reputava assolutamente generica la prima delle due contestazioni disciplinari poste a base del licenziamento. Con tale comunicazione, in data 8 novembre 2013, al P. veniva contestato di essere «intento a sottrarre generi alimentari e bevande, destinate alla clientela, al fine di appropriarsene personalmente» ; la contestazione non conteneva le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità.

Con la seconda contestazione disciplinare, del 26 novembre 2013, veniva addebitato al P. il rinvenimento nelle dispense della cucina e nella cantina di cibi scaduti o avariati (sei latte di sarde salate con scadenza 4 giugno 2010 e due buste di carré di suino avariate con scadenza 31 ottobre 2013) nonché l’ammanco di strumenti da cucina. Su quest’ultimo punto mancava – tanto nella contestazione che nel capitolo di prova articolato in giudizio – qualsiasi riferimento alla data di acquisto dei beni mancanti che consentisse di imputare l’ammanco – anche solo in via presuntiva – al P., tenuto conto anche dell’assenza di indicazione del personale addetto alla cucina. L’addebito relativo al rinvenimento di generi alimentari scaduti, in relazione al quale il P. aveva svolto specifiche difese ed articolato prove, era del tutto sproporzionato rispetto alla sanzione del licenziamento;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la società, cui ha opposto difese S. P. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti — unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale — ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc. civ.

che la società ricorrente ha depositato memoria

Considerato

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo — ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile — violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 legge 300/1970, per avere il giudice del merito falsamente applicato i principi enunciati da questa Corte in tema di specificità della contestazione disciplinare. Il motivo inerisce alla statuizione di genericità della prima delle due contestazioni disciplinari poste a base del recesso; la società ha esposto che la contestazione disciplinare, dell’8 novembre 2013, si riferiva a condotte di sottrazione di generi alimentari e bevande compiute nella stessa giornata.

Per quanto riferito alla polizia giudiziaria nell’ambito del procedimento penale, le colleghe di lavoro avevano visto il P. portare in magazzino sette mozzarelle e poco dopo avevano accertato che in magazzino ve ne erano solo quattro. Il marito dell’amministratrice, signor L. M., aveva convocato tutto il personale nel proprio ufficio; ivi il P., aprendo il proprio zaino, aveva mostrato solo un lembo del grembiule ed era andato via velocemente prima dell’ arrivo dei Carabinieri. In sede penale il gip del Tribunale di Busto Arsizio aveva ritenuto gli elementi di prova raccolti sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio ed archiviato il procedimento penale unicamente per la tenuità del fatto (come da decreto del 13.9.2017, prodotto in sede di appello).

Nella fattispecie concreta l’unica indicazione mancante nella lettera di contestazione era il genere degli alimenti sottratti (mozzarella) ma tale mancanza non determinava la genericità della contestazione;

– con il secondo motivo — ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile — violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 codice civile e degli articoli 1 e 3 della legge 604/1966, per essere stato dichiarato il licenziamento illegittimo soltanto sulla base della entità del danno, senza alcuna valutazione circa l’incidenza della condotta contestata sul rapporto fiduciario.

Il motivo afferisce al ritenuto difetto di proporzionalità tra la condotta di mancato controllo della scadenza degli alimenti e la sanzione del licenziamento. La società ha assunto che anche una condotta del lavoratore che abbia determinato un danno patrimoniale di minima entità può legittimamente fondare il licenziamento qualora idonea a porre in dubbio la correttezza del futuro adempimento del lavoratore. Nella fattispecie di causa il fatto che Pilone, in qualità di cuoco, responsabile della cucina e preposto all’effettuazione degli acquisti, tenesse tra le scorte scatole di pesce scadute da oltre tre anni e carré di suino avariato integrava una lesione gravissima dell’elemento fiduciario, in relazione al grado di affidamento richiesto dalle mansioni;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare il ricorso inammissibile;

che, invero:

– quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha correttamente collegato il requisito di specificità della contestazione disciplinare alla finalità di consentire al lavoratore l’esercizio del diritto di difesa, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la specificità è integrata quando la contestazione fornisce le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenerne integrata la violazione è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018, n.9590 e giurisprudenza ivi citata).

Questa Corte ha inoltre parimenti chiarito che, fermi i criteri di giudizio così declinati, l’accertamento concreto relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica del vizio di motivazione (Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018 sopra citata, n.9590; Cass. 21/04/2017 n. 10154; Cass. 03/02/2003 n. 1562).

Nella fattispecie di causa la Corte territoriale ha compiuto un apprezzamento di fatto, affermando che la contestazione disciplinare non conteneva le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità; la censura non può essere riqualificata in termini di vizio della motivazione, in quanto non allega specificamente un preciso fatto storico, potenzialmente decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata né indica, con la medesima specificità, le ragioni della sua decisività; piuttosto contesta genericamente il convincimento espresso dalla Corte territoriale — assumendo che il lavoratore era in grado di comprendere i contenuti della contestazione — e prospetta a questo giudice di legittimità il contesto storico nel quale i fatti si erano svolti, sollecitandolo a compiere un non- consentito riesame del merito;

– quanto al secondo motivo è parimenti consolidata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav. 05/12/2018, n.31487; Cass. 25/05/2012 n. 8293; 07/04/2011 n. 7948 e 22/03/2010 n. 6848) secondo cui costituisce giudizio di fatto l’apprezzamento nel caso concreto della proporzionalità tra i fatti addebitati ed il licenziamento. Dalla sentenza impugnata non risulta, invece, la dedotta violazione dei criteri del giudizio di proporzionalità enunciati da questa Corte, in quanto, diversamente da quanto allegato in ricorso, la Corte territoriale non ha fondato la propria valutazione sulla tenuità del danno, che non è stata affatto considerata.

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex articolo 375 cod.proc.civ.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

Dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 3.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.