CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2020, n. 22614
Tributi – Agevolazioni fiscali – Art. 9, co. 17 della Legge n. 289 del 2002 – Soggetti colpiti dal sisma in Sicilia del 1990 – Rimborso IRPEF versata su redditi di lavoro dipendente
Rilevato
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR della Sicilia, di rigetto dell’appello da essa proposto contro una decisione della CTP di Ragusa, la quale, accogliendo il ricorso di P. M. avverso il diniego di rimborso del 90% dell’IRPEF da lei versata negli anni 1990, 1991 e 1992 su redditi di lavoro dipendente, per essere la contribuente residente in uno dei Comuni colpiti dagli eventi sismici del dicembre 1990, aveva ritenuto la spettanza di detto rimborso alla contribuente, ai sensi dell’art. 9 comma 17 della legge n. 289 del 2002;
Considerato
che il ricorso è affidato a tre motivi;
che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione artt. 18, 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CTR dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo per omessa indicazione nell’istanza di rimborso del quantum richiesto e per carenza di prova dell’avvenuto versamento di quanto chiesto in restituzione dal fisco;
che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 9 comma 17 della legge n. 289 del 2002, 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, VI direttiva n. 77/388/CEE, come interpretata dalla Corte di giustizia delle comunità europee con sentenza del 17 luglio 2008 in causa C-132/06, ordinanza della sesta sezione della Corte di giustizia delle comunità europee del 15 luglio 2015 in causa C-82/14, nonché 107 e 108 par. 3 del trattato sul funzionamento dell’unione europea e della decisione della Commissione europea C/2015, 5549 final, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.; la contribuente aveva percepito nel 1990 redditi di partecipazione e nel 1991 redditi da lavoro dipendente; quanto alle ritenute versate per redditi da lavoro dipendente, era emerso che il datore di lavoro della contribuente (la banca agricola popolare di Ragusa), sostituto d’imposta della medesima, non aveva versato all’erario le ritenute effettuate, si che l’amministrazione finanziaria non poteva restituire alla ricorrente, sostituita, quanto da essa amministrazione non era stato introitato, in quanto avrebbe potuto verificarsi una doppia erogazione di somme da parte dell’amministrazione ed una violazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, che pone il divieto della doppia imposizione;
quanto poi alle imposte versate dalla contribuente per redditi di partecipazione, per esse non sussisteva il diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, che escludeva il diritto al rimborso nei confronti dei soggetti che svolgevano attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione era sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’unione europea; ed anche la giurisprudenza comunitaria (cfr. decisione della Commissione europea C/2015, 5549 final) aveva ritenuto che il diritto al rimborso non solo agli imprenditori, ma anche ai liberi professionisti lavoratori autonomi costituisse un aiuto di Stato, incompatibile con l’art. 108 paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’unione europea; e, dalla documentazione in atti risultava che la contribuente non avesse specificato, nella propria richiesta di rimborso, l’origine delle imposte, per le quali aveva chiesto il rimborso;
che, con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito dalla legge n. 123 del 2017, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.; dette norme prevedevano che, per il rimborso delle ritenute, occorreva tener conto delle complessive risorse stanziate a detto scopo; e, qualora l’ammontare delle stesse eccedesse quanto all’uopo stanziato in bilancio dai singoli Stati, occorreva ridurre in percentuale i rimborsi, ovvero non effettuarle, in caso di esaurimento dei fondi stanziati; era interesse dell’Agenzia delle entrate ottenere una pronuncia di questa Corte, che affermasse esplicitamente l’applicabilità di detto jus superveniens al presente giudizio, anche perché la sentenza impugnata era stata pubblicata il 27 giugno 2018 e quindi dopo l’entrata in vigore dell’art. 16 octies del citato d.l. n. 91 del 2017 (13 agosto 2017);
che, pertanto, l’Agenzia delle entrate ricorrente ha chiesto una pronuncia che circoscrivesse espressamente la condanna “nei limiti di cui all’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014”, ovvero che desse atto della cessata materia del contendere, sul presupposto che i limiti indicati nella norma da ultimo citata potessero farsi valere in sede di liquidazione delle somme in sede amministrativa;
che la contribuente ha presentato controricorso;
che il primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è inammissibile, atteso che, con esso, sono state introdotte per la prima volta nella presente sede di legittimità questioni di merito implicanti accertamenti di fatto (mancata indicazione del quantum richiesto; mancata prova circa l’avvenuto trattenuta fatta dall’erario dell’IRPEF chiesta in restituzione), che non risultano essere state trattate in alcun modo nella sentenza impugnata; d’altra parte la ricorrente neppure ha allegato l’avvenuta deduzione di dette questioni innanzi al giudice di merito, né ha indicato in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, come sarebbe stato suo onere, in ossequio al noto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 32804 del 2019);
che anche il secondo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è inammissibile, atteso che, con esso, l’Agenzia delle entrate ha introdotto per la prima volta nella presente sede di legittimità questioni di merito implicanti accertamenti di fatto (avere cioè la contribuente conseguito non solo redditi da lavoro dipendente, ma altresì redditi di partecipazione, almeno con riferimento al 1990); invero dal contesto della sentenza impugnata, e segnatamente dall’elenco degli atti impugnati, emerge che il tema della controversia è stato limitato esclusivamente al diniego di rimborso IRPEF da lavoro dipendente per gli anni 1990, 1991 e 1992; inoltre, la sentenza impugnata ha chiaramente delineato il tema della controversia, avendolo riferito al rimborso del 90% delle somme pagate per IRPEF negli anni 1990, 1991 e 1992, senza alcun riferimento alla sussistenza di redditi di diversa natura; d’altra parte l’Agenzia delle entrate neppure ha allegato l’avvenuta deduzione di dette questioni innanzi al giudice di merito, né ha indicato in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, come sarebbe stato suo onere, in ossequio al noto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 32804 del 2019);
che è infondato il terzo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate;
che va innanzitutto ritenuta l’applicabilità alla presente controversia della norma introdotta dall’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, così come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito dalla legge n. 123 del 2017, in vigore dal 13 agosto 2017, in quanto la sentenza impugnata è stata depositata il 12 settembre 2018 e quindi dopo l’entrata in vigore del citato art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017; e la norma da ultimo citata è da ritenere applicabile a tutti i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore ed è da ritenere riferibile a tutte le istanze presentate, si che per tutte tali istanze le somme da corrispondere sono destinate a ridursi in percentuale, nel caso che gli importi complessivi dovuti eccedano le risorse stanziate in bilancio;
che fatta tale premessa, il motivo di ricorso in esame è infondato, avendo più volte la giurisprudenza di legittimità rilevato che lo ius superveniens, sopra descritto, non incide in alcun modo sul diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando detto rimborso entro i limiti delle risorse stanziate e disponibili, si che le eventuali questioni sui conseguenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate possono avere rilievo solo in fase esecutiva, ovvero in quella eventuale di ottemperanza (cfr. Cass. n. 29906 del 2017; Cass. n. 4291 del 2018),
che il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va pertanto respinto, con sua condanna alle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;
che, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115;
P.Q.M.
respinge il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, quantificate in € 1.000,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.
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