CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 settembre 2021, n. 25032

Tributi – Accertamento – Questionario – Mancata risposta – Accertamento sintetico del reddito – Redditometro – Possesso di beni indice di maggiore capacità contributiva – Legittimità

Rilevato che

nella controversia originata dall’impugnazione da parte di S.L. di avvisi di accertamento emessi, a seguito di mancata risposta al questionario, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e relativi a IRPEF, addizionali regionali e sanzioni degli anni di imposta 2006 e 2007, la C.T.P. di Milano, previa riunione, accoglieva i ricorsi ma la decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.).

In particolare, il Giudice di appello, accertava che il questionario era stato notificato al contribuente, a mezzo lettera raccomandata consegnata al portiere dello stabile.

In assenza di risposta da parte del contribuente, legittimamente l’Amministrazione finanziaria aveva proceduto ad accertamento, ai sensi del citato articolo 38. Nel merito, rilevava che, nel caso in esame, il contribuente esercitava attività di commercio al dettaglio di articoli di pelletteria, possedeva un’abitazione principale a Milano di cinque vani, aveva stipulato un mutuo per detto immobile ed altro mutuo per l’acquisto di un negozio. Tutto ciò era sufficiente a fondare la presunzione di reddito mentre, di contro, l’importo delle rimesse dall’estero (per circa euro 70.000) non erano sufficienti a coprire il reddito sintetico accertato per gli anni in questione.

Per la cassazione della sentenza S.L. ha proposto ricorso, su cinque motivi. L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione, ex art.380 bis-1 cod.proc.civ., in camera di consiglio.

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso si deduce Ila violazione e falsa applicazione dell’art. 139, quarto comma, cod.proc.civ. laddove la C.T.R. aveva ritenuto ritualmente notificato il questionario al contribuente, a mezzo lettera raccomandata, consegnata al portiere dello stabile, mentre la norma invocata prevede per la ritualità della notificazione l’invio della comunicazione di avvenuta notificazione.

1.1. La censura è inammissibile per più ordini di ragioni. Il mezzo, nei termini in cui è formulato, si limita ad enunciare i principi espressi da questa Corte in materia di notificazione effettuata ai sensi dell’art. 139 cod.proc.civ., senza alcuna concreta indicazione rispetto alla fattispecie, riferentesi alla notificazione di un questionario per il quale l’art.32 del d.P.R. n.600 del 1973 prevede la notificazione ai sensi dell’art.60 stesso d.P.R.

Ancor prima, nell’assoluta genericità dell ‘illustrazione del motivo, rimane oscuro se la questione fosse stata ritualmente introdotta sin dal primo grado di giudizio con la conseguenza che la stessa appare nuova e, come tale, inammissibile in questa sede.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 32, quarto e ultimo comma, del d.P.R. n.600 del 1973 laddove la C.T.R. aveva ritenuto che l’Ufficio fosse pienamente legittimato ad effettuare l’accertamento di tipo induttivo e che la mancata risposta al questionario pregiudicasse il diritto del contribuente a far valere in sede contenziosa e amministrativa i documenti non esibiti.

2.1. Anche tale censura va incontro alla sanzione di inammissibilità per difetto di interesse. Con il passo motivazionale, attinto dal mezzo, la C.T.R. ha riportato i principi giurisprudenziali affermati in materia da questa Corte, ma, da ciò non ha fatto conseguire alcuna declaratoria di inutilizzabilità della documentazione allegata dal contribuente. Anzi, come riconosciuto dallo stesso ricorrente in seno al motivo, la C.T.R. ha espressamente esaminato la documentazione allegata dalla quale risultava l’esistenza di rimesse dall’estero in favore del contribuente.

3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.38, quarto e quinto comma, del d.P.R. n.600 del 1973 e degli artt. 2728 e 2729 cod.civ. laddove la C.T.R. aveva fondato la declaratoria di legittimità degli avvisi di accertamento sul possesso dei beni indice, ritenute presunzioni semplici, senza valutare che tali presunzioni dovessero essere anche gravi, precise e concordanti.

3.1. Per l’infondatezza della censura è sufficiente richiamare il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass.n.16912 del 10/08/2016; id. n.27811 del 31/10/2018; Cass. n.21700 del 08/10/2020) correttamente seguito dalla C.T.R., secondo cui <<In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.>>.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.2 e 35 comma 3, d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 e dell’art.277, comma 1°, cod.proc.civ., in relazione all’art.360, primo comma , n.ri 3 e 4 cod.proc.civ. Con il mezzo si impugna il capo di sentenza con cui la C.T.R., nel dare atto dell’entità delle rimesse ricevute dall’estero dal contribuente, aveva ritenuto che le stesse, rispetto all’entità dei redditi accertati per gli anni in esame, non dimostravano nulla e che avevano errato I primi giudici ad annullare in toto gli accertamenti relativi ai due anni di imposta. Secondo la prospettazione difensiva, in particolare, aveva errato il Giudice di appello a confermare integralmente l’entità dei redditi accertati senza procedere a sua volta alla rideterminazione.

4.1 La censura è inammissibile perché inconferente rispetto al decisum. Dalla lettura integrale della motivazione della sentenza impugnata è agevole dedurre che il Giudice di appello ha ritenuto di confermare integralmente i redditi come accertati perché non ha ritenuto la documentazione, relativa alle rimesse estere, prova idonea a favore del contribuente.

5 Con il quinto motivo, articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 cod.proc.civ., si deduce l’omesso esame da parte del Giudice di appello del fatto decisivo costituito dalle circostanze, veicolate con le controdeduzioni in appello, che le relate di notifica non erano riconducibili alla comunicazione del questionario e che le stesse erano nulle ovvero inesistenti mancando comunque l’esibizione della seconda comunicazione, essendo fatta a mezzo posta.

5.1. La censura è infondata. Anche a volere individuare in quelli sopra descritti dei fatti nell’accezione rilevante ai sensi del n.5 del primo comma, dell’art.360 cod.proc.civ., il primo è stato sicuramente esaminato, laddove la C.T.R. ha dato espressamente atto, accertandolo, che il questionario in questione era stato debitamente notificato tramite consegna al portiere. Non si apprezza, invece, la decisività del secondo laddove l’eventuale nullità del procedimento comunicativo del questionario non comporta la nullità dell’avviso di accertamento (come, peraltro, pare affermare anche la stessa sentenza impugnata) ma impedisce, al più, le preclusioni in ordine all’offerta documentale di prova contraria. Nel caso in esame, però, come sopra evidenziato, la documentazione offerta dal contribuente è stata, in ogni caso, esaminata dalla C.T.R.

6. In conclusione, per le ragioni sin qui svolte, il ricorso va rigettato senza pronuncia sulle spese per mancanza di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2013, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.