CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 agosto 2022, n. 24860
Inps – Contributi previdenziali – Rimborso – Sgravio – Prova dell’incremento dell’occupazione aziendale – contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia
Rilevato che
Con sentenza del giorno 8 aprile 2015 n. 874, la Corte d’appello di Bari – sezione lavoro – accoglieva il gravame dell’Inps e riformava la sentenza del tribunale di Bari – sezione lavoro – che aveva accolto la domanda di I.N. volta a richiedere il rimborso dei contributi previdenziali pagati ma che dovevano – a suo dire – essere restituiti in ragione degli sgravi aggiuntivi e supplementari di cui ha dichiarato di aver diritto, in relazione al periodo gennaio 1984 – 30.9.1992, oltre interessi legali dalla domanda amministrativa (infatti, secondo il primo giudice, gli sgravi oggetto di causa andavano riconosciuti al ricorrente avendo questi documentato tramite il libro matricola in atti, il presupposto essenziale per il godimento dei medesimi e cioè, che alla data del 30.9.1968 e del 31.12.1970, la ditta attrice non aveva alle sue dipendenza alcun lavoratore).
A supporto della decisione di accoglimento del gravame, la Corte d’appello ha, invece, ritenuto che la ditta I. non avesse fornito una prova adeguata circa il diritto a fruire degli sgravi oggetto di controversia nel periodo gennaio 1984 – 30.9.1982, perché a fronte della produzione in appello da parte dell’Istituto (in effetti acquisita d’ufficio, ex artt. 421-437 c.p.c.) della copia di una serie di libretti di lavoro dai quali poteva desumersi che nel periodo in contestazione la ditta appellata aveva dei dipendenti (a conferma di quanto già rilevato in sede ispettiva), la società I. che era onerata della dimostrazione del fatto costitutivo del diritto allo sgravio, consistente nella prova dell’incremento dell’occupazione aziendale (partendo dalla “forza zero” nel periodo di riferimento), in effetti, aveva omesso di entrare nel merito dei dati risultanti da tali libretti, limitandosi ad eccepire la tardività della produzione, senza prendere posizione rispetto ad essa.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, I. Francesco ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, mentre l’Inps resiste con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d’appello non si era pronunciata sull’eccezione sollevata dal ricorrente che gli apprezzamenti e le valutazioni (sul numero dei dipendenti in forza presso la ditta del ricorrente alle date 30.9.1968 -per lo sgravio aggiuntivo – e al 31.12.1970 – per lo sgravio supplementare -) inserite dai verbalizzanti nel verbale ispettivo dell’Inps del 5.1.1996 non erano coperte da fede privilegiata e che, se valutata alla luce delle restanti risultanze istruttorie, avrebbe comportato il rigetto del ricorso in appello.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente prospetta il vizio di nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., perché la Corte di appello di Bari aveva omesso di statuire sull’eccezione, sollevata dalla ditta appellata, relativa al disconoscimento della conformità all’originale delle copie dei libretti di lavoro prodotti solo in appello dall’Inps (in quanto fotocopie illeggibili), nonché la riferibilità del loro contenuto all’impresa di I.N.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 420 e 421 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva esercitato i propri poteri officiosi per acquisire la documentazione tardivamente prodotta dall’Inps, senza sottoporla all’esame delle parti, in contraddittorio tra loro.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione degli artt. 2697- 2699-2700 c.c. e dell’art. 10 del d.lgs. n. 124/04, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché in riferimento al primo verbale di accertamento del 5.1.1996, il giudice di prime cure aveva rilevato la contraddittorietà delle affermazioni dell’Ispettore verbalizzante, e siccome questo profilo non era stato impugnato, tali dichiarazioni dovevano risultare prive di qualsivoglia efficacia probatoria, in difetto di una loro conferma in giudizio, neppure richiesta dall’Inps:
pertanto, il dato di fatto relativo alla forza lavoro al 30.9.1968 e 31.12.1970 di 26 unità lavorative era rimasto indimostrato.
Il primo e quarto motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono inammissibili, perché sollevano critiche sull’accertamento di fatto espresso dalla Corte d’appello in riferimento alla forza lavoro presente in azienda nelle date di riferimento, che è di competenza esclusiva del giudice del merito ed incensurabile in cassazione se congruamente motivato, come nella specie.
Il secondo motivo è infondato, in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte, la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata, a pena d’inefficacia, in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass. n. 27633/18, 16557/19). Nel caso di specie, per quanto riportato in ricorso, il disconoscimento dei documenti prodotti in appello dall’Istituto è stato oltremodo generico (cfr. p. 8 del ricorso).
Il terzo motivo è infondato, alla luce della stessa giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo la quale nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti, non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado (Cass. n. 18924/12).
Nella specie, vi era stato il giudizio di indispensabilità della documentazione acquisita, al fine del decidere, ex artt. 421-437 c.p.c.(cfr. p. 6 della sentenza impugnata).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare all’Inps le spese di lite che liquida nell’importo di € 8.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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