CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 aprile 2018, n. 9414
Personale degli enti pubblici non economici – Sistema di classificazione del personale – Inquadramento contrattuale – Accertamento delle attività lavorative in concreto svolte, individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda – Sindacabilità in sede di legittimità
Rilevato
1. che la Corte d’Appello di Firenze pronunciando sull’appello proposto dall’INAIL nei confronti di B. F. lo rigettava, confermando la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva attribuito al lavoratore l’inquadramento in area C, posizione economica C1, sin dal 2003 con condanna al pagamento delle differenze retributive.
2. Affermava la Corte d’Appello che il lavoratore già inquadrato e retribuito come appartenente all’area B, posizione economica B3, svolgeva attività di collaborazione sanitaria riconducibile secondo la declaratoria contrattuale al C1, che enunciava due distinti tipi di attività dell’infermiere e cioè la collaborazione sanitaria e la collaborazione amministrativa in favore del sanitario.
Ed infatti, andava ricondotto a tale livello chiunque svolgesse attività di collaborazione sanitaria anche se nei limiti delle modeste necessità datoriali. La previsione contrattuale prendeva in considerazione l’una e l’altra attività come concorrenti alla qualificazione della figura professionale senza valorizzare questa piuttosto che quella.
Ai fini del superiore inquadramento, risultava dall’istruttoria di primo grado che il B. era dominus della gestione della struttura dell’ente (nei limiti delle sue competenze organizzative e comunque rispondendone ai superiore gerarchico).
La Corte d’Appello riteneva corretta la quantificazione delle differenze retributive effettuata dal CTU sulla base delle buste paga e dunque su dati oggettivi.
Andavano riconosciuti i soli interessi ove, come nella specie, il loro ammontare era superiore alla rivalutazione monetaria.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS, prospettando due motivi di impugnazione.
4. Resiste il B. con controricorso.
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 13 del CCNL del Comparto ENPE del 16 febbraio 1999 (quadriennio 1998-2001) che ha previsto il nuovo sistema di classificazione del personale e allegato A; declaratoria delle Aree del medesimo contratto; violazione dell’art. 3 del Contratto integrativo (CCI) del 30 luglio 1999 e dell’allegato 1: profili professionali delle attività amministrative e di collaborazione sanitaria del medesimo contratto integrativo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
2. Il ricorrente ricorda che il CCNL ENPE del 1999 ha previsto (art. 13) un nuovo sistema di classificazione del personale orientato al superamento delle attuali rigidità per porsi al passo con i processi di cambiamento in corso nell’ambito degli enti e con l’evoluzione dei modelli organizzativi e contribuire al miglioramento dei livelli di efficienza/efficacia dell’azione amministrativa e di qualità dei servizi.
Le Aree predette sono individuate mediante le declaratorie riportate nell’allegato A che descrivono l’insieme dei requisiti indispensabili per l’inquadramento in ciascuna Area, corrispondenti a livelli omogenei di competenze. I profili professionali ricompresi in ciascuna Area esprimono il contenuto professionale di attribuzioni specifiche relative all’Area stessa.
I profili caratterizzati da mansioni e funzioni contraddistinte da differenti gradi di complessità e di contenuto possono essere collocati su posizioni economiche diverse.
Inoltre il comma 7 del suddetto articolo 13 stabilisce che l’individuazione di nuovi profili professionali e la ridefinizione o ricollocazione di quelli esistenti in ciascuna Area sono oggetto di contrattazione collettiva integrativa a livello centrale di ente con le organizzazioni sindacali di cui all’art. 8, comma 1 e con l’assistenza dell’Agenzia.
Quindi, occorreva fare riferimento alle declaratori contrattuali delle aree di cui all’allegato A del suddetto CCNL ed agli specifici profili professionali di cui al CCI del 30 luglio 1999, al fine di individuare i requisiti indispensabili per l’inquadramento del personale nell’Area.
Espone, altresì, che può considerarsi svolgimento di mansioni superiori soltanto l’attribuzione in maniera prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti di dette mansioni.
Censura quindi la sentenza di appello per l’erronea interpretazione delle disposizioni contrattuali avendo esaminato solo quella relativa al CI e non anche alla posizione B2/3 di appartenenza del dipendente, per non aver operato una corretta individuazione delle conoscenze, contenuti attitudinali e responsabilità e per non aver correttamente ricostruito la fattispecie astratta di collaborazione sanitaria come risultante dall’allegato 1 del CCI del 30 settembre 1999 (doc. 2 del fascicolo di primo grado di parte ricorrente integralmente allegato al presente ricorso).
3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta falsa applicazione dell’allegato A: declaratoria delle aree del CCNL del comparto ENPE del 16 febbraio 1998 (quadriennio 1998-2001); falsa applicazione dell’allegato 1: profili professionali delle attività amministrative e di collaborazione del CCI del 30 luglio 1999 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
La Corte d’Appello, erroneamente, aveva sussunto la fattispecie, come risultante dalle deposizioni testimoniali nella declaratoria dell’area C, anziché dell’area B, senza indagare se sulla base delle differenze tra le mansioni proprie dell’uria o dell’altra il lavoratore svolgesse attività riconducibili all’area C, posizione C1.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
La Corte d’Appello, riferendosi solo al contenuto della declaratoria relativa all’area C, non ha osservato il criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore.
Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, ed è sindacabile in sede di legittimità a condizione, però, che la sentenza, con la quale il giudice di merito abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi, sia stata censurata dal ricorrente in ordine alla ritenuta mancanza di prova dell’attività dedotta a fondamento del richiesto accertamento (Cass., n. 8589 del 2015).
Nel giudizio relativo all’attribuzione di una qualifica superiore, l’osservanza del cd. criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logicogiuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni (Cass., n. 18943 del 2016).
5. All’accoglimento del primo motivo di ricorso, segue l’assorbimento del secondo motivo.
6. Il ricorso va accolto nei limiti su indicati. La sentenza impugnata deve essere in detti limiti cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto indicati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.
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