CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 aprile 2018, n. 9418
Cartella esattoriale – Recupero sgravi contributivi ex art. 18, L. n. 1089/1968 – Eccezione di prescrizione – Durata quinquennale – Non sussiste – Verbale ispettivo notificato il 28 febbraio 1994 e diffida 23 giugno 1998, con effetti parimenti interruttivi – Prescrizione dei contributi rimane decennale
Ritenuto che
la Corte d’Appello di Catania con sentenza numero 1251/2012 ha rigettato l’appello della E. srl avverso verso la sentenza che aveva respinto la sua opposizione alla cartella esattoriale, notificata nel febbraio 2005, con la quale si intimava il pagamento dell’importo di euro 418.471,05 preteso dall’Inps a titolo di recupero sgravi contributivi ai sensi della legge numero 1089/1968, riferiti al periodo dal gennaio 1984 al settembre 1993; recupero scaturente dal verbale di accertamento ispettivo del 28 febbraio 1994 con cui si contestava la mancata registrazione e denunzia a fini contributivi di ore di lavoro straordinario del personale dipendente che risultavano invece indicate nei fogli paga meccanografici sotto voci diverse: premio, straordinario forfettario, indennità varie, una tantum, errore mese precedente, nonché la corresponsione di somme non denunciate nei prospetti paga;
a fondamento della sentenza la Corte dichiarava anzitutto tardiva l’eccezione di prescrizione del credito contributivo sollevata in appello; ritenendola pure infondata in considerazione degli atti interruttivi intervenuti con la notifica del verbale ispettivo del 28 febbraio 1994 e della diffida del 23 giugno 1998;
nel merito la Corte rilevava che l’articolo 18 della legge n. 1089/1968, nel riconoscere alle imprese operanti nel mezzogiorno uno sgravio contributivo della misura del 10% delle retribuzioni assoggettate alla contribuzione, “al netto dei compensi per lavoro considerato straordinario dai contratti collettivi e in mancanza dalla legge”, chiaramente rinviava, per la definizione del lavoro come straordinario alle disposizioni collettive, operando la nozione legale in via meramente sussidiaria; sosteneva inoltre che, nel caso di specie, il C.C.N.L. Turismo Confcommercio applicato dalla società appellante qualificava inequivocabilmente come orario normale quello di 40 ore settimanali;
– pertanto a fronte della chiarezza delle disposizioni del contratto collettivo non potevano esserci margini per una interpretazione autentica con effetti retroattivi come quella che pretendeva di assumere la dichiarazione congiunta del 17 giugno 1986 contenuta nell’allegato B del contratto collettivo nazionale di lavoro del 16/2/1987 con la quale le parti stipulati affermavano che le disposizioni riguardanti la materia dello straordinario contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro non intendessero superare la qualificazione legale del lavoro straordinario individuato oltre le 48 ore settimanali, bensì riferirsi unicamente all’orario supplementare ossia equiparare la percentuale di maggiorazione dovuta per il lavoro supplementare cioè quello eccedente l’orario normale e fino al limite legislativo (da 40 48 ore) a quella prevista per il lavoro straordinario legale (cioè oltre le 48 ore);
inoltre la Corte rilevava che a fronte della contestazione da parte degli ispettori Inps della riferibilità al lavoro straordinario degli importi genericamente indicati nei fogli paga meccanografici come premio, indennità varie, una tantum, errore mese precedente, era onere della società provarne la riferibilità a ben precise voci retributive, così come era onere della stessa dimostrare la riferibilità degli importi corrisposti a titolo di straordinario forfettario – contro la stessa evidenza letterale – ad altro; onere della prova a cui la società opponente si era sottratta del tutto come aveva rilevato il giudice di primo grado.
contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la E. srl con tre motivi illustrati da memoria;
resiste l’Inps con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo viene dedotta violazione degli articoli 55 comma 2, Regio decreto legge numero 1827 del 1935, articolo 3 comma 9 della legge numero 335 del 1995 e articolo 112 c.p.c., per aver dichiarato tardiva l’eccezione di prescrizione dei contributi formulata in appello laddove la prescrizione in materia contributiva può essere dichiarata d’ufficio dal giudice anche in grado d’appello;
con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’articolo 3, commi 9 e 10 della legge 8 agosto 1995 numero 335 per aver affermato la durata quinquennale del termine di prescrizione;
il secondo motivo, avente carattere pregiudiziale rispetto al precedente, è infondato, atteso che, prima dell’entrata in vigore della legge numero 335 del 1995, l’Inps aveva notificato il verbale ispettivo 28 febbraio 1994 avente carattere interruttivo; inoltre in data 23 giugno 1998 l’Inps aveva notificato diffida con effetti parimenti interruttivi; entrambi gli atti hanno infatti efficacia interruttiva facendo sì che la durata della prescrizione dei contributi rimanga decennale; ciò vale pacificamente per il primo atto interruttivo compiuto prima dell’entrata in vigore della legge cit.; ma anche per il secondo atto interruttivo, compiuto dopo l’entrata in vigore della legge 335 cit. e mentre il termine di prescrizione era decennale, avendo le Sezioni Unite n. 5784/2008 riconosciuta l’idoneità di atti interruttivi compiuti dopo la data di entrata in vigore della legge a conservare il termine di prescrizione decennale; inoltre, la stessa diversa sentenza della Sezioni Unite n. 3486/2005, citata dalla ricorrente, afferma la durata quinquennale della prescrizione dopo il 1 gennaio 1996 “fuori dei casi di conservazione del precedente termine decennale”;
con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 18 della legge n. 1089 del 1968, degli articoli 1322, 1363, 1366 e 1368 del codice civile, articolo 11 comma uno ed articolo 12 comma due delle disposizioni sulla legge in generale; articolo 49 del decreto legislativo 165 del 2001; per aver effettuato una interpretazione meramente letterale della clausola contrattuale che era da ritenersi invece ambigua; per avere negato il valore di interpretazione autentica e l’efficacia retroattiva alla dichiarazione congiunta delle parti collettiva; per avere affermato che il regime previdenziale concerne una materia sottratta alla disponibilità delle parti sociali;
il motivo deve ritenersi fondato nei limiti delle seguenti considerazioni: anzitutto perché la determinazione da parte del CCNL dell’orario normale di lavoro, fino al limite di 40 ore, non esclude, sul piano testuale, la rilevanza dell’orario di lavoro supplementare (tra le 40 e le 48 ore), né che ai fini in oggetto non rilevi la nozione di orario di lavoro straordinario legale (dopo le 48 ore);
in tal senso è pure la volontà delle parti collettive, le quali, con la richiamata dichiarazione contenuta nell’allegato B del CCNL del 16.2.1987, hanno precisato che con la fissazione dell’orario normale di lavoro non hanno mai inteso superare la qualificazione legale del lavoro straordinario, bensì soltanto riconoscere, a fini contrattuali, un’eguale maggiorazione retributiva alle ore di lavoro prestate oltre l’orario normale e fino al limite legislativo;
inoltre, sul medesimo tema degli sgravi previsti dall’art. 18 della legge n. 1089/1968 sui compensi corrisposti ai dipendenti delle imprese industriali ed artigiane del Mezzogiorno per il lavoro svolto fra il termine del normale orario di lavoro settimanale e la 48° ora, l’INPS (facendo seguito alla circolare 22 marzo 1984) ha ribadito (con circolare n. 53 del 1989) la validità del principio “nominalistico” affermando che i compensi corrisposti per il lavoro svolto entro i suddetti limiti temporali sono assoggettabili agli sgravi: a) quando il Contratto Collettivo di categoria qualifichi detto lavoro con denominazione diversa da quella di lavoro straordinario (ad es. supplementare); b) quando il Contratto stesso non contenga alcuna definizione di detto lavoro e cioè si limiti ad indicare il termine del normale orario di lavoro e l’inizio del lavoro considerato straordinario per legge; c) quando venga precisato, nel contesto dello stesso Contratto o in una dichiarazione aggiuntiva sottoscritta dalle parti, a quali fini di lavoro in questione venga qualificato straordinario;
che nella stessa circolare l’INPS ha pure affermato che le eventuali modifiche innovative apportate nella denominazione di detto lavoro, in occasione dei rinnovi contrattuali, e le dichiarazioni integrative, emesse dalle stesse parti contraenti in vigenza del Contratto, e volte a differenziare in termini innovativi tale lavoro da quello straordinario per legge, hanno validità, ai fini dell’applicazione degli sgravi sui relativi compensi, rispettivamente dalla data di introduzione della modifica e dalla data di emissione della dichiarazione;
pertanto la sentenza non si è attenuta ai prefati principi per la parte in cui, tenuto conto della contestazione sollevata dall’INPS in sede ispettiva, ha sostenuto che non spettassero gli sgravi per le ore di lavoro imputabili ad orario di lavoro supplementare;
né allo scopo può ritenersi fondata la tesi dell’INPS relativa alla mancata censura dell’autonoma ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui in materia di sgravi fosse onere dell’impresa che assumesse di averne diritto dover dimostrare i presupposti dei benefici ovvero provarne la riferibilità a ben precise voci retributive; in realtà, in relazione alla pretesa dell’INPS sollevata in sede ispettiva, secondo la quale somme corrisposte sotto vari titoli che consentivano (in tutto o in parte) lo sgravio fossero imputabili a lavoro straordinario – computato secondo la scorretta nozione posta a base della medesima sentenza impugnata – deve ritenersi che il ricorso contenga una specifica e pertinente censura, nei limiti appunto della rilevanza, sul piano giuridico, della nozione di orario di lavoro supplementare che dà diritto agli sgravi;
la sentenza deve essere quindi cassata e la causa rinviata al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame il quale si atterrà al principio secondo cui relativamente alle somme in contestazione gli sgravi spettano limitatamente alle somme erogate ed imputabili a lavoro supplementare prestato tra la 40° e la 48° ora, mentre non spettano per tutto ciò che è imputabile a lavoro straordinario, oltre la 48°
Il giudice provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità; si da atto che non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, rigetta il secondo motivo, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 10, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente principale a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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