CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10695
Tributi – Accertamento – Termini di prescrizione – Raddoppio dei termini – Astratta configurabilità di un’ipotesi di reato
Rilevato che
1. con sentenza n. 249/07/16 del 01/03/2016 la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo (hinc CTR) respingeva gli appelli riuniti proposti da A.L. e G.D.C. avverso la sentenza n. 486/01/14 della CTP di Pescara (hinc CTP), che aveva a sua volta respinto i ricorsi riuniti proposti dai contribuenti avverso due distinti avvisi di accertamento a fini IRPEF, IRAP e IVA relativamente all’anno di imposta 2003;
1.1. come si evince dalla sentenza impugnata: a) la vicenda trae origine da una verifica effettuata nei confronti di A.L., dalla quale sarebbe emersa l’emissione in suo favore, da parte della madre G.D.C., di fatture per operazioni inesistenti relative alla cessione di beni strumentali non rinvenuti presso la sede dell’impresa; b) la CTP, previa riunione dei ricorsi separatamente proposti dal L. e dalla D.C. con riferimento ai rispettivi avvisi di accertamento, li respingeva; c) avverso la sentenza i ricorrenti proponevano separati appelli;
1.2. la CTR, previa riunione dei ricorsi avverso la medesima sentenza, li rigettava evidenziando, per quanto ancora interessa, che: a) con riferimento al raddoppio dei termini per l’accertamento, «rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, e quindi l’intervenuta prescrizione del reato non è di per sé stessa d’impedimento all’applicazione raddoppiata del termine per l’accertamento, proprio perché non rileva né l’effettivo esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante al formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale»; b) la censura relativa alla parziale allegazione dello stralcio del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento era generica «in quanto non si comprende per quali motivi la parte allegata non abbia consentito di comprendere appieno le ragioni dell’Ufficio, tenuto conto anche delle difese operate dalla parte in giudizio»;
2. L. e D.C. impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva in giudizio con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 1, comma 132, della L. 28 dicembre 2015, n. 208, applicativa dell’art. 2 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, evidenziandosi che la denuncia del reato penale è stata illegittimamente effettuata solo in data 14/09/2010, ben sette anni dopo l’anno per cui v’è stato accertamento;
2. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, evidenziandosi l’invalidità dell’atto di accertamento, notificato dopo il termine di decadenza previsto dalle menzionate disposizioni;
3. i due motivi, che prospettano altrettante violazioni di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., possono essere congiuntamente esaminati in ragione della loro intima connessione e sono infondati;
3.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 11620 del 14/05/2018; Cass. n. 26037 del 16/12/2016; Cass. n. 16728 del 09/08/2016);
3.1.1. la Corte ha, altresì, precisato che «il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti ne di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie “ab origine” diverse, che non Interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento» (Cass. n. 23628 del 09/10/2017);
3.2. In applicazione dei superiori principi di diritto deve ritenersi che l’avviso di accertamento del 16/03/2012 relativo all’anno 2003, notificato in data 18/04/2012, è tempestivo rispetto ai termini applicabili ratione temporis in ragione del fatto che: a) il modello Unico 2004 relativo ai redditi e all’IVA 2003 avrebbe dovuto essere presentato nell’anno 2004 e, dunque, i termini di decadenza decorrono dal 01/01/2005; b) a seguito della denuncia di reato presentata dall’Ufficio ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. il termine per l’accertamento previsto dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 deve essere raddoppiato; c) trattandosi di termine autonomo (della durata di otto o dieci anni), come chiarito anche da Corte cost. n. 247 del 2011, non ha alcun rilievo la circostanza che l’inoltro della notizia di reato non sia avvenuto dopo la scadenza del termine ordinario; d) nemmeno rilevano le sorti del procedimento penale conseguente alla denuncia dell’Ufficio; e) poiché l’avviso di accertamento è stato già notificato alla data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, dette modifiche non hanno alcun effetto;
4. con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 38 bis, ottavo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 in ragione dell’illegittimità del diniego di rimborso del credito IVA, a seguito della definizione per prescrizione del giudizio penale;
5. il motivo, che ancora una volta prospetta una violazione di legge ex art. 360, n. 3, cod. proc. Civ., è inammissibile;
5.1. va rilevato che la CTR non si è mai pronunciata sul diritto del contribuente L. al rimborso IVA, limitandosi a sostenere che l’esame della questione concernente la mancata presentazione della fideiussione in sede di istanza di rimborso e la sua incidenza sul raddoppio dei termini è rimasta assorbita;
5.2. del resto, il ricorrente ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento e non anche avverso il diniego del rimborso IVA, né risulta dal ricorso dove e quando sia stata proposta una domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto al rimborso, con conseguente palese difetto di specificità;
6. in conclusione, il ricorso va rigettato;
6.1. sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti, atteso che l’orientamento della S.C. cui aderisce la presente decisione è coevo alla proposizione del ricorso;
6.2. poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente procedimento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13 (ndr comma 1 bis dello stesso art. 13).
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