CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10721
Licenziamento per superamento del periodo di comporto – Illegittimità – Calcolo della misura del risarcimento del danno
Rilevato che
Con ricorso al Pretore di Bari, N.F. chiedeva accertarsi il suo diritto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente alle modalità di esecuzione (in tesi stressanti) della sua prestazione lavorativa presso il B:N.
Con successivo ricorso il F. impugnava il licenziamento intimatogli il 26.8.98 per superamento del periodo di comporto.
Il Tribunale di Bari, all’esito di prova per testi e di c.t.u., con sentenza 8.6.09, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava S.P. IMI (succeduta al B.N.) a pagare l’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al pagamento dell’indennità sostitutiva.
Condannava inoltre la Banca a risarcire il danno biologico quantificato, secondo le tabelle ‘milanesi’, in €.58.820,00, oltre rivalutazione ed interessi.
Avverso tale pronuncia proponeva appello la Banca; resistevano gli eredi F. (S. e N.), proponendo appello incidentale quanto al mancato riconoscimento del danno morale.
Con sentenza depositata il 14.4.16, la Corte d’appello di Bari dichiarava non dovuta l’indennità sostitutiva della reintegra (ritenuta impossibile per totale inabilità lavorativa), condannando la Banca al pagamento delle seguenti somme: a) indennità commisurata alla r.g.f. maturata dal licenziamento sino al novembre 2003 (epoca del pensionamento), oltre accessori; b) €.84.039 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale, oltre accessori; c) al pagamento dei 2/3 delle spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi F., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la Banca con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo gli eredi denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18 L. n. 300/70, 1 e 3 L. n. 604/66, 2118 e 2119 c.c.; della L. n. 153/69, lamentando che la Corte di merito avrebbe erroneamente calcolato la misura del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e non avrebbe riconosciuto il diritto del dante causa all’indennità sostitutiva della reintegra.
In sostanza si dolgono che la sentenza impugnata limitò il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo alla data del novembre 2003 (epoca della maturazione del diritto del dante causa al pensionamento) non estendendola alla data dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra richiesta sin dal ricorso di primo grado.
Il motivo è teoricamente fondato, posto che la sola maturazione del diritto a pensione ed anche la sola domanda di pensione, non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto (licenziamento, dimissioni o pensionamento) idoneo a risolverlo.
Tuttavia la sentenza impugnata mostra di avere accertato che dal novembre 2003 il F. (oltre ad essere totalmente inabile) era andato effettivamente in pensione, non essendo così più possibile la reintegra né il pagamento dell’indennità sostitutiva (cfr. Cass. n. 14426/2000: L’obbligazione del datore di lavoro alla indennità pari a quindici mensilità di retribuzione di cui all’articolo 18, comma quinto legge n. 300 del 1970 si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore; ne consegue che in tutti i casi in cui l’obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche l’indennità sostitutiva). Né può ritenersi che la sentenza di reintegra (del 2009) possa aver travolto, nonostante la sua natura dichiarativa con effetto ex tunc, fatti estranei al rapporto di lavoro, quale il pensionamento del dipendente.
2.- Con secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 297/82, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla data di effettiva cessazione del rapporto (8.6.09) in luogo di quella del 31.8.98 (data del licenziamento poi ritenuto illegittimo).
Il motivo, contenente un contrasto sulle date come emergono dallo storico di lite è inammissibile posto che la questione venne già dichiarata inammissibile dal Tribunale per tardività e non risulta che tale statuizione sia stata oggetto di gravame. Deve al riguardo rimarcarsi che, nulla risultando al riguardo nella motivazione della sentenza impugnata, era onere della parte odierna ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente, ed in quali termini, ciò sarebbe avvenuto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. Cass. n. 7149/2015, Cass. n. 23675/2013).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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