CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2022, n. 1199
Tributi – IMU – Abitazione principale – Coniuge non legalmente separato con residenza e dimora abituale in altro Comune – Esenzione – Esclusione
Rilevato che
1. Il Comune di Martinsicuro propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo ha respinto il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Teramo, che aveva accolto il ricorso della contribuente R.A. contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2012, per il recupero dell’Imu, che l’ente territoriale riteneva dovuto, non potendo l’immobile in questione considerarsi esente quale abitazione principale, poiché il marito, non legalmente separato, aveva la residenza e la dimora abituale in un altro Comune.
La contribuente si è costituita con controricorso.
Ognuna delle parti ha depositato memoria.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Ognuna delle parti ha depositato memoria.
Considerato che
1. Con l’unico motivo l’ente territoriale ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, d.l. n. 201 del 2011.
Assume infatti il ricorrente che, in conformità a consolidata giurisprudenza, l’agevolazione in questione debba essere interpretata rigorosamente e non possa estendersi all’ipotesi nella quale non dimorino e non risiedano abitualmente entrambi i coniugi che non siano legalmente separati.
Inoltre, aggiunge la ricorrente, la residenza anagrafica della contribuente presso l’abitazione in questione avrebbe comunque valore presuntivo, che poteva ritenersi superata anche in relazione ai ridotti consumi delle relative utenze di gas ed energia elettrica, che l’utente aveva assommato nell’anno d’imposta sub iudice (ma anche in quelli precedenti e successivi), circostanza che il Comune aveva dimostrato con i documenti richiamati per autosufficienza nel ricorso.
Il motivo è fondato e va accolto.
Invero questa Corte ha già avuto modo di affermare, che « In tema di IMU, l’esenzione prevista per la casa principale dall’art. 13 comma 2 del d.l. n. 201 del 2011 richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che l’immobile della ricorrente potesse ritenersi abitazione principale dato che il marito, non legalmente separato, aveva la residenza e la dimora abituale in un altro Comune)» (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 4166 del 19/02/2020; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 15444 del 21/06/2017, in tema di Ici; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 21873 del 09/10/2020, in tema di lei ed Imu).
Recentemente, poi, tale orientamento è stato confermato dalla recente Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, non massimata, anche con specifico riferimento all’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, così come novellato dall’art. 4, comma 5, del d.l. n. 16 del 2012, 2014), con il quale al comma 2, secondo periodo, dell’art. 13, le parole: «dimora abitualmente e risiede anagraficamente» sono state sostituite dalle seguenti: «e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile».
Interpretando tale ultima disposizione (corrispondente alla medesima che la CTR ha espressamente ritenuto di applicare), il precedente di legittimità appena richiamato ha evidenziato come in essa non risulti espressamente disciplinato il caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili non solo diversi, ma anche situati in differenti comuni.
Ed ha concluso che «Invero, nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta, unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare. […] La nozione di abitazione principale postula, pertanto, l’unicità dell’immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi.» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, cit., in motivazione).
In definitiva, ai fini che qui rilevano, «l’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato:
1) la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe);
2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno).» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, cit., in motivazione).
Sottolineato che l’interpretazione delle norme di agevolazione fiscale, che hanno natura eccezionale, deve essere necessariamente rigorosa e non consente quindi, la loro estensione ai casi non espressamente previsti, perché costituiscono comunque deroga al principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost. (ex pluribus, Cass. n. 695 del 16/01/2015), la pronuncia citata ha altresì evidenziato che l’interpretazione accolta ” è anche costituzionalmente orientata, perché, diversamente opinando, si realizzerebbe una frattura evidente dei principi costituzionali, sotto il profilo dell’uguaglianza e della capacità contributiva.” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, cit., in motivazione).
Infine, va considerato che la Circolare Ministeriale 3/ DF del 2012 – secondo cui «Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative.» – in materia tributaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da essa alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, cit.; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20819 del 30/09/2020). E comunque, nel caso di specie, come pure eccepito dal ricorrente, non risulta dalla sentenza impugnata e dal controricorso che tale «effettiva necessità» di trasferimento del coniuge della contribuente (che non può coincidere con il riferimento a generiche esigenze personali) sia stata, nei gradi di merito, allegata e dimostrata dalla parte privata.
1.1 Pertanto, intendendo dare continuità ai precedenti richiamati, rileva questo Collegio che alla fattispecie concreta sub iudice non può applicarsi la controversa agevolazione con riferimento a nessuno dei parametri normativi richiamati.
Va quindi accolto il ricorso e va cassata la decisione impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti, va inoltre rigettato il ricorso introduttivo della contribuente.
2. Le spese del giudizio di merito si compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; compensa le spese di lite del merito e condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 510,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
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