CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2019, n. 16162
Liquidazione coatta amministrativa – Restituzione da parte del Fondo Pensioni dei contributi versati – Obbligo del datore di lavoro
Rilevato che
Il giudice del lavoro del Tribunale di Palermo respinse la domanda della S. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa volta alla restituzione, da parte del Fondo Pensioni per il personale della Cassa Centrale VE per le province Siciliane, dei contributi versati ai sensi dell’art. 30 dello Statuto tra il 1° luglio 1993 e il 31 dicembre 1995, per un totale di € 3.189.086,52, di cui € 1.995.268,30 per sorte, € 769.781,35 per interessi legali e € 424.236,87 per rivalutazione monetaria;
la pretesa della S. si basava sul rilievo che per gli anni in questione era emerso un avanzo tecnico di bilancio agguagliabile al dato del 7,81% che non giustificava il versamento della contribuzione ai sensi del citato art. 30 dello Statuto, secondo cui l’obbligo del datore di lavoro sarebbe sorto solo nel caso contrario di disavanzo del bilancio;
proposta impugnazione dalla S., la Corte d’appello di Palermo (sentenza del 26.11.2013) accolse il gravame, condannando l’appellato Fondo Pensioni a restituire all’appellante la somma di € 1.955.268,00, oltre interessi legali;
la Corte territoriale spiegò che l’appellante aveva provato l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del predetto Fondo e che quest’ultimo non aveva mai contestato la sussistenza del credito, giustificando il mancato accoglimento della richiesta di restituzione esclusivamente sulla base della ritenuta esistenza di propri crediti da contrapporre a quello dell’appellante;
per la cassazione della sentenza ricorre il Fondo Pensioni per il personale della Cassa Centrale VE per le Province Siciliane con tre motivi, cui resiste la S. s.p.a. in Liquidazione coatta amministrativa con controricorso;
Considerato che
col primo motivo, proposto per violazione delle norme di cui all’art. 2697 c.c. ed agli artt. 115, comma 1, 442, 414, 416 e 420 c.p.c., nonché per erronea pronuncia sulla prova della pretesa creditoria, si assume che nessuna delle deduzioni avversarie spiegate in prime cure, né nel ricorso introduttivo, né nei verbali delle udienze, lasciava ritenere che la banca in liquidazione coatta avesse inteso affermare e dimostrare la propria pretesa sulla scorta di un’asserita mancata contestazione da parte di esso ricorrente, per cui si evidenzia l’erroneità dell’impugnata pronuncia nella parte in cui viene accertata l’esistenza del fatto costitutivo della pretesa avversaria sulla base del principio di non contestazione; in particolare, si censura la parte della sentenza impugnata in cui si afferma che il Fondo non avrebbe contestato l’avvenuto pagamento della contribuzione nella misura prevista dallo Statuto, né il suo carattere indebito alla luce del dedotto disavanzo nei bilanci tecnici degli esercizi in questione;
col secondo motivo, proposto per violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonché per erronea affermazione ed applicazione del principio di non contestazione in relazione alla documentazione prodotta in atti, il ricorrente censura l’impugnata sentenza laddove si è ritenuto che il Fondo non aveva contestato i fatti posti dalla banca in liquidazione coatta a fondamento della pretesa ripetizione delle somme pagate a titolo di contribuzione datoriale sulla base del solo tenore letterale della nota del 15.1.2004 inviata dal Presidente del Fondo alla S.;
col terzo motivo, formulato per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., il ricorrente sostiene che l’impugnata sentenza va cassata anche laddove la Corte di merito ha posto a suo carico le spese processuali;
i due primi motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati;
invero, posto che la norma processuale di riferimento per il principio della non contestazione è quella di cui all’art. 115 c.p.c., in base alla quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita vanno posti a fondamento della decisione, alla pari delle prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, e precisato che la “non contestazione” consiste in un contegno processuale, non potendo concorrere ad integrarla atteggiamenti assunti dalla parte prima e al di fuori del giudizio, se ne ricava che l’onere di contestazione (specifica) trova il suo alveo naturale e fisiologico nel processo dove, infatti, viene ad essere espressamente regolato dall’art. 115 c.p.c.;
quindi, ha ragione il ricorrente a dolersi del fatto che l’impugnata sentenza è errata nel punto in cui si afferma, sulla base del solo tenore letterale della nota del 15.1.2004 inviata dal Presidente del Fondo alla S., che il Fondo non aveva contestato i fatti posti dalla banca in liquidazione coatta a fondamento della pretesa ripetizione delle somme pagate a titolo di contribuzione datoriale;
infatti, il contenuto della suddetta nota attiene ad un atto stragiudiziale sul quale non può essere basato, come ha fatto la corte di merito, il principio della “non contestazione”;
pertanto, i primi due motivi del ricorso vanno accolti, rimanendo assorbito l’esame del terzo motivo incentrato sul solo riparto delle spese di lite, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e con rinvio del procedimento, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione;
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso, cassa l’impugnata sentenza, assorbito il terzo motivo, rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
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