CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 luglio 2018, n. 18989
Agevolazioni fiscali – Credito d’imposta – Spese sostenute per la attività di ricerca e sviluppo – Innovazione del prodotto
Rilevato in fatto
La società V.G. s.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Pescara il provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva negato, in conseguenza dell’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, il nulla osta alla fruizione del credito di imposta previsto dall’art. 1, commi 280-283, della legge n. 296 del 2006, pari al 10% delle spese sostenute per la attività di ricerca e sviluppo volta alla cd. innovazione del prodotto.
A sostegno del ricorso deduceva la illegittimità costituzionale dell’art. 29 del d.l. n. 185 del 2008, convertito nella legge n. 2 del 2009, che, modificando la normativa precedente, aveva previsto, per gli anni 2008-2011, uno stanziamento fisso nel bilancio dello Stato entro il quale quei crediti di imposta avrebbero trovato copertura ed aveva stabilito che le somme stanziate sarebbero state attribuite agli aventi diritto, per le attività di ricerca avviate prima del 29.11.08, secondo un criterio meramente temporale, nel senso che sarebbero stati privilegiati coloro che, per primi, avessero inoltrato per via telematica un formulario di prenotazione contenente l’importo delle spese agevolabili da sostenere; eccepiva altresì la violazione di norme del cd. Statuto dei diritti del Contribuente (legge n. 212 del 2000) e chiedeva dichiararsi la illegittimità del provvedimento di diniego.
L’Agenzia delle Entrate – Ufficio Centro Operativo di Pescara (C.O.P.) – chiedeva il rigetto del ricorso, contestando i rilievi mossi dalla parte ricorrente.
La Commissione Tributaria provinciale respingeva il ricorso ed avverso tale decisione proponeva appello la società contribuente. La Commissione Tributaria regionale, con sentenza n. 491/09/2012, del 15.5/23.5.2012, respingeva tutte le censure sollevate, confermava la sentenza impugnata, evidenziando che il d.l. n. 185 del 2008, convertito in legge n. 2 del 2009, perseguendo l’obiettivo di “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, aveva la finalità di rendere prevedibili le entrate e le uscite del bilancio dello Stato e, per tale ragione, aveva esteso a quei crediti il sistema di monitoraggio ed il principio di fruizione entro limiti quantitativi prefissati, come previsto, in generale, per tutti gli altri crediti di imposta.
La società contribuente ricorre per cassazione affidandosi a sei motivi di ricorso e l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, 3 del d.l. 29.11.08 (c.d. «decreto anticrisi»), convertito in legge 28.1.09 n. 2, per violazione degli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è infondato.
Occorre, al riguardo, osservare che in relazione all’asserito contrasto della suddetta normativa con gli artt. 41, 97 e 117 Cost. si è già espressa questa Corte con l’ordinanza n. 3576 del 2015, con motivazioni che questo Collegio condivide ed alle quali si richiama espressamente.
Questa Corte ha poi sollevato, in via subordinata, con riferimento all’art. 3 della Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lett. a) e 3 del d.l. n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i crediti di imposta relativi a costi sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29.11.2008, è previsto un tetto massimo di stanziamento ed una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione telematica delle domande dei contribuenti (cfr. Cass. sez. 6, ord. 23/02/2015, n. 3576).
La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 149 del 27/06/2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 ed inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2 lett. a) e 3 del medesimo d.l., sollevate da questa Corte.
Dopo avere ricostruito il quadro normativo che regola i crediti di imposta richiesti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo, la Corte Costituzionale, dando atto che, secondo il rimettente, la disposizione censurata avrebbe di fatto “abolito” il diritto di credito già maturato in relazione ai costi già sostenuti, nonché l’aspettativa del credito maturato in relazione ai costi da sostenere, ha rilevato che il valore del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 della Costituzione, non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige che ciò avvenga alla condizione «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica…. L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in <<principi, diritti e beni di rilievo costituzionale>>, e dunque abbia una <causa normativa adeguata>>, quale un interesse pubblico sopravvenuto o una <<inderogabile esigenza>>; 2) sia comunque rispettoso dei principio di ragionevolezza…. inteso, anche, come proporzionalità …..
Nella specie, la Consulta ha ritenuto che la disposizione censurata abbia una «causa normativa adeguata», poiché trova giustificazione nei «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale» tutelati dagli artt. 2, 3 e 81 della Costituzione, e non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità, dato che, a seguito di successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti «perdenti» non è stata incisa in maniera assoluta, considerato che gli ulteriori stanziamenti previsti ex l. n. 191 del 2009 hanno permesso la copertura di circa metà dei loro crediti, e tenuto conto che i crediti di imposta originariamente riconosciuti coprivano solo il 10% dei costi destinati alla attività di ricerca, sicché il loro venir meno non può avere avuto una incidenza decisiva sul complesso andamento economico delle imprese.
Con riguardo alla questione sollevata da questa Corte in via subordinata, premesso che secondo il rimettente la disposizione normativa di cui all’art. 29, co. 2, lett. a) e co. 3, d.l. n. 185 cit. era da censurare nella parte in cui prevedeva una procedura di ammissione al beneficio basato sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti, perché il criterio selettivo è del tutto scollegato dal merito delle ragioni di credito e dalla solerzia del loro esercizio, la Corte Costituzionale ha ritenuto la questione inammissibile, sottolineando che un eventuale suo accoglimento determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da iniquità ed irragionevolezza, perché coloro che sono risultati vincitori nella procedura telematica non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, finanziamento che è riservato ai «perdenti».
Alla luce dei principi enunciati dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale deve dunque ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia “contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa un fatto controverso e risolutivo per la definizione del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.”.
La ricorrente ha sottolineato che la C.T.R., pur avendo affermato che la legge n. 296 del 2006 ha attribuito alle imprese un diritto soggettivo “perfetto” alla fruizione del credito di imposta, ha ritenuto legittimo il diniego di nulla-osta emesso dal C.O.P. sul presupposto che questo non riguarderebbe l’esistenza del diritto, ma le sue modalità di fruizione, rinviate nel tempo per carenza di fondi.
2.1. Il motivo è infondato.
Il Giudice di appello, senza incorrere nel denunciato vizio di motivazione contraddittoria o illogica, ha esaurientemente osservato che l’art. 29 del d.l. n. 185 del 1998 (ndr art. 29 del d.l. n. 185 del 2008), convertito nella legge n. 2 del 2009, perseguendo l’obiettivo di “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, non ha inciso sulla spettanza del diritto al credito di imposta, ma ha, piuttosto, introdotto un limite quantitativo alla fruizione di quel diritto che trova proprio giustificazione nella esigenza di non poter assumere oneri finanziari in assenza della necessaria copertura, dovendosi far fronte alla grave situazione economica in atto.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto “violazione e falsa applicazione dell’art. 3, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.” perché la Commissione Tributaria regionale ha ritenuto non censurabile l’applicazione retroattiva dell’art. 29 d.l. n. 185 del 2008, che ha introdotto un tetto massimo per la fruibilità del credito di imposta, con effetto anche per i crediti maturati anteriormente.
3.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte affermato che le disposizioni della legge n. 212 del 2000 – fra cui il principio dettato dall’art. 3, secondo il quale “salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, così codificando nella materia fiscale il principio di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale -, pur se costituenti principi generali dell’ordinamento tributario, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la modifica o la deroga, purché espressa e non ad opera di leggi speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa che si ponga in contrasto con esse non è suscettibile di disapplicazione, né può essere di per sé oggetto di questione di legittimità costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità (Cass. n. 4815 del 28/02/2014).
Pertanto, la regola generale dell’irretroattività delle disposizioni tributarie ex art. 3 della legge n. 212 del 2000, può essere legittimamente derogata da altra specifica ed espressa norma, di pari rango, senza che ciò comporti alcun vulnus ai principi costituzionali.
4. Anche il quarto motivo di ricorso con il quale si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, della legge 212 del 2000 e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”, è infondato.
La C.T.R. ha rilevato che la nuova normativa non viola il principio dell’affidamento, né i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento in ragione della sussistenza di un superiore interesse dello Stato a far fronte alla grave crisi economica ed a rispettare i parametri imposti dalla Comunità europea, come successivamente sottolineato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 149 del 27 giugno 2017.
Sebbene la C.T.R. abbia fornito una interpretazione del principio di legittimo affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea – interpretazione secondo la quale il principio non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’Amministrazione, mentre, al contrario, il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non solo la Corte Costituzionale, ma anche la stessa Corte di Giustizia, in qualche occasione, ha ammesso che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza di situazioni particolari e a determinate condizioni.
Con riferimento alle materie regolate da norme euro-unitarie, la Corte di Giustizia, occupandosi della definizione del concetto di legittimo affidamento, ha affermato che, per quanto lo stesso sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (Corte Giust., sentenza del 23/11/1999 nella causa C-149/96).
E ancora: «Di conseguenza, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (cfr. sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987, 3745, punto 27 della motivazione; sentenza 17 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race. 1979, pag. 2755, punto 33 della motivazione)»(Corte Giust., causa C-350/88).
5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della legge 212 del 2000 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”.
Lo stesso è, parimenti, infondato.
Invero, l’obbligo di motivazione quale scaturisce dal parametro normativo invocato non è stato violato, né erroneamente interpretato, posto che il provvedimento di diniego è stato adeguatamente motivato sulla base del rilievo che il mancato rilascio del nulla osta alla fruizione del credito di imposta era dipeso dall’esaurimento delle risorse finanziarie, circostanza pienamente idonea ad esplicare e giustificare la mancata concessione dell’agevolazione fiscale in esame.
Peraltro, come posto in evidenza dalla C.T.R., «…la intera procedura è stata gestita da un programma informatico…» e la indicazione del giorno e dell’ora di arrivo della domanda ha consentito alla società ricorrente di verificare che non siano state accolte istanze inviate in epoca o in ora successiva alla sua.
6. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 2, della legge n. 212 del 2000 nonché dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”.
6.1. La ricorrente lamenta il fatto che la C.T.R. abbia ritenuto che il diniego di nulla osta non necessitasse dell’indicazione del responsabile del procedimento e sostiene che l’atto della Amministrazione finanziaria privo di tale requisito, previsto espressamente dall’art. 7, comma 2, dello Statuto del Contribuente, sarebbe annullabile per violazione di legge, a nulla rilevando che si sia trattato di una procedura telematica, essendo previsto dall’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 “è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge”.
Il motivo è infondato. L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta dall’art. 36, comma 4- ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 31 del 2008, solo con riferimento alle cartelle di pagamento riferite a ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 10 giugno 2008 (Cass. n. 11856 del 12/05/2017).
Peraltro, l’art. 36, comma 4 ter d.l. n. 248 del 2007 si riferisce espressamente alle cartelle esattoriali di cui all’art. 25 d.P.R. n. 600 del 1973, mentre nella specie si tratta di un provvedimento di diniego di agevolazione, e, quindi, di atto di natura diversa.
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 – anche a voler prescindere dalla questione circa l’applicabilità di tale norma in ambito tributario, connotato dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti impositivi – va ribadito il principio già espresso, secondo cui in base a tale norma, la cui ratio va ravvisata nell’intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, va esclusa l’annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme del procedimento, in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse, ad interferire sul suo contenuto (Cass. Sez. U., n. 14878 del 2009).
Nella fattispecie in esame il provvedimento di diniego adottato ha sicuramente natura vincolata e non discrezionale, considerato che il rilascio del nulla osta dipendeva esclusivamente dalla disponibilità delle risorse economiche e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda e non avrebbe, di conseguenza, potuto avere contenuto diverso da quello adottato.
In conclusione, il ricorso proposto va integralmente respinto.
La novità delle questioni trattate, in ragione del recente intervento della Corte Costituzionale, giustifica la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali. Così deciso nella Camera di Consiglio del 27 marzo 2018
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