CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 luglio 2018, n. 18999
Tributi – Accertamento – Incorporazione societaria – Istanza di annullamento in autotutela – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
1. Con separati avvisi di accertamento relativi a Irpeg ed Ilor degli anni di imposta 1990-1993, l’Agenzia delle Entrate riprendeva a tassazione l’ammortamento dell’avviamento iscritto in bilancio a seguito del disavanzo risultante dalla fusione per incorporazione della società S. spa. La società I. spa impugnava gli avvisi dinanzi alla CTP di Catania che accoglieva i ricorsi con sentenze confermate in appello, ad eccezione di quello relativo all’avviso dell’anno di imposta 1991, la cui legittimità veniva confermata prima dai giudici regionali e poi dalla Corte di cassazione (sentenza n. 4312 del 2005).
Successivamente, in data 18.04.2005, al passaggio in giudicato delle relative sentenze, la società I. presentava istanza di annullamento in autotutela dei predetti avvisi, deducendo in proposito l’illegittimità della pretesa tributaria.
L’Ufficio unico delle Entrate respingeva l’istanza e l’ente ricorrente si rivolgeva alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, che dichiarava inammissibile il ricorso con sentenza impugnata dalla società.
La C.T.R. di Palermo rigettava l’appello sul presupposto che l’atto amministrativo era divenuto intangibile in presenza di un giudicato favorevole all’amministrazione.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe l’ente contribuente propone ricorso per la cassazione, su due motivi.
La contribuente resiste con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato memorie difensive.
Considerato che
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 quater d.l. 30.09.1994 e del d.m. 19697/37, nonché dell’art. 10 Statuto del contribuente ex art. 360 n. c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la legittimità del diniego di autotutela dell’ente finanziario, in presenza di giudicato favorevole all’ente medesimo (sentenza di questa Corte n. 4312 del 2005).
3. Con il secondo motivo denuncia omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, avendo i giudici regionali trascurato di valutare la novità dei fatti rappresentati, costituiti dall’acquisizione onerosa dell’avviamento e dalla intangibilità della relativa appostazione in bilancio al 31.12.1989.
4. Il primo e il secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per intima connessione, sono infondati.
La ratio decidendi della sentenza impugnata consiste nel ritenere inammissibile un’istanza di autotutela relativa ad un rapporto tributario ormai definitivo, come chiaramente emerge dall’affermazione del giudice a quo secondo la quale la legittimità del diniego discende da un precedente giudicato favorevole all’ufficio. Ne consegue che i motivi sopra enunciati si rivelano chiaramente non fondati, poiché il giudice, nella sentenza impugnata, basata sull’anzidetta ratio decidendi, da un lato ha evidentemente ritenuto assorbita ogni questione in ordine alla legittimità del diniego di autotutela, e, dall’altro, ha esaurientemente esposto le ragioni della decisione. In ogni caso, le Sezioni unite di questa Corte hanno più volte affermato il principio secondo il quale avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, quanto per l’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività, atteso che diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009). Dunque, l’istanza di autotutela del contribuente non determina per l’Amministrazione alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto meno, di agire nel senso prospettato dal contribuente stesso.
Contro il rifiuto espresso di autotutela potrà comunque esercitarsi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria e, nel caso in esame, anche una illegittima ablazione del giudicato che ha riguardato la legittimità del medesimo atto impositivo( Cass. n. 11457/2010; Cass. n. 10020/2012; Cass. nn. 25563, 15194 e 255524/2014).
Questa Corte ha affermato, in particolare, che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto giacchè fuori dalla ridetta situazione, l’atto con il quale l’amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo – stante la relativa discrezionalità – non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle commissioni tributarie (v. sez. un. n. 3698/2009)”.
In particolare, questa corte ha chiarito che “il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” ( Cass. n. 7616/2018;n. 1965/2018; n. 20314/2017).
Nella fattispecie, la ricorrente non ha addotto alcun interesse pubblico all’annullamento, il quale non può farsi consistere, come ora pretende il ricorrente, nel fatto che il ricorso originario fosse fondato sulla prospettazione di due profili di illegittimità non vagliati dalla Corte; laddove, a fronte della definitività dell’atto, occorre far valere l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto stesso.
Concludendo, essendo l’attività di autotutela contrassegnata da ampia discrezionalità non surrogabile in via giudiziaria, contro il diniego di procedere all’esercizio del potere non può essere proposta impugnazione in sede giurisdizionale (cfr Cassazione, sezioni unite, 3698/2009), salvo che per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto in sé, e in rapporto alla sua specifica funzione, al di là della contestazione della pretesa tributaria originaria (cfr Cassazione 11457/2010).
5.Nello specifico, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione dell’anzidetto principio, escludendo la possibilità di dare ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo, atteso l’intervenuto giudicato proprio sull’onerosità dell’avviamento che il contribuente vorrebbe rimettere in discussione nonostante la decisione di questa Corte sul punto ( Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009; Cass. n. 11457 del 2010; Cass. n.. 15220 del 2012). Peraltro, attraverso l’impugnazione del diniego di autotutela, la ricorrente ha introdotto un tema – l’intangibilità del bilancio al 31.12.1989 – che non determina in via automatica nè l’inesistenza dell’atto né l’obbligo dell’ente di ritirarlo: per le ipotesi di nullità dell’atto tributario, di qualsiasi natura esse siano, opera difatti il principio generale di conversione in mezzi di gravame. Ed in ogni caso, come già illustrato, non è la sussistenza del vizio che obbliga l’amministrazione finanziaria ad annullare l’atto in via di autotutela, ma solo la necessità di difendere un interesse generale dell’amministrazione.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio di legittimità gravano, per il principio della soccombenza, sul ricorrente.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla refusione delle spese sostenute dall’Agenzia che liquida in euro 11.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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