CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 luglio 2020, n. 15292
Prescrizione quinquennale dei crediti – Contributi previdenziali INPS ed INAIL – Cartella esattoriale – Nessuna novazione oggettiva e soggettiva del credito
Ritenuto che
la Corte d’appello di Torino, con l’indicata ordinanza, ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza che aveva accolto parzialmente la domanda di D.N., G.G., dichiarando la prescrizione quinquennale dei crediti portati nelle cartelle, ivi individuate, con le quali veniva intimato il pagamento di contributi previdenziali INPS ed INAIL.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate Riscossione proponendo due motivi contro l’ordinanza e tre motivi contro la sentenza di primo grado; D.N. G.G. ha resistito con controricorso; l’INAIL si è costituito con controricorso con il quale ha “auspicato” l’accoglimento del ricorso. L’INPS ha rilasciato delega.
E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Rilevato che
1. – con il primo motivo di ricorso proposto con l’ordinanza viene dedotta erronea e falsa applicazione dell’art. 348 bis e 348 ter, comma 2 c.p.c.; degli artt. 2943 e 2945 c.c.
2. – Con il secondo motivo proposto contro l’ordinanza viene dedotta erronea statuizione in ordine alla condanna alle spese . Falsa applicazione dell’art. 2233, comma 1 n. 3 c.p.c.
3. – Con il primo motivo proposto contro la sentenza viene dedotta violazione degli artt. 2946 c.c. e degli articoli 19 e 20 del decreto legislativo numero 112/1999, art. 17 del decreto legislativo 46/1999 ; erronea e falsa applicazione dell’articolo 3, comma 9, lett. b) legge numero 335/1995, articolo 2953 cc e articolo 1230, comma 2 c.c.; violazione articolo 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360 comma 1, n. 3 tre c.p.c.; per aver ritenuta maturata la prescrizione quinquennale del credito portato dalle cartelle di pagamento alle quali doveva essere applicato il termine ordinario di prescrizione e per non aver ritenuto atto idoneo ad interrompere la prescrizione gli sgravi effettuati dall’ ente e non contestati dal contribuente.
4. – Con il secondo motivo proposto contro la sentenza viene dedotto vizio della sentenza per avere erroneamente ritenuto prescritto il credito portato dalla cartella di pagamento n. 11020100094602457000 notificata in data 5.4.2012, violazione dell’articolo 2943 c.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 2945, comma 2 c.c. per aver ritenuto maturata la prescrizione quinquennale del credito portato dalla cartella di pagamento non ritenendo quale atto idoneo ad interrompere la prescrizione breve il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
5. – Con il terzo motivo di ricorso proposto contro la sentenza viene dedotto vizio della sentenza per erronea statuizione in ordine alla condanna alle spese, violazione e falsa applicazione l’articolo 92, comma 2 c.p.c. non avendo il tribunale tenuto conto del mutamento giurisprudenziale avvenuto in materia e della peculiarità delle questioni trattate che avrebbero dovuto comportare la compensazione delle spese di lite.
6. Il ricorso, col quale si mira a mettere in discussione il principio della durata quinquennale della prescrizione dei crediti previdenziali iscritti a ruolo per effetto della novazione oggettiva e soggettiva del credito, è infondato alla stregua dell’orientamento di questa Corte già affermato dalle SU n. 23397/2016 e ribadito anche di recente, tra le altre, da Cass. n. 31352 del 04/12/2018.
7. – E’ stato invero osservato da questa Corte che il conferimento al concessionario della funzione di procedere alla riscossione dei crediti, nonché la regolamentazione ex lege della procedura e la previsione di diritti e obblighi del concessionario stesso, non determina il mutamento della natura del credito previdenziale e assistenziale, che è assoggettato per legge ad una disciplina specifica. Né tantomeno potrebbe determinarsi in tal modo una modifica del regime prescrizionale, che per i contributi sarebbe incompatibile con il principio di “ordine pubblico” dell’irrinunciabilità della prescrizione, valorizzato anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 17/11/2016, che ha affermato il principio richiamato dal giudice di merito ed alla quale occorre dare continuità (vedi sul punto anche Cass., Sez. lav., 15 ottobre 2014, n. 21830; Id. 24 marzo 2005, n. 6340; Id. 16 agosto 2001, n. 11140; Id. 5 ottobre 1998, n. 9865; Id. 6 dicembre 1995, n. 12538; Id. 19 gennaio 1968, a. 131). In assenza di un titolo giudiziale definitivo, che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito e produca la rideterminazione in dieci anni della durata del termine prescrizionale ex art. 2953 c.c., continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dall’art. 3 della legge n. 335 del 1995 e non ricorrono pertanto i presupposti per l’applicazione della regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. 4. Né giova alla tesi della ricorrente il richiamo all’art. 20 comma 6 del d.lgs. n. 112 del 1999, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore.
8. Pure infondato è il motivo col quale si sostiene che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, proposto da D.N. G.G., contenente la richiesta di accertamento negativo del credito, fosse atto idoneo ad interrompere la prescrizione breve.
9. Va invece affermato che ai fini dell’interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 2943, 1 comma c.c. – il quale prevede che la prescrizione è interrotta dalla notificatone dell’atto con il quale si inizia un giudizio sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo – non è sufficiente una domanda di accertamento negativo proposta dal debitore essendo invece necessaria la proposizione di una domanda da parte del creditore. E ciò sia perché la prescrizione è rivolta a sanzionare l’inerzia del titolare nell’esercizio del diritto e non viene interrotta dall’azione del soggetto passivo del rapporto rivolta a contestare l’esistenza stessa del diritto. Sia perché l’art. 2943, 1 c. c.c. ai fini del prodursi dell’effetto interruttivo richiede la notifica della domanda (con cui si inizia un giudizio di cognizione, conservativo o esecutivo), sul presupposto che si tratti della domanda proposta del creditore nei confronti del debitore, e non viceversa.
10. – Anche il motivo relativo alla mancata compensazione delle spese processuali è infondato; va rilevato infatti che la sentenza delle Sez. Unite, che ha risolto il contrasto in materia, è stata pronunciata nel 2016 mentre il ricorso in appello da parte della ricorrente è stato proposto in data 25.1.2018 quando non risultava più alcun contrasto. Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360 bis, n. 1 c.p.c.
11. Le spese seguono la soccombenza nei confronti di ASV che ha resistito al ricorso; mentre devono compensarsi nei riguardi dell’INAIL che ha sostanzialmente aderito allo stesso. Nulla spese nei confronti dell’INPS che non ha espletato attività difensiva.
12. – Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, ai sensi dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 .
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di D.N. G.G. in € 5600,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 150/o ed accessori di legge. Compensa le spese nei riguardi di INAIL. Nulla spese nei confronti dell’INPS.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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