CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13432
Dipendente Inps – Pensione di reversibilità – Domanda – Decadenza
Rilevato che
con sentenza del 9 luglio 2013, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto, per decadenza ed infondatezza, della domanda proposta da D.D.M., titolare di pensione diretta quale ex dipendente INPS (cessato dal servizio il 31 dicembre 2008) e di pensione di reversibilità quale vedovo di E.A. (pure dipendente Inps) deceduta il 22.2.2003, al fine di ottenere l’erogazione dell’indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità anche per il periodo precedente al proprio collocamento in quiescenza;
la Corte di merito ha ritenuto che il primo giudice avesse correttamente accertato la decadenza triennale di cui all’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1979 n. 639 in considerazione del fatto che:
– risultava documentalmente che il D.M. avesse presentato domanda espressamente diretta ad ottenere l’indennità integrativa speciale in data 7 marzo 2003, specificando in tale occasione di non percepire il trattamento su altra pensione e di essere dipendente INPS;
– la risposta negativa dell’Istituto era intervenuta in termini inequivoci posto che il diniego era stato motivato con il rilievo che fino al 31.12.2002 il D.M.aveva percepito l’indennità sullo stipendio di dipendente INPS e non avrebbe potuto godere della medesima integrazione sulla pensione di reversibilità ai sensi dell’art. 2, comma 6, I. n. 324 del 1959;
– inoltre, dal 1.1.2003, l’indennità era stata soppressa per inclusione nello stipendio tabellare a seguito della stipula del c.c.n.l. 2002/2005 (art. 2, comma 2) e pur tuttavia il diritto all’indennità integrativa speciale doveva ritenersi sospeso in base all’art. 17 della I. n. 843 del 1978 fino alla cessazione dell’attività lavorativa;
– in data 23 dicembre 2008, il D.M.aveva chiesto la liquidazione della pensione integrativa a carico del Fondo di Previdenza ex dipendenti Inps a decorrere dal 1.3.2003 ed in subordine dal 1.1.2009;
– a tale richiesta l’INPS aveva risposto negativamente il 26 febbraio 2010 ribadendo il divieto di cumulo sino al 31 dicembre 2008;
da tali dati fattuali trovava fondamento l’accertamento dell’intervenuta decadenza per il decorso del termine di tre anni più trecento giorni di cui all’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, tra la data della domanda del 7 marzo 2003 ed il deposito del ricorso giudiziario del 9 febbraio 2011, non rilevando le modifiche di cui all’art. 38, comma 1 n. 2 lett. d) del d.l. n. 98 del 2011 conv. in I. n. 111 del 2011;
avverso tale sentenza Donato D.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha opposto difese l’INPS con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e o falsa applicazione dell’art. 4 d.l. n. 384 del 1992 conv. in I. n. 438 del 1992 in combinato con l’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970 come integrato dall’art. 38, comma 1, n. 2 d.l. n. 98 del 2011 conv. in I. n. 111 del 2011 dal momento che, ad avviso del ricorrente, la sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’atto dell’INPS datato 26 aprile 2004 ed indirizzato alla Direzione provinciale dell’INPS di Novara e per conoscenza al D.M., contenesse il rigetto della domanda e tale contenuto di rigetto della domanda va ravvisato solo con la liquidazione del 26 febbraio 2010, successiva alla domanda del 23 dicembre 2008;
con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e o falsa applicazione dell’art. 99 d.p.r. n. 1092/73 e dell’art. 17, comma 1, I. n. 843 del 1978 nonché I. n. 663 del 1978, relativamente alle motivazioni addotte dal giudice di primo grado, posto che, seppure la sentenza impugnata non ha esaminato nel merito la domanda, a tali motivazioni il giudice d’appello ha fatto riferimento nel giustificare la decisione di compensare le spese di lite;
i due motivi, in ragione della peculiarità della fattispecie concreta che si caratterizza, ai fini della esatta individuazione della disciplina sulla decadenza sostanziale applicabile, per l’assenza di presentazione di ricorso amministrativo a seguito del mancato accoglimento della domanda di prestazione, vanno trattati congiuntamente e sono in parte fondati;
va osservato che risulta dal ricorso per cassazione (pag. 1 ultima riga), oltre che dalla sentenza impugnata, che il sette marzo del 2003,
successivamente al decesso della coniuge E.A. (titolare di pensione A.G.O. e pensione integrativa a carico del Fondo di previdenza degli ex dipendenti INPS) avvenuto il 22 febbraio 2003, il ricorrente ha inoltrato domanda di pensione di reversibilità che, poiché l’importo della pensione AGO di cui fruiva la A. era superiore a quello della pensione integrativa, era limitata alla sola indennità integrativa speciale;
il punto controverso tra le parti è quello relativo alla interpretazione del contenuto della nota dell’INPS del 26 aprile 2004 che, ad avviso del ricorrente, non integra un diniego rispetto alla detta domanda in quanto, oltre ad essere indirizzata al medesimo solo per conoscenza, contiene una semplice risposta interlocutoria, descrittiva delle incertezze interpretative determinate dalla soppressione dell’indennità integrativa speciale e dalla sua inclusione nello stipendio tabellare a seguito degli interventi della giurisprudenza costituzionale sul disposto dell’art. 2, legge n. 324 del 1959 e dell’art. 17 della legge n. 843 del 1978; va, tuttavia, osservato che, secondo i principi elaborati ed affermati da questa Corte di legittimità in vista della individuazione della regola da applicare per verificare la decadenza sostanziale in procedimenti relativi all’erogazione di prestazioni previdenziali da parte dell’Inps, il dato rilevante non è connesso al provvedimento di diniego della prestazione stessa ma alla effettiva presentazione di ricorso amministrativo successivamente alla proposizione della domanda di prestazione;
in particolare, nel caso di specie, oltre ad essere certa la proposizione della domanda di erogazione della pensione integrativa di reversibilità a carico del Fondo Inps sin dal 7 marzo 2003, risulta pure certo, da quanto riferito dalle parti sulle vicende del procedimento, non essere stato proposto alcun ricorso amministrativo in relazione alla mancata erogazione della prestazione domandata il 7 marzo 2003;
occorre, dunque, a prescindere dalla interpretazione della nota del 26 aprile 2004, innanzi tutto verificare la sussistenza dei presupposti applicativi della decadenza regolata dall’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, considerando a tal fine che il deposito del ricorso giudiziario è avvenuto in data 9 febbraio 2011;
a proposito del dies a quo di decorrenza della citata decadenza in ipotesi di mancata presentazione di ricorso amministrativo, va ricordato che secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. n. 12878 del 2014; n. 6018 del 2005; n. 20715 del 2004) in tema di decadenza “sostanziale” per il conseguimento di prestazioni previdenziali, di cui all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, come modificato dall’art. 6 del d.l. 29 marzo 1991 n. 103, convertito nella legge 1 giugno 1991 n. 166, e dell’art. 4 d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, la scadenza dei termini complessivamente previsti per l’esaurimento del procedimento amministrativo non individua una nuova ed autonoma ipotesi di decadenza, ma completa la gamma delle diverse eventualità di decorrenza del termine in presenza del comune presupposto costituito dall’avvenuta presentazione del ricorso amministrativo;
qualora, peraltro, come nel caso di specie, sia mancato qualsiasi ricorso, il “dies a quo” è costituito, ai sensi dalla seconda parte del primo comma dell’art. 6 del d.l. n. 103 cit., dal giorno della maturazione dei singoli ratei di prestazione. La suddetta scadenza costituisce il limite estremo di utilità di ricorsi proposti tardivamente, ma pur sempre anteriormente al suo verificarsi, e determina anche l’effetto dell’irrilevanza di un ricorso proposto solo successivamente, rispetto al quale potrà semmai porsi il problema se esso sia identificabile come nuova domanda amministrativa. La scadenza stessa, in assenza di ricorsi anteriormente presentati, e nonostante la presenza di ricorsi proposti successivamente ad essa, non determina tuttavia il “dies a quo” del termine di decadenza dall’azione giudiziaria, operando, in relazione alle descritte eventualità, la diversa ipotesi della decadenza introdotta dall’art. 6 del d.l. n. 103 del 1991, ossia quella decorrente dalla maturazione dei singoli ratei;
applicando tale principio alla fattispecie concreta, va affermato che il decorso del triennio previsto dall’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, ha colpito, con la decadenza sostanziale, le pretese relative ai singoli ratei del trattamento pensionistico integrativo di reversibilità maturate sino al triennio precedente al deposito del ricorso giudiziario (avvenuto il 9 febbraio 2011) e cioè sino al 9.2.2008, essendo irrilevante la successiva domanda di liquidazione dell’indennità integrativa speciale sulla pensione integrativa di reversibilità avanzata dal D.M.il 26.9.2008 (o come lo stesso afferma in rettifica alla pagina 2 del ricorso il 30 dicembre 2008), in relazione al principio affermato da questa Corte di legittimità (da ultimo Cass. n. 21039 del 2018 ) secondo il quale in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, la riproposizione, successivamente alla maturazione della decadenza, di una nuova domanda diretta ad ottenere il medesimo beneficio previdenziale non fa venir meno gli effetti decadenziali già prodotti posto che l’istituto, di natura sostanziale e di ordine pubblico, tutela la certezza dei capitoli di spesa gravanti sul bilancio dello Stato, che verrebbe altrimenti vanificata;
quanto, poi, ai ratei (dal febbraio al dicembre 2008) per cui la decadenza sostanziale non è operante e per i quali l’Inps non ha già riconosciuto il diritto, ricadendo in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro del D.M.con il venir meno dell’erogazione dell’indennità integrativa speciale unitamente al trattamento stipendiale, va osservato che il motivo di ricorso all’uopo articolato, nell’ipotesi di accoglimento anche parziale del primo motivo, va accolto nei limiti temporali sopra indicati;
infatti, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. n. 14309 del 2012; Cass. 13182 del 2010), alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 566 del 1989 e n. 204 del 1992, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell’art. 17 della legge n. 843 del 1978, nella parte in cui vietavano il cumulo dell’indennità integrativa speciale sul trattamento pensionistico con il concorrente trattamento retributivo da lavoro dipendente che prevedesse altra indennità identica o analoga, senza fissare un limite di reddito, non vi è più alcuna norma nell’ordinamento giuridico che precluda la corresponsione di una doppia indennità integrativa speciale nei confronti del pensionato che presti opera retribuita alle dipendenze di terzi, non potendo il divieto di cumulo, ormai caducato, rivivere in mancanza di un intervento legislativo “ad hoc”, secondo i parametri indicati dalla Corte costituzionale mediante l’individuazione in via interpretativa di un limite reddituale;
pertanto, il ricorso va accolto nei limiti sopra indicati e la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, al fine di un nuovo esame della domanda alla luce di quanto sopra affermato in termini di decadenza dal diritto alla erogazione dell’indennità integrativa speciale sui ratei della pensione integrativa di reversibilità maturati tra il 9 febbraio ed il mese di dicembre 2008 e dell’assenza di preclusioni derivanti da specifiche disposizioni di legge in ipotesi di cumulo di erogazione dell’indennità integrativa speciale su tale trattamento pensionistico e sulla retribuzione erogata al beneficiario;
il giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione alla quale demanda la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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