CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 maggio 2021, n. 13221
Società – Cooperative – Cessazione dalla carica di amministratore – Opponibilità – Effetti sulla responsabilità e sul decorso della prescrizione – Formalità
Rilevato che
Con sentenza del 21.3.01 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarò il fallimento della CISA – coop. a r.l.; con citazione notificata il 27.3.06 la curatela fallimentare convenne innanzi allo stesso Tribunale vari soggetti nelle qualità di consiglieri, vice-presidente, presidente del consiglio d’amministrazione, sindaci e Presidente del collegio sindacale della società fallita, contestando l’omessa ed irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie, sino al 3.12.95 (libro-giornale e degli inventari), al 30.1.96 (registro delle fatture) e fino al 3.12.98 (libro- giornale dei compensi a terzi), rilevando che le annotazioni presenti sui libri rinvenuti erano incomplete ed in larga parte eseguite a matita.
In particolare, la curatela esponeva che: nel corso dell’esercizio del 1999, D.S., presidente del consiglio d’amministrazione, aveva versato a terzi assegni tratti sul conto corrente della società e che, con riguardo a tali pagamenti, non risultava fatturata alcuna prestazione di terzi, emergendo dunque una illecita condotta di distrazione di liquidità in quanto estranea alle finalità societarie; amministratori e sindaci avevano violato gli obblighi gestori con condotte dannose per la società, sia perché risultavano compiuti atti di disposizione di ingenti somme di pertinenza della società per finalità estranee all’oggetto sociale, sia perché i convenuti non avevano convocato l’assemblea per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2447 c.c., evidenziando la curatela, al riguardo, come a fronte di un passivo fallimentare di euro 303.429,90 risultasse un attivo nullo; pertanto, i convenuti erano da condannare in solido- o nei limiti delle rispettive attribuzioni – al risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 146 l.f., 2393 e 2394, c.c.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda.
Con sentenza del 16.6.2009 il Tribunale, tra l’altro, dichiarò la responsabilità di M.C., vice-presidente del consiglio d’amministrazione, in solido con altri due membri del consiglio e con i sindaci, tra i quali A.R., per la mancata tenuta delle scritture contabili, per la totale distrazione delle risorse della C.I.S.A. dai fini inerenti all’oggetto sociale, nonché per la mancata convocazione dell’assemblea ex art. 2447 c.c., condannando i suddetti convenuti al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di euro 289.561,23.
Avverso tale sentenza proposero appello vari convenuti, tra cui il C. il quale dedusse: di non essere responsabile per i fatti ascrittigli in quanto la sentenza impugnata gli aveva erroneamente attribuito la qualità di amministratore dal 22.4.98 fino alla data del fallimento, essendo invece egli cessato dalla carica il 12.12.98 attraverso dimissioni comunicate all’organo amministrativo che però non le aveva annotate nel registro delle imprese; la curatela gli aveva imputato illeciti produttivi di danni cagionati anteriormente all’assunzione della carica amministrativa, avvenuta solo nell’aprile del 1998; il collegio aveva erroneamente affermato che le dimissioni non avevano data certa e non erano opponibili ai terzi poiché l’atto non era stato iscritto nel registro delle imprese ex art. 2385 c.c., anche considerando che tale iscrizione costituiva un obbligo non suo ma della società, secondo la suddetta norma; l’avvenuta prescrizione dell’azione ex art. 146 l.f. promossa nei suoi confronti poiché la citazione fu notificata il 13.5.06, oltre cinque anni dalla dichiarazione di fallimento avvenuta il 9.4.01; erroneamente il Tribunale aveva ritenuto l’interruzione della prescrizione dalla consegna dell’atto e non dalla sua spedizione; anche le contestate irregolarità contabili furono compiute tra il 1995 e 1997, prima della sua nomina.
Si costituì la curatela.
Con sentenza emessa il 27.8.14, la Corte territoriale rigettò gli appelli principali, confermando l’impugnata sentenza, osservando, quanto a N.C., che: il motivo d’impugnazione sulla prescrizione era infondato in quanto, quale che fosse la data della notifica (pur affermando la correttezza dell’affermazione del Tribunale che aveva attribuito rilevanza, ai fini interruttivi della prescrizione, alla ricezione della citazione, quale atto recettizio), trovava applicazione l’art. 1310 c.c. circa gli atti interruttivi verso un debitore solidale con efficacia anche nei confronti degli altri condebitori, considerando l’intervenuta sentenza di condanna, in solido, di amministratori e sindaci; solo la pubblicazione nel registro delle imprese rendeva opponibile ai terzi la cessazione dalla carica, essendo del tutto irrilevante l’imputabilità dell’omissione alla società.
Ricorrono in cassazione N. C. con tre motivi, e A.R.; quest’ultimo ha rinunciato al ricorso con atto accettato dalla curatela.
Il Pubblico Ministero ha presentato memoria.
Ritenuto che
Il primo motivo del ricorso del C. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2385 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, 4 e 5, c.p.c., per l’omessa, contraddittoria ed erronea motivazione della sentenza impugnata sull’efficacia e opponibilità della cessazione dalla carica di amministratore e sui relativi effetti sulla responsabilità e sul decorso della prescrizione. Al riguardo, il ricorrente espone: di aver provato di avere assunto la carica di vice-presidente del consiglio d’amministrazione il 22.4.98 e di avere comunicato le sue dimissioni dapprima con fax, e poi con racc. a.r. del 15.12.98, e di aver dunque documentato che i fatti ascrittigli erano avvenuti sino al giugno 1997, prima della sua nomina e negli anni successivi alle dimissioni stesse; la condanna era stata erronea in quanto fondata sulla responsabilità per fatti accaduti anche dopo le dimissioni i cui effetti sono immediati (rimanendo in carica la maggioranza dello stesso consiglio); qualora la sentenza impugnata non fosse integralmente revocata nei confronti del C., sarebbe comunque da riformare nella parte in cui ha accertato la responsabilità del ricorrente per gli illeciti relativi alle distrazioni di denaro commessi prima della sua nomina, mentre per gli illeciti realizzati nel 1999 la responsabilità era da ascrivere al S..
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697, 2727 e 2729, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c., nonché omessa, illogica e contraddittoria motivazione sulla responsabilità solidale dei singoli amministratori. Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte d’appello: abbia ritenuto formatosi il giudicato sulla responsabilità di amministratori e sindaci, posto che egli aveva impugnato la statuizione sulla sua responsabilità, e la relativa natura solidale per effetto della cessazione della carica, soggiungendo che la maggior parte degli illeciti oggetto di causa era anteriore alla sua nomina (22 aprile 1998) e che essi erano conoscibili dai terzi per il mancato deposito dei bilanci dal 1997 al fallimento dichiarato nel 2006; non abbia tenuto conto del fatto che la curatela aveva addotto una responsabilità esclusiva del consigliere S. il quale, tra l’aprile e giugno 1999, versò a terzi assegni tratti sul conto corrente della società per la somma complessiva di euro 27000,00 circa per finalità estranee all’oggetto sociale; non avrebbe altresì considerato che successivamente al 1997 non furono depositati altri bilanci e che i comportamenti degli organi societari avrebbero determinato la riduzione del capitale al di sotto del limite legale sin dal 1997; abbia omesso di accertare la prescrizione dell’azione ex art. 146 l.f. per il lamentato danno patrimoniale che sarebbe avvenuto nove anni prima della proposizione dell’azione e sarebbe stato dunque conoscibile proprio per tale mancato deposito dei bilanci sin dal 1998.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2853, 2941, 2393, 2394, c.c., nonché omessa o insufficiente motivazione per mancata o erronea valutazione degli elementi probatori influenti sulla prescrizione.
Al riguardo, la ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia dichiarato la prescrizione dell’azione di responsabilità proposta nel 2006 stante la sua duplice natura di azione sociale e dei creditori, ritenendo invece che i termini della prescrizione decorressero dalla dichiarazione di fallimento, non considerando invece che la conoscibilità dello stato di decozione avrebbe potuto essere desunto dall’omesso deposito dei bilanci successivi al 1997, sicché la prescrizione dell’azione in questione sarebbe maturata nel 2003.
Il fallimento della C.I.S.A. coop. a r.l. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per l’infondatezza dei due motivi del ricorso del C. e per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso del R., poi rinunciato, come detto.
Preliminarmente, va dichiarata l’estinzione del giudizio in ordine al ricorso proposto da A.R., oggetto di rinuncia accettata dalla curatela fallimentare.
Il primo motivo del ricorso del C. è fondato. Il ricorrente, assunta la carica di vice-presidente del consiglio d’amministrazione il 22.4.98, assume di essersi dimesso dalla carica con lettera racc. a.r. del 12.12.98 ed invocando pertanto la sua assoluta estraneità agli illeciti oggetto di causa. Al riguardo, va premesso che: il ricorrente espone che la curatela avrebbe agito per il risarcimento dei danni relativi ad illecite distrazioni di denaro dal conto corrente della società, poi fallita, che sarebbero avvenute prima dell’assunzione della sua carica e dopo le sue dimissioni, mentre dalla sentenza impugnata (poco chiara e alquanto lacunosa, anche nella esposizioni delle ragioni della decisione riferite ai singoli appellanti in maniera incompleta e disorganica rispetto all’oggetto di causa) si evince che l’unico ammanco illecito risale al 1999, mentre non è dato comprendere in cosa sia consistito il danno scaturito dall’inosservanza dell’art. 2447 c.c., poiché la sentenza impugnata n abbia omesso di accertare la prescrizione dell’azione ex art. 146 l.f non lo chiarisce. Detto ciò, va osservato che il punto nodale del motivo riguarda la corretta applicazione dell’art. 2385 c.c. circa la cessazione dalla carica di vice-presidente del consiglio d’amministrazione da parte del C.; al riguardo, la Corte territoriale, con motivazione scarna e lacunosa, ha affermato che “come rilevato dal Tribunale solo la pubblicazione nel registro delle imprese rende opponibile ai terzi la cessazione dalla carica, essendo del tutto irrilevante l’addebitabilità dell’omissione alla società”. Sul punto, il Pubblico Ministero, nella sua memoria, deduce l’infondatezza del ricorso indicando una sentenza della Cassazione (n. 25980/18) che, in motivazione, affermerebbe il medesimo principio. Anzitutto, va osservato che tale parere non è condivisibile in quanto dall’esame della suddetta sentenza non si desume affatto quanto rilevato circa l’inopponibilità ai terzi della cessazione dalla carica non iscritta nel registro delle imprese, ma (seppure nell’ambito di una diversa fattispecie relativa all’opposizione ad un’ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti della società e dell’amministratore, in solido) semmai il contrario poiché la Corte, nella predetta sentenza, ha affermato che la mancata iscrizione della causa di cessazione è inopponibile alla società ma non al dimissionario il quale giammai potrebbe rispondere di fatti o illeciti commessi in epoca successiva alle sue dimissioni, ancorché appunto non iscritte nel registro delle imprese. Va osservato, in particolare, (v. anche Cass., n. 8516/09, richiamata dalla sentenza sopra citata) che non è configurabile un’estensione di responsabilità nei confronti del dimissionario per comportamenti compiuti da altri amministratori in epoca successiva alle dimissioni, trattandosi di responsabilità per fatto proprio (anche se di natura omissiva) e correlata ad un adempimento (la richiesta d’iscrizione della causa di cessazione dalla carica di amministratore) che l’art. 2385, comma 3, c.c. pone a carico del collegio sindacale e che giammai potrebbe essere compiuto dal dimissionario, ormai estraneo alla società.
Ne consegue l’infondatezza della domanda del fallimento nei confronti del ricorrente, limitatamente agli addebiti che si desumono dalla sentenza, collocabili nel 1999, successivamente alle dimissioni del C.
Il secondo motivo, in parte connesso al primo, è parimenti fondato in quanto la Corte d’appello non ha fatto una corretta applicazione delle norme richiamate in tema di valutazione delle prove, appunto perché ha ascritto al ricorrente una responsabilità che l’art. 2385 c.c. esclude e che, dunque, è stata male apprezzata, attraverso una erronea ricognizione delle norme rappresentate sui criteri di valutazione della prova o degli elementi indiziari.
In ogni caso, anche la censura sulla motivazione è fondata poiché, per quanto sopra esposto, essa è gravemente carente da poter essere ritenuta apparente, non consentendo né la ricostruzione dei fatti di causa, né la chiara esposizione delle ragioni della decisione sul merito della responsabilità del C., del tutto mancanti; invero, la sentenza, essendo strutturata per diversi capitoli relativi ai singoli appellanti, manca della parte afferente al ricorrente, di cui si discorre solo con riferimento alla prescrizione e all’inopponibilità dell’iscrizione delle dimissioni, ma non anche circa la questione della responsabilità per i fatti inerenti alla carica.
Il terzo motivo è da ritenere assorbito dall’accoglimento dei primi due.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, anche per le spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi di ricorso proposto da M.C., assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Dichiara estinto il giudizio in ordine al ricorso proposto da A.R.
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