CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7339
Tributi – IVA – Credito – Rimborso – Diniego – Esecuzione del contratto di compravendita – Simulazione – Elementi indiziari – Onere di valutazione del giudice del merito
Rilevato che
Dalla esposizione in fatto della pronuncia censurata si evince che: in relazione al contratto di compravendita della testata giornalistica “P.S.”, stipulato in data 28 dicembre 1993 tra F. s.r.l. cedente, e P. s.r.l. acquirente, quest’ultima aveva ceduto il contratto in favore di P.I. s.r.l. e nei confronti di quest’ultima la società cedente aveva emesso fattura per il prezzo pattuito; con la “dichiarazione annuale” IVA 1994, P.I. s.r.l. aveva richiesto il rimborso dell’imposta liquidata nella predetta fattura, ai sensi del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), (in quanto la compravendita aveva ad oggetto un bene riconducibile tra le immobilizzazioni immateriali e quindi ammortizzabile); in data 9 aprile 1997, a seguito di verifica fiscale era stato redatto processo verbale di constatazione dall’Ufficio provinciale IVA di Roma con il quale si era contestata la fittizietà della cessione della testata giornalistica, non essendo stato pagato il residuo importo della somma pattuita ed indicata nella fattura utilizzata per il rimborso; con atto in data 16 dicembre 1998, non essendo stato ancora disposto il rimborso, P.I. s.r.l. aveva ceduto il credito di rimborso IVA ad E.P. s.p.a., società poi fusa per incorporazione in A. s.p.a.; la suddetta società, quale cessionaria del credito Iva relativo alla cessione della testata giornalistica “P.S.”, aveva richiesto l’accertamento del proprio diritto al credito di imposta; la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente; la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva rigettato l’appello, sicché la società contribuente aveva proposto ricorso in cassazione; la Corte di cassazione, con pronuncia n. 24920/2013, aveva accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza censurata, sicché il giudizio era stato riassunto dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione; la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto il ricorso in riassunzione, in particolare, ha ritenuto che: la Corte di cassazione, con la pronuncia rescindente, aveva rimesso al giudice del rinvio l’accertamento della natura simulata della cessione della testata giornalistica “P.S.”; tutte le inadempienze ascritte al cessionario non avevano effetto ai fini della valutazione della validità del contratto e, quindi, della sussistenza del diritto al rimborso; anche il mancato adempimento della clausola di cui all’art. 4 del contratto di cessione (con la quale si era previsto il rilascio di una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia del pagamento del residuo prezzo), non comportava la nullità né l’inefficacia del contratto, ma atteneva al suo adempimento, sicché il contratto, in difetto di pronuncia di risoluzione, doveva essere considerato valido, con conseguente diritto al rimborso; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la contribuente con controricorso, illustrato con successiva memoria;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma secondo, n.4) cod. proc. civ., per avere reso una motivazione apparente sulla questione relativa all’effettiva esistenza o meno dell’operazione dalla quale era derivata la richiesta di rimborso dell’Iva;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., per non essersi uniformata al principio di diritto ed a quanto statuito dalla pronuncia rescindente della Corte di Cassazione;
per motivi di ordine logico si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il secondo motivo di ricorso che risulta fondato; questa Corte, con la pronuncia 6 novembre 2013, n. 24920, in accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente, aveva cassato la pronuncia n. 134/2006 della Commissione tributaria regionale del Lazio, demandando al giudice del rinvio di verificare se, «alla stregua degli atti negoziali e dei documenti che risultino ritualmente acquisiti al giudizio, le vicende attinenti alla esecuzione del contratto di compravendita unitamente considerate alle modalità attuative della “cessione di contratto” denotino o meno un complesso indiziario dotato dei requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., dimostrativo della reale intenzione delle parti di non realizzare la operazione di compravendita (simulazione assoluta) e quindi una cessione di tale contratto oggettivamente inesistente, in tal caso soltanto potendo ritenersi legittimo il diniego al rimborso del credito d’imposta opposto dalla Agenzia fiscale resistente»; il giudice del rinvio si è limitato a precisare che tutte le inadempienze ascritte al cessionario non impedivano la considerazione della validità del contratto e, quindi, del diritto al rimborso;
in sostanza, ha ritenuto di dovere prendere in considerazione la sola questione del perfezionamento del contratto, ritenendo che le possibili eventuali inadempienze non comportavano, comunque, la nullità del contratto, dovendosi ritenere che in mancanza di pronuncia della risoluzione, il contratto restava valido, sicché l’inadempimento non poteva spiegare effetti sul diritto al rimborso; in tal modo, tuttavia, la sentenza censurata ha, unicamente, esaminato il profilo della validità del contratto, senza, tuttavia, procedere alla concreta verifica della reale intenzione delle parti, alla luce del complesso indiziario desumibile dalla esecuzione del contratto e dalla modalità attuative previste nella “cessione del contratto”, come invece specificamente richiesto dalla pronuncia rescindente;
questa Corte, con la pronuncia rescindente, aveva precisato che, se eventi quali il mancato adempimento della prestazione dedotta in contratto o la risoluzione per inadempimento dello stesso non consentono di qualificare l’operazione come inesistente ai fini fiscali e dunque di escludere per ciò stesso il diritto alla detrazione/rimborso dell’imposta assolta con la fattura, tale diritto può invece essere efficacemente contestato laddove attraverso l’esame della volontà negoziale delle parti ed in relazione agli elementi fattuali inerenti la fase della stipula e della esecuzione dell’accordo, emerga la natura elusiva della operazione (simulazione assoluta) o l’intento fraudolento delle parti in quanto diretto a dissimulare una operazione soggettivamente o oggettivamente inesistente (in tal senso, richiamando i principi già affermati da questa Corte, con pronuncia 15 maggio 2008, n. 12192);
sotto tale profilo, è mancata ogni valutazione in ordine alla valenza di tutti gli elementi indiziari a disposizione finalizzati all’accertamento della concreta volontà delle parti di realizzare effettivamente l’operazione negoziale di cessione del contratto, sicché il giudice del gravame è pervenuto alla considerazione finale della sussistenza del diritto al rimborso dell’Iva senza esprimere alcun ragionamento logico giuridico sul punto, limitandosi, come detto, a escludere che l’inadempimento costituisse circostanza incidente sulla validità del contratto, senza, tuttavia, indagare e verificare se, sulla base degli elementi a disposizione, potesse invece pervenirsi alla valutazione della volontà delle parti di non realizzazione una effettiva operazione economica;
anche il successivo passaggio motivazionale, relativo alla esatta portata della clausola n. 4 del contratto di cessione, successivamente modificata con atto del 27 gennaio 1994, risulta finalizzato unicamente a sostenere l’argomento che il mancato adempimento non atteneva alla validità del contratto, sicché, in mancanza di attivazione del potere dispositivo di chiedere la risoluzione, non sussisterebbero ragioni ostative al riconoscimento del diritto al rimborso;
anche in questo caso, il giudice del gravame non ha seguito la specifica indicazione data dalla pronuncia rescindente di questa Corte, avendo unicamente fatto riferimento al perfezionamento del contratto in mancanza di attivazione del potere dispositivo di risoluzione, senza, tuttavia, procedere, come detto, ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari a disposizione al fine di accertare la concreta volontà delle parti di procedere alla cessione del contratto;
sotto tale profilo, la pronuncia non risulta non in linea con la previsione di cui all’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ.; l’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del primo motivo;
in conclusione, è fondato il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale per nuovo esame;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza per il motivo accolto, e rinvia per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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