CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7341
Tributi – IVA – Versamento acconto su preliminare di vendita di immobile – Mancata stipula definitivo per fallimento venditrice – Credito IVA – Rimborso – Legittimità
Rilevato che
dalla esposizione in fatto della pronuncia censurata si evince che: la società S.A.S. P.B.C. aveva presentato istanza di rimborso Iva, anno di imposta 2010, che era stato rigettato dall’Agenzia delle entrate; avverso il provvedimento di diniego la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Caserta; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello, in particolare, ha ritenuto che: ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso Iva era sufficiente la circostanza che l’operazione imponibile, consistente nella stipula del contratto preliminare di vendita di un immobile con versamento dell’acconto, si era verificata, conformemente a quanto previsto dall’art. 6, comma 4, d.P.R. n. 633/1972, sicché non assumeva rilievo il fatto che non si era addivenuti alla stipula del contratto definitivo a causa del fallimento della società venditrice; non aveva rilevanza, poi, la circostanza che la società contribuente, oltre che presentare la domanda di rimborso con la dichiarazione annuale e inserire il credito Iva nel relativo quadro, non aveva provveduto a inviare il modello VR;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura; la società è rimasta intimata;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 21, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 112, cod. proc. civ., per avere pronunciato sulla questione del momento in cui può dirsi insorto il diritto al rimborso senza che la società contribuente avesse prospettato, con il proprio ricorso, ragioni di doglianza;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 4, nonché dell’art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, per avere ritenuto sussistente il diritto al rimborso Iva anche nel caso di specie, in cui si era verificata la risoluzione della cessione a seguito del fallimento della società venditrice e autorizzazione del giudice delegato allo scioglimento dei contratti;
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 30, d.P.R. n. 633/1972, per avere riconosciuto il diritto al rimborso alla società contribuente che, tuttavia, non era cedente o prestatore del servizio, obbligati di imposta e quindi legittimati a richiedere il rimborso;
pregiudiziale ai fini della decisione della controversia è la circostanza che, stando a quanto si evince dal ricorso, la sentenza impugnata è stata notificata il 21 giugno 2016; era quindi onere della ricorrente dare prova del momento in cui la notifica del ricorso si era perfezionata al fine di consentire a questa Corte di valutare la tempestività del ricorso;
parte ricorrente non ha assolto al suddetto onere, sicché deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, ai sensi degli artt. 325 e 326, cod. proc. civ.;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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