CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7359
Tributi – IRPEF – Accertamento operazione elusiva – Cessione partecipazione societaria – Ritenuta percezione di riserve di utili – Indebito vanataggio fiscale – Esclusione
Rilevato che
Con sentenza n. 140/24/2011, depositata il 4 ottobre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia respinse l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. A.L. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano, che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEF ed addizionale regionale per l’anno 2002.
La CTR – pur ritenendo diversamente, rispetto al giudice di prime cure, che l’atto impositivo non fosse censurabile sul piano formale, non essendo tenuta l’Amministrazione, nella motivazione dell’atto impositivo, a dar conto delle ragioni che il contribuente, a seguito del questionario ricevuto, aveva spedito tramite raccomandata nel termine previsto di 60 giorni, ma pervenuto all’Ufficio successivamente alla scadenza di detto termine – nel merito considerò tuttavia insussistente la fattispecie elusiva contestata con l’atto impositivo al contribuente.
Premesso che quest’ultimo era titolare di partecipazione “non qualificata” pari al 19% nella I. PLC S.r.l., (poi A.), holding posta al vertice di gruppo societario, l’Agenzia delle Entrate aveva vagliato le seguenti operazioni.
La società, nel corso dell’esercizio chiuso al 31.10.2000, aveva rivalutato in base alla I. n. 342/2000 la propria partecipazione detenuta in R. Group S.p.A.
La prima aveva quindi incorporato il 30 aprile 2002 la R. Group S.p.A.
Il 28 maggio 2002 la holding aveva quindi costituito la D. S.r.l. mediante conferimento di ramo d’azienda, avente ad oggetto consulenza nel settore immobiliare e servizi connessi.
Detto ramo d’azienda veniva concesso in affitto alla I. S.r.l. società acquisita dalla R. Holding S.r.l., poi trasformata e denominata R. Group S.p.A.
Il 19 giugno 2002 la A. cedeva la D. alla R. Holding S.r.l., ed i soci di A. (tra cui il L.) cedevano le proprie quote già rivalutate ex art. 2 del d.l. n. 282/2002 a D. S.p.A.
Attraverso la sequela di dette operazioni l’Amministrazione aveva ritenuto che fosse stata posta in essere un’operazione elusiva per mezzo della quale il contribuente avrebbe percepito, sotto forma di corrispettivo della cessione della propria quota, riserve di utili A., che sarebbero stati altrimenti tassabili ex art. 44 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR). Ciò secondo l’assunto dell’Amministrazione finanziaria, smentito dalla decisione resa dalla CTR, avrebbe giustificato il recupero a tassazione del vantaggio fiscale dato dalla differenza tra l’assoggettamento a tassazione dei dividendi e l’imposta sostitutiva di rivalutazione.
Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, in relazione al quale l’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese.
Il contribuente ha altresì depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, in combinato disposto con l’art. 44 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR) e con l’art. 2697, cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., lamentando l’Amministrazione ricorrente che il giudice tributario d’appello, a f) fronte degli indizi forniti dall’Ufficio che, valutati globalmente, avrebbero dovuto portare a ritenere l’operazione posta in essere come elusiva, si è limitata ad escluderne invece detta natura, sebbene ne ricorressero tutti e tre presupposti, vale a dire la riconducibilità dell’operazione nell’ambito di fattispecie prevista espressamente dalla legge, la realizzazione d’indebito risparmio d’imposta rispetto a quella che sarebbe stata la tassazione sulla distribuzione dei dividendi, e la mancanza di valida ragione economica idonea a giustificare l’operazione, senza considerare che sarebbe spettato al contribuente allegare e provare il contrario.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle Entrate denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non avendo la CTR esplicitato in modo adeguato il percorso logico- giuridico che l’ha condotta ad esprimere il convincimento secondo cui nella fattispecie in esame non sarebbe stato possibile individuare il meccanismo elusivo, ciò avuto riguardo anche al fatto che grava sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti non meramente marginali che legittimino l’operazione.
3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 37 bis, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., laddove la CTR ha affermato che l’imposta elusa è stata calcolata dall’Ufficio senza alcun riferimento a quella che sarebbe stata dovuta qualora le rivalutazioni non avessero avuto luogo.
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis, comma 4, e 5 e 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la nullità dell’atto impugnato per non avere tenuto conto delle osservazioni inviate dal contribuente in risposta al questionario, spedite a mezzo raccomandata nel rispetto del termine di giorni 60, ma pervenute all’Ufficio destinatario oltre la scadenza di detto termine.
5. I primi due motivi di ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati, perché tra loro connessi.
5.1. In disparte i profili d’inammissibilità pur eccepiti da parte controricorrente, essi sono infondati.
L’Amministrazione ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente in ordine al riparto dell’onere della prova, sia per insufficienza di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la ricorrenza, nella sequela di atti di fusione, costituzione di nuove società, conferimento d’azienda, rivalutazione di partecipazioni sociali e trasferimenti di partecipazioni, della sussistenza di fattispecie elusiva riconducibile all’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, quale applicabile ratione temporis, in relazione ai beni e rapporti di cui all’art. 81, comma 1, lettere da c) a c quinquies del TUIR ante riforma del 2004.
Ritiene la Corte che la sentenza impugnata sfugga alle censure in esame. Essa, nel ripercorrere le vicende, anche in relazione al loro dispiegarsi sul piano temporale, come sopra indicate, oltre ad esplicare in modo idoneo le ragioni che l’hanno indotta ad escludere in concreto la ricorrenza di fattispecie elusiva, appare conforme ai principi affermati da questa Corte riguardo al riparto dell’onere della prova in tema di elusione fiscale, laddove, mentre incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire al risultato d’indebito vantaggio fiscale (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 20 giugno 2018, n. 16217; Cass. sez. 6-5, ord. 13 aprile 2017, n. 9610; Cass. sez. 5, 28 febbraio 2017, n. 5090), spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, che possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (in tal senso cfr. Cass. sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4604; Cass. sez. 5, 21 gennaio 2011, n. 1372).
5.2. Invero in questa sede va solo precisato che – di là dalla non felicissima espressione adoperata dal giudice di merito, secondo cui sembrerebbe che le esigenze volte alla ristrutturazione del gruppo al cui vertice vi è la A., della quale il L. deteneva una partecipazione non qualificata, tese alla separazione dell’attività gestionale da quella relativa alla proprietà del patrimonio aziendale ed immobiliare ed a favorire l’ingresso di nuovi partners nella compagine societaria, avessero costituito oggetto di mere allegazioni non oggetto di replica in modo adeguato da parte dell’Amministrazione – si sia piuttosto inteso da parte del giudice di merito riferirsi più propriamente anche alla relativa documentazione prodotta per mezzo dei relativi verbali assembleari in grado di dimostrare che, in assenza di alcun divieto che fosse stato aggirato, il complesso delle operazioni sopra indicate evidenziava la sussistenza di ragioni economiche tali da poterne escludere la predisposizione in vista del solo conseguimento di un indebito risparmio d’imposta; ciò anche in relazione al fatto che la rivalutazione delle partecipazioni tanto dell’A. in R. Group quanto del contribuente in essa A. è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative.
6. Il rigetto dei primi due motivi implica l’assorbimento del terzo, che presuppone comunque la sussistenza della fattispecie elusiva.
Il ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria va per l’effetto rigettato.
7. Resta per l’effetto assorbito il ricorso incidentale condizionato, in relazione all’unico motivo a cui esso è affidato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.