CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7365
Tributi – Accertamento induttivo – Antieconomicità dell’attività – Determinazione presuntiva della percentuale di ricarico – Onere di indicazione dei campioni statistici di riferimento e della fonte – Collegamento campioni statistici e studi di settore all’attività effettiva
Rilevato che
– D.L.S.U. proponeva ricorso avverso avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva accertato, ex art. 39 comma 1 DPR 600/73, per l’anno 2004, il reddito d’impresa in euro 146.998,70 rispetto a quello dichiarato in euro 34.414,00, a ragione della antieconomicità dell’attività svolta (negozio di alimentari con panificazione); l’ufficio aveva applicato al costo del venduto la percentuale di ricarico del 173,74% utilizzata da imprese similari per attività e ambito territoriale, a fronte di quella del 109% applicata dal ricorrente; questi eccepiva la carenza di presunzioni gravi, precise e concordanti; la carenza di motivazione in ordine alla fonte di riferimento per la rilevazione del ricarico del 173,74%; l’errore sulla scelta dello studio di settore e la mancanza di elementi concreti di evasione.
– L’ufficio si costituiva deducendo che lo studio di settore aveva rappresentato solo una delle presunzioni e precisando di avere proceduto ad una rilevazione statistica interessante diversi soggetti; replicava il contribuente osservando che l’ufficio non aveva sufficientemente individuato le caratteristiche degli altri esercizi considerati.
– La commissione tributaria provinciale di Bergamo accoglieva parzialmente il ricorso, nel senso che determinava la percentuale di ricarico del costo del venduto nella misura del 130%, percentuale in forza della quale era determinato il reddito d’impresa.
– Avverso detta sentenza proponeva appello il contribuente riproponendo tutte le ragioni svolte nel primo giudizio e concludendo per l’annullamento dell’atto impositivo e, in subordine, per l’applicazione del ricarico nella misura del 115,56%; l’ufficio, costituitosi, concludeva per il rigetto; il contribuente depositava memoria con cui insisteva per l’accoglimento del gravame.
– La commissione tributaria regionale – nel dare atto che la CTP, “avendo tenuto conto parzialmente dei rilievi del contribuente riguardanti in particolare l’incidenza dei prodotti semplicemente rivenduti, ha legittimamente determinato la percentuale di ricarico del costo del venduto nella misura del 130% rispetto a quella dichiarata del 109% e quella accertata del 173,74%”- ha concluso definendo detta misura “corretta alla luce della antieconomicità dell’attività d’impresa conseguente alle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche dell’attività esercitata, rispetto alle quali il contribuente non ha offerto alcun riscontro probatorio a conforto dei propri assunti”.
– Per la cassazione della predetta sentenza il contribuente propone ricorso affidato a due motivi, illustrato da memoria.
– Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
– I motivi di cui consta il ricorso recano: 1) “Omessa, contraddittoria, illogica ed insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c. n.5”; 2) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.
– Il primo motivo è fondato. Invero la CTR si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado laddove questa ha “legittimamente determinato la percentuale di ricarico del costo del venduto nella misura del 130%” riconoscendola come “corretta” ma senza indicare in base a quali criteri fosse pervenuta a siffatto riconoscimento a parte un generico riferimento alla “antieconomicità dell’attività d’impresa” derivante da indimostrate “gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche dell’attività esercitata”.
– Il contribuente espone che esercita attività di pianificazione in uno alla vendita di prodotti alimentari di grande consumo, con un rapporto, rispettivamente, di un terzo e due terzi rispetto al totale. Su tale premessa osserva, innanzitutto, che l’atto impositivo ha fatto riferimento ad un campione di attività diverso rispetto all’attività esercitata dal contribuente, posto che questi vende altri prodotti oltre a quelli di panetteria; aggiunge che non sono stati, poi, portati a conoscenza del contribuente la fonte e i campioni dai quali ha tratto origine la media di settore del 173, 74, applicata all’attività dell’odierno ricorrente; avrebbe dovuto l’ufficio, inoltre, collegare i campioni statistici e gli studi di settore, utilizzati nella fattispecie, alla concreta realtà dell’attività per cui è causa, senza trascurare, infine, di sottolineare che è assente qualsivoglia riferimento alle scritture contabili, la cui assenza – nella specie non riscontrata – autorizza una ricostruzione della posizione fiscale del contribuente basata su presunzioni, aventi, ovviamente, carattere di gravità, precisione e concordanza.
– In conclusione, il motivo è fondato non essendo delineato, nella sentenza impugnata, il percorso logico giuridico seguito con la descrizione degli elementi considerati per giungere alla decisione presa e degli elementi, motivatamente non considerati, che, se fondati, avrebbero condotto a diversa decisione.
– L’accoglimento del primo motivo fa sì che il secondo resti assorbito.
– La sentenza va cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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