CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7378
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per cassazione – Mancata indicazione della norma di diritto si assume violata dalla sentenza impugnata – Inammissibilità
Rilevato che
G.C. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con successiva memoria, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, e contro il MEF, rimasto intimato, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania, indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso ai sensi dell’art. 41- bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che recuperava a tassazione IRPEF, IRAP, IVA, per l’annualità 2007, maggiori redditi non dichiarati della FC T. XXXX associazione sportiva dilettantistica, notificato anche al contribuente, in qualità di legale rappresentante dell’ente – è stato rigettato l’appello del contribuente avverso la decisione di primo grado, al medesimo sfavorevole;
Considerato che
a. preliminarmente si deve dichiarare inammissibile il ricorso contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quale soggetto carente di legittimazione sostanziale e processuale; con l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 01°/01/2001, essa è succeduta a titolo particolare, al Ministero, nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per cui le spetta, in via esclusiva, la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data (Cass. sez. un. n. 3116 e n. 3118 del 2006); da ciò discende l’inammissibilità del ricorso contro il MEF, soggetto ormai privo di legittimazione passiva e processuale, il quale nemmeno ha il ruolo di contraddittore necessario nel giudizio di merito;
1. con il primo motivo del ricorso [Primo: omessa o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) – violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 12 L. n. 212/2000 recante lo statuto del contribuente e 97 Cost. (art. 260 n. 3 c.p.c.], il ricorrente assume che fin y dal ricorso introduttivo del giudizio aveva dedotto che, in fase amministrativa, nei propri confronti, non era stato instaurato il contraddittorio in quanto il processo verbale di constatazione (in seguito: «pvc») del 14/09/2009, era stato redatto alla presenza di R.G. all’epoca legale rappresentante della società sportiva dilettantistica;
1.1. il motivo, nella sua complessa articolazione (sono dedotte le censure dei nn. 5 e 3, dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.), è in parte inammissibile e in parte infondato;
dal primo punto di vista (inammissibilità del motivo), va rilevato che, trattandosi di sentenza pubblicata il 21/03/2013, non poteva essere fatto valere il «vecchio» vizio di omessa o contraddittoria motivazione in quanto, come è noto, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., è stato riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha introdotto, nell’ordinamento, un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo;
dal secondo punto di vista (infondatezza del motivo), con riferimento alla «violazione e falsa applicazione di legge», a prescindere dal prospettabile profilo d’inammissibilità della censura, perché formulata in termini del tutto generici, comunque è sufficiente richiamare la sentenza impugnata – la quale, sul punto, non è stata oggetto di specifica censura – che ha stabilito che il motivo d’appello riguardante l’omessa notifica, al contribuente, dell’avviso di accertamento, nel termine dilatorio di 60 giorni, era inammissibile, per la novità della doglianza, non proposta in primo grado (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata);
con specifico riferimento al recupero in tema di IVA, è il caso di ricordare il radicato indirizzo della Corte, che il Collegio condivide, secondo cui: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio.» (Cass. 15/01/2019, n. 701);
in altri termini, in tema di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui il contribuente assolva all’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere (Cass. sez. un. 09/12/2015, n. 24823, menzionata, in motivazione, da Cass. 17/10/2019, n. 26365, in materia di tributi doganali); nel caso di specie, una simile prova di resistenza non è stata neppure prospettata dal contribuente;
2. con il secondo motivo [Secondo: violazione del divieto di integrazione successiva della motivazione di un atto di accertamento (art. 360, n. 3, c.p.c.)], il ricorrente assume che il principio di leale collaborazione tra il fisco e il contribuente e la tutela dell’affidamento del contribuente impongono di cristallizzare la controversia nei limiti della sola attività istruttoria menzionata nell’avviso di accertamento. Censura, quindi, la sentenza impugnata per non avere considerato che il pvc (datato 29/10/2010 e conseguente ad indagini bancarie su un conto corrente della società sportiva), posto dall’Agenzia a base della pretesa tributaria, era diverso dal pvc (datato 14/09/2009) su cui si fondava l’avviso di accertamento impugnato;
2.1. il motivo è inammissibile;
il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito;
ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360, cod. proc. civ.;
nella fattispecie concreta, il motivo del ricorso, proposto come violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), privo di ogni riferimento alla disposizione che si assume che la sentenza impugnata abbia disatteso, reca una critica del tutto generica (inammissibilmente ampia), che rimette alla Corte, in modo non consentito, il compito di individuare (al posto del ricorrente) la norma violata;
3. con il terzo motivo [Terzo: omessa od insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) e violazione e falsa applicazione di legge, per totale assenza di legittimazione passiva o titolarità del rapporto controverso (art. 360 n. 3 c.p.c.)], si censura la sentenza impugnata per avere ascritto al contribuente l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, senza considerare che, pacificamente, egli era cessato dalla carica di presidente della FC T. XXXX ASD nel maggio 2008, sicché, alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione 2007, era nell’impossibilità giuridica di sottoscriverla e nell’impossibilità materiale di partecipare all’approvazione del rendiconto, dal quale dovevano desumersi le operazioni imponibili;
3.1. il motivo, nella sua complessa articolazione (sono dedotte le censure dei nn. 5 e 3, dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.), è inammissibile per varie ragioni; quanto al vizio di motivazione, vale la medesima considerazione esposta in relazione al secondo mezzo d’impugnazione (cfr. § 1.); con riferimento alla violazione di legge, ancora una volta (come già osservato nel § 2.), non essendo indicata la norma di diritto che si assume violata dalla sentenza impugnata, questa Corte non è posta nella condizione di esercitare alcun controllo di legalità; sotto altro aspetto, la doglianza non è ammissibile, in questa sede di legittimità, perché mira ad una ricostruzione della vicenda tributaria diversa da quella insindacabilmente fatta propria dal giudice di merito;
4. ne consegue il rigetto del ricorso contro l’Agenzia;
5. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze; nel resto, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13, se dovuto.
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