CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7391
Tributi – Agevolazioni “prima casa” – Revoca – Immobile di lusso – Area scoperta di pertinenza dell’abitazione superiore di oltre sei volte l’area coperta – Computo della superficie del portico
Premesso che
1. con la sentenza n. 2979 del 26 maggio 2015, la commissione tributaria del Lazio, chiamata, a seguito della sentenza di questa Corte n. 7141/14, a decidere, quale giudice del rinvio, della legittimità dell’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate in revoca dei benefici “prima casa”, fruiti da F.R. riguardo all’acquisto di un immobile considerato dall’Agenzia escluso dal regime agevolativo perché “di lusso” ai sensi dell’art. 5 del decreto del ministero dei lavori pubblici 2 agosto 1969, dopo avere evidenziato che la Corte non aveva stabilito un principio di diritto ma aveva cassato la sentenza perché la qualificazione come di lusso dell’immobile era stata desunta “sulla base di dati fattuali che non coincidono con quelli indicati nella documentazione presentata in atti dalla contribuente”, affermava che i dati riportati nella perizia di parte dovevano essere corretti nel senso che la superficie del portico non doveva essere sommata alla “superficie di sedime dell’abitazione” e riteneva che, pertanto, essendo quest’ultima di oltre sei volte inferiore rispetto all’area scoperta di pertinenza dell’abitazione, l’avviso impugnato fosse legittimo;
2. la sentenza è stata impugnata dalla contribuente sulla base di due motivi.
3.1 L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria di costituzione tardiva;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso viene lamentato che la commissione ha ignorato il principio sotteso alla sentenza n. 7141 del 26 marzo 2014 con cui, a dire della ricorrente, sarebbe stato affermato che il portico costituisce pertinenza dell’abitazione e, dunque, deve concorrere alla superficie di quest’ultima, con conseguente sussistenza di un’area scoperta residua di superficie non superiore, ma inferiore, a sei volte la prima;
2. il motivo è inammissibile. La Corte, con il suo primo intervento, non ha stabilito un principio di diritto se non in punto di (in)adeguatezza della motivazione del giudice di merito. Ha rilevato infatti un vizio di motivazione per discordanza rispetto ai documenti prodotti dalla contribuente. Questo vizio motivazionale risulta superato dalla pronuncia ora impugnata, nella quale i documenti sono stati esaminati, ed il rapporto di superficie tra aree coperte e scoperte, ex art. 5 DM 1969 cit., è stato verificato in conformità a questi ultimi ed ai parametri normativi di riferimento. Il motivo di ricorso mira ad una nuova valutazione fattuale che non può essere chiesta in questa sede di legittimità;
3. con il secondo motivo di ricorso, viene lamentato che nella intestazione della sentenza impugnata vi è un riferimento alla “Agenzia delle entrate-direzione provinciale di Roma 1” quale terzo chiamato in causa, laddove l’ufficio emittente l’atto era la direzione provinciale di Roma 3 e senza che “in atti si potesse rilevare richiesto al giudice e notificato alla controparte, la evocata “chiamata di terzo”;
4. il motivo è inammissibile perché relativo non alla sentenza ma all’intestazione della sentenza (laddove soltanto, e non anche nel testo della sentenza, è indicata un’ulteriore direzione dell’Agenzia);
5. il ricorso deve essere rigettato;
6. non vi è luogo a pronuncia sulle spese non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, se dovuto.
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