CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2020, n. 26174
Tributi – IRPEF – Accertamento – Indagini bancarie – Versamenti sul conto corrente della compagna – Autocertificazione attestante l’estraneità del contribuente alle operazioni effettuate sul proprio conto – Mancato deposito in giudizio – Rettifica reddito – Legittimità
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2010 emersi a seguito di verifica delle movimentazioni dei conti correnti intestati o riconducibili al contribuente A.R., con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate ma accoglieva parzialmente l’appello del contribuente confermando, comunque, la ripresa a tassazione delle somme, pari a 41.492,00 Euro, versati sul conto corrente intestato a R.A., «compagna del ricorrente», rilevando il mancato rinvenimento negli atti di causa della “autocertificazione” della A. attestante l’estraneità del contribuente alle operazioni effettuate sul predetto conto.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il contribuente con due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 cod. proc. civ. e 53 d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR omesso di valutare «che il ricorso di appello […] è stato supportato da adeguata e giustificatrice documentazione contabile inerente l’attività di dentista della Dott.ssa A.R., i cui redditi indicati negli esibiti libri contabili-fatture e dichiarazione dei redditi sono identici alle somme addebitate al ricorrente, trattandosi di versamenti dei compensi riferiti all’attività della Dott. A.R.».
2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 cod. proc. civ. e 53 d.lgs. n. 546 del 1992 nonché un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso «ogni valutazione degli atti depositati in merito all’accertato reddito» in capo al ricorrente, ed in particolare della «documentazione giustificativa esibita a supporto relativa all’attività [di dentista] esercitata» dalla dott.ssa A., che «i giudici del secondo grado hanno arbitrariamente ritenuto insoddisfacente» nonostante dalla stessa emergesse che la somma di 41.492,00 Euro, risultante dalle movimentazioni bancarie verificate sul conto corrente della A., era «pari al reddito dichiarato» dalla stessa.
3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il ricorrente ha del tutto trascurato di riprodurre nel ricorso il contenuto dei documenti che afferma di aver depositato nei giudizi di merito la cui valutazione assume essere stata pretermessa dai giudici di appello. In tal modo risulta impedito a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito in ragione del tipo di vizi denunciati (error in iudicando e vizio di motivazione) il vaglio di fondatezza della censura.
4. E’ noto infatti che «In applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso» (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018, Rv. 647747).
4.1. Al riguardo si è affermato che «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488).
4.2. Tale pronuncia si muove sulla scia di quella secondo cui «I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea [od omessa] valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277). Ne consegue che è del tutto insufficiente l’allegazione al ricorso di copia di tutti gli atti del giudizio di merito in assenza di quelle necessarie specificazioni.
5. A ciò aggiungasi che, con riferimento ai versamenti effettuati dal contribuente sul conto corrente bancario intestato alla A., la CTR ha affermato di non aver rinvenuto l’autocertificazione di quest’ultima attestante «la totale estraneità del R. in riferimento alle operazioni effettuate su quel conto». E’ quindi evidente che il ricorrente non avrebbe potuto dedurre con il ricorso in cassazione il vizio di omesso esame del documento in quanto il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio. In tal caso, infatti, non è configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. La parte, invece, sul presupposto che il giudice aveva errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, avrebbe dovuto far valere tale preteso errore in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., sempre ove ne ricorressero le condizioni (cfr. Cass. n. 12804 del 2007, n. 4056 del 2009 e n. 15043 del 2018).
6. Conclusivamente, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente, rimasto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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