CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2020, n. 26179
Tributi – Controllo dichiarazione dei redditi – Cartella di pagamento – Omesso versamento risultante da dichiarazione integrativa – Esimente – Imputazione responsabilità all’intermediario – Esclusione
Rilevato che
Emerge dalla sentenza impugnata che il contribuente ha impugnato una cartella di pagamento relativa all’anno di imposta 2007 per tributi e sanzioni, conseguente all’omesso pagamento delle imposte afferenti a una dichiarazione integrativa presentata in rettifica della dichiarazione originale, deducendo di non avere dato alcun incarico all’intermediario, il quale aveva successivamente provveduto a redigere e trasmettere la suddetta dichiarazione integrativa.
La CTP di Ravenna ha rigettato il ricorso e la CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza in data 19 febbraio 2018, ha rigettato l’appello del contribuente, rilevando come sia stata prodotta copia della dichiarazione integrativa «firmata» dal contribuente; il giudice di appello ha, poi, ritenuto non provata la circostanza – anch’essa dedotta dal contribuente – secondo cui non sarebbe stato fornito alcun incarico dal contribuente all’intermediario, ritenendo irrilevante il successivo contenzioso instaurato dal contribuente nei confronti dell’intermediario medesimo, in quanto contenzioso successivo alla pronuncia di primo grado.
Propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria; resiste con controricorso l’Ufficio.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
– Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, nella parte in cui la sentenza di appello ha accertato che l’Ufficio avrebbe prodotto copia della dichiarazione integrativa firmata, ritenendo così valida la dichiarazione integrativa trasmessa dall’intermediario.
Contesta parte ricorrente di non avere mai sottoscritto la dichiarazione integrativa (nella sostanza, deducendo che la dichiarazione integrativa è stata redatta a sua insaputa o, comunque, in assenza di conferimento di incarico), contestando che tale documento sia mai stato prodotto e che la mancata produzione del documento non ha reso possibile il disconoscimento del documento. Deduce, pertanto, il contribuente che la dichiarazione dei redditi, essendo priva della sottoscrizione del contribuente, sarebbe in contrasto con gli artt. 1 e 3 d.P.R. n. 322/1998. Deduce, inoltre, il ricorrente come ciò che è controverso in causa è l’invio da parte dell’intermediario della dichiarazione integrativa, benché privo del potere di rappresentanza. Deduce il ricorrente che il giudice di appello avrebbe dovuto acquisire la dichiarazione integrativa in originale, nonché l’incarico tra contribuente e intermediario, al fine di accertare la sussistenza del potere di rappresentanza dell’intermediario, richiamandosi al precedente di Cass., Sez. V, 11 giugno 2014, n. 13138.
1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto di imputare al contribuente la prova delle proprie asserzioni, così violando la CTR – secondo parte ricorrente – le regole di riparto dell’onere della prova, posto che non si sarebbe potuto addossare a una parte l’onere di provare una circostanza negativa, quale l’inesistenza del conferimento dell’incarico. Deduce che, a fronte della contestazione del ricorrente circa la sussistenza di un incarico con l’intermediario, spetta all’Ufficio il relativo onere della prova.
2.1 – Va osservato preliminarmente che la sentenza impugnata, sulla base del rilievo dell’Agenzia delle Entrate secondo cui la dichiarazione integrativa «esiste ed è firmata dal contribuente, come da copie allegate», ha ritenuto l’appello infondato «a fronte della copia della dichiarazione integrativa firmata fornita dall’agenzia». Sulla base di tale accertamento in fatto, la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante il richiamo alla menzionata sentenza Cass. n. 13138/14 (ove statuisce che la mancanza del potere di rappresentare il contribuente ai fini della presentazione della dichiarazione va accertato dal giudice di merito), osservando – ulteriormente – che non è rilevante, né probante a tale riguardo l’esistenza del contenzioso incardinato dal contribuente con l’intermediario.
2.2 – Sulla base di tali elementi deve ritenersi che il primo motivo è inammissibile, laddove il ricorrente deduce che la dichiarazione fiscale integrativa non sia stata sottoscritta, in quanto il ricorrente, attraverso la deduzione di una violazione o falsa applicazione di legge, invoca una diversa rivalutazione dell’accertamento in fatto circa l’avvenuta sottoscrizione della dichiarazione integrativa; così come è ancora più inammissibile il richiamo al disconoscimento della sottoscrizione della copia prodotta dall’amministrazione, fatto processuale di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata. Il che non costituisce propriamente verifica della corretta sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526); altrettanto sul piano del merito si collocano la delibazione e la individuazione del materiale probatorio, valutazioni che spettano al giudice del merito (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463).
2.3 – In memoria il ricorrente osserva che nella specie non si tratterebbe di erronea valutazione di un fatto, bensì di «insussistenza del fatto stesso». Ma è evidente che questo fatto (l’esistenza di dichiarazione firmata dal contribuente) è stato accertato positivamente dal giudice del merito e tale accertamento in fatto (quello dell’avvenuta sottoscrizione della dichiarazione integrativa) deve ulteriormente ritenersi cristallizzato – sotto il profilo dell’esame dei fatti storici sulla base dei quali il fatto è stato accertato – in forza della sussistenza di una «doppia conforme» (art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ.).
2.4 – Il motivo è, invece, infondato in ordine al mancato accertamento della assenza del potere dell’intermediario di rappresentare il contribuente ai fini della presentazione della dichiarazione (come anche ai fini del mancato conferimento dell’incarico), avendo ritenuto il giudice del merito tale circostanza non provata, risultando insufficiente allegare l’esistenza di un contenzioso con il professionista («nel caso di specie, solo in questa sede il contribuente fornisce copia di un contenzioso in essere nei confronti dell’intermediario, ma instaurato recentemente nel 2016 cioè successivamente alla sentenza di primo grado, tale nuovo contenzioso è ancora pendente e il suo esito è ancora in divenire»).
3 – Il secondo motivo è infondato, posto che, secondo le comuni regole di riparto dell’opere della prova, deve essere il contribuente a provare, una volta che l’Ufficio abbia provato la ascrivibilità della dichiarazione al contribuente (in quanto sottoscritta), la sussistenza di circostanze impeditive alla riconduzione della dichiarazione integrativa al contribuente, come nel caso in cui non vi sia stato conferimento di incarico dal contribuente all’intermediario. Il mancato conferimento dell’incarico si configura, difatti, quale circostanza potenzialmente impeditiva della prova dell’invio della dichiarazione da parte dell’intermediario per conto del contribuente, circostanza il cui onere incombe sulla parte contribuente, essendo onere del contribuente – ove articoli la contestazione della pretesa tributaria in termini di «ritrattazione» della propria dichiarazione – fornire la prova del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria (Cass. Sez. V, 9 marzo 2018, n. 5728).
3.1 – Principio oltremodo rilevante nel caso di interferenza del rapporto professionale tra contribuente e intermediario con il rapporto di imposta corrente tra contribuente ed Erario, stante l’estraneità del rapporto privatistico professionale tra contribuente e intermediario al rapporto tributario tra erario e contribuente, con l’effetto che in caso di violazione di disposizioni tributarie, l’operato dell’intermediario sul contribuente ricade sul contribuente, salvo che quest’ultimo dimostri di aver vigilato sull’operato dell’intermediario (Cass., Sez. V, 4 aprile 2019, n. 9442; Cass., Sez. V, 20 luglio 2018, n. 19422; Cass., Sez. V,17 marzo 2017, n. 6930).
4 – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dal principio della soccombenza e raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 1.400,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.
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