CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26086
Tributi – Accertamento induttivo – Contestazione di antieconomicità della gestione aziendale – Onere di prova contraria a carico del contribuente – Svendita sottocosto delle rimanenze di magazzino per liquidazione finale – Non sufficiente
Rilevato che
Con sentenza n. 1672/48/17 depositata in data 24 febbraio 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 260/10/16 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di P.A. contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2012. La CTR osservava in particolare che il fatto costitutivo principale allegato dall’Ente impositore a sostegno delle proprie pretese creditorie (antieconomicità della gestione aziendale del contribuente) era stato adeguatamente controprovato dal contribuente con la allegazione dell’avvenuta svendita liquidatoria delle rimanenze di magazzino.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
L’intimato non si è difeso.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione dall’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, 54, d.P.R. 633/1972, 62 sexies, d.l. 331/1993, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha affermato come assolto l’onere controprobatorio del contribuente a fronte della contestata antieconomicità della gestione della sua impresa, basandosi sulla mera allegazione della circostanza fattuale di vendite sottocosto, ma senza alcuna prova della circostanza medesima.
La censura è fondata.
Va ribadito che:
– «Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità» (Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013, Rv. 627156 – 01);
– «In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203 – 01).
La sentenza impugnata ha palesemente violato i principi di diritto di cui a tali arresti giurisprudenziali.
Senza infatti alcun minimo accenno alle prove offerte dal contribuente e quindi solo sulla base di una sua mera allegazione, il giudice tributario di appello ha ritenuto assolto l’onere controprobatorio del contribuente medesimo della circostanza, minante la prova presuntiva fondante l’atto impositivo impugnato, di avere effettuato una svendita sottocosto per liquidazione finale.
È evidente che tale giudizio meritale contrasta con le disposizioni legislative evocate con la censura in esame, così come concretizzate in relazione all’ “antieconomicità gestionale” dai citati arresti giurisprudenziali.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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