CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 settembre 2020, n. 19374
Tributi – Determinazione del reddito d’impresa – Applicazione del regime del margine – Regime derogatorio – Presupposti soggettivi e oggettivi – Onere di prova a carico del contribuente
Rilevato che
1. con la sentenza n. 277/01/13 del 13/05/2013, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto dalla J.C. s.r.I., esercente attività di commercio di autoveicoli, avverso la sentenza n. 121/15/12 della Commissione tributaria provinciale di Caserta (di seguito CTP), che aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento a fini IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2007;
1.1. come emerge anche dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso, per quanto ancora interessa in questa sede, in ragione della errata applicazione del cd. regime del margine e per ricavi non dichiarati e determinati induttivamente;
1.2. la CTR motivava il rigetto dell’appello della società contribuente osservando che: a) «la natura derogatoria del regime in esame implica, ovviamente, che ricade sul contribuente l’onere di provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto (soggettivi e oggettivi) che giustificano la deroga al normale regime impositivo» e, in difetto di tale prova, che la società contribuente non aveva assolto, doveva ritenersi l’applicazione del regime ordinario; b) l’accertamento induttivo dei ricavi nella percentuale minima indicata dallo studio di settore trovava «adeguata giustificazione nell’accertamento, siccome basato sui convergenti elementi delle irregolarità contabili (…), dello scostamento della percentuale di ricarico applicata da quella derivante dallo studio di settore, dell’irrisorietà dell’indice di redditività dell’attività caratteristica rispetto al volume dei ricavi e della conseguente antieconomicità della gestione aziendale»;
2. J.C. s.r.l. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un’unica complessa censura;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Considerato che
1. va pregiudizialmente evidenziato che, come del resto sottolineato anche dalla stessa difesa erariale, la dedotta nullità della notificazione del ricorso (effettuato nei confronti dell’Avvocatura generale dello Stato e non già dell’Agenzia delle entrate) risulta comunque sanata dalla tempestiva costituzione della controricorrente;
2. con l’unico motivo di ricorso J.C. s.r.l. deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 26 bis della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (sesta direttiva), degli artt. 36-40 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. con modif. nella I. 22 marzo 1995, n. 85, dell’art. 46 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 2697 e 2727-2729 cod. civ., evidentemente in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando: a) la violazione della disciplina del cd. regime del margine e delle regole concernenti il riparto dell’onere probatorio; b) la illegittima ricostruzione induttiva dei ricavi della società contribuente, fondata unicamente sulla applicazione degli studi di settore;
3. la complessa censura è infondata;
3.1. sulla prima questione sono recentemente intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno affermato il seguente principio di diritto: «in tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del dl. n. 41 del 1995, conv. con modif. in l. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole» (Cass. S.U. n. 21105 del 12/09/2017);
3.2. nel caso di specie, la società contribuente contesta essenzialmente che non avrebbe potuto conoscere, con cognizione di causa, se per ciascun singolo autoveicolo compravenduto le società cedenti godessero dei requisiti soggettivi per la corretta applicazione del regime del margine, avendo tra l’altro smarrito il cd. registro di carico, e che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe fornito la prova dell’inapplicabilità del detto regime;
3.3. peraltro, è pacifico che l’acquisto da parte della società contribuente sia avvenuto da società di noleggio e leasing, sicché, operando la presunzione di assolvimento dell’imposta a monte da parte del cedente, grava senz’altro sulla società contribuente l’onere di fornire la prova dell’applicazione del diverso regime del margine, prova che in ipotesi non è stata in alcun modo fornita, così come correttamente evidenziato dalla CTR;
3.4. con riferimento alla seconda questione, a parte eventuali profili di inammissibilità per difetto di specificità, non essendo stato trascritto l’avviso di accertamento in parte qua, basterà evidenziare che dalla sentenza impugnata non emerge affatto che l’accertamento sia fondato sul semplice scostamento dell’indice di ricarico applicato da quello risultante dallo studio di settore;
3.5. la CTR afferma, infatti, che l’accertamento induttivo dei ricavi è stato compiuto non già in ragione del semplice scostamento dallo studio di settore, ma in applicazione della percentuale minima di ricarico risultante da detto studio, sul presupposto della esistenza di irregolarità contabili e di una gestione antieconomica;
3.6. in altri termini, l’accertamento (induttivo o, verosimilmente, analitico-induttivo), non è stato effettuato in base all’applicazione dello studio di settore, come sostenuto da J.C. s.r.I., ma utilizzando la percentuale di ricarico minima prevista in detto studio quale parametro per la ricostruzione dei ricavi, in presenza di puntuali indici di irregolarità contabili e anomalie gestionali;
4. in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore della lite dichiarato di euro 1.181.685,00;
4.1. poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 12.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.