CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 settembre 2020, n. 19387
Tributi – Accertamento – Indagini finanziarie – Estensione a conti correnti intestati a terzi ma riconducibili alla società per cariche sociali e legami familiari – Legittimità
Rilevato che
1.1 – C.C. s.r.l. (ora C.I.M. s.r.l.) ricorre in primo grado avverso un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003 per costi non deducibili dal reddito e non detraibili dall’ Iva e maggiori ricavi emersi da indagini finanziarie su vari conti correnti bancari, onde il recupero a tassazione di maggiore Ires per euro 53.912,00, Irap per euro 7.058,00, Iva per euro 40.890,00, oltre sanzioni e interessi.
1.2 – La Commissione tributaria provinciale di Salerno accoglie il ricorso con sentenza n. 204/16/2008.
Appella l’Agenzia delle entrate.
1.3 – La Commissione tributaria regionale della Campania accoglie parzialmente l’appello e annulla soltanto “il recupero relativo a prestazioni non imponibili rese a soggetto extra CEE” (decisione passata in giudicato), confermando nel resto l’avviso impugnato per i seguenti motivi:
1.3.1 – Ritiene legittimo l’utilizzo da parte dell’ Ufficio del metodo induttivo di accertamento, in considerazione della irregolare tenuta della contabilità societaria;
1.3.2 – Ritiene utilizzabili i dati emersi dall’ indagine bancaria sui conti correnti intestati a terzi ma riconducibili alla società, trattandosi di persone fisiche che rivestivano o avevano rivestito cariche sociali o legate ad essi da vincoli di solidarietà familiare.
1.3.2 – Valutato il contenuto di una perizia contabile depositata dalla parte, ne esclude però la rilevanza.
1.3.4 – Quanto alle operazioni extra CEE, precisa che la decisione del primo giudice è passata in giudicato perché non ha costituito oggetto di specifico appello.
1.3.5 – Ritiene fondato il disconoscimento per difetto di inerenza dei costi riferentisi ad immobili non destinati allo svolgimento dell’attività.
2.1 – La società ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello con 4 motivi chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese.
2.2 – l’Agenzia delle entrate resiste e deposita controricorso con cui contrasta l’avverso ricorso, chiedendone il rigetto, vinte le spese.
Considerato che
Motivi del ricorso
3.1 – Il primo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ. vecchio testo) e violazione di legge (art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2727 e 2729 cod.civ.). Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto riconducibile alla società il conto corrente n. 23614 BIPOP-CARIRE Roma intestato all’amministratore M.G., a sua moglie e sua figlia trattandosi di un conto che la famiglia aveva la possibilità finanziaria di alimentare, come documentato in causa con elementi di prova ignorati dalla sentenza impugnata.
3.2 – Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge (art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 32 e 39 d.P.R. n. 600/1973, 51 e 54 d.P.R. 633/1972, 2727 e 2729 cod.civ.; violazione del divieto di doppia presunzione). Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto riferibile alla società il conto corrente di cui al punto 1 in mancanza di prova da parte dell’ Amministrazione finanziaria; erroneamente inoltre le movimentazioni emergenti dal conto sono state considerate per intero ricavi occulti della società, utilizzando a tal fine una doppia presunzione non consentita.
3.3 – Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ. vecchio testo, in relazione all’art. 54 co.3 bis d.l. n. 83/2012) perché erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto non inerenti i costi relativi agli immobili siti in Milano e Roma, omettendo di valutare le prove offerte in ordine alla circostanza che detti immobili erano stati locati o sublocati dalla società nell’ esercizio della sua attività di impresa (di gestione di patrimoni immobiliari).
3.4 – Il quarto motivo di ricorso, lamenta vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ. vecchio testo in relazione all’art. 54 co.3 bis d.l. n. 83/2012) in relazione al disconoscimento del costo relativo alla progettazione e gestione di pagine web relativamente all’ anno 2002, in violazione del principio di competenza. La sentenza impugnata, pur accogliendo implicitamente l’appello dell’ Agenzia delle entrate, (come da dispositivo) avrebbe omesso ogni motivazione sul punto.
4.1 – L’Agenzia delle entrate, dopo aver indicato i capi della sentenza che a suo giudizio sarebbero passati in giudicato in quanto non investiti dal ricorso di controparte, eccepisce in contrario:
4.2 – L’infondatezza del primi due motivi di ricorso perché i titolari del conto corrente bancario sono M.G. – amministratore e socio della società, D.A., moglie di M., socia e amministratrice, M.A., figlia e socia della società.
Questo basterebbe per ritenere riferibili alla società le movimentazioni bancarie (Cass. 12 sett. 2012 n. 15217).
Non rileva in contrario la capacità finanziaria degli intestatari, trattandosi di argomento di carattere generico, mentre la prova necessaria per superare la presunzione di legge è costituita dalla giustificazione delle singole operazioni.
4.3 – L’infondatezza del terzo motivo di ricorso, perché non risulta che la società abbia stipulato alcun contratto di locazione o sublocazione per gli immobili cui si riferiscono i costi ritenuti non inerenti.
4.4 – L’infondatezza del quarto motivo di ricorso perché le spese in questione sono state dedotte nell’ anno 2003 pur essendo di competenza dell’ anno precedente, come da documentazione fornita dalla stessa società.
Motivi della decisione
5. – Il primo motivo di ricorso è infondato sotto entrambi i profili proposti.
5.1. – Quanto alla dedotta violazione di legge si richiama sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui «In tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica […]
– in quanto sia l’art. 32, n. 7, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riguardo alle imposte sui redditi, che l’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, riguardo all’IVA – autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti»; in altri termini, in forza della descritta presunzione legale, i rapporti familiari intercorrenti tra il contribuente e il coniuge sono sufficienti al fine di attribuire al primo i versamenti sui conti correnti intestati alla moglie, senza alcuna necessità che l’ufficio dimostri né l’intestazione fittizia di tali conti né che il ricorrente ne avesse la disponibilità (Cass. Sez. 5 Num. 4681 21 febbraio 2020).
5.2. – Quanto al dedotto vizio di motivazione, non merita censura la decisione impugnata che ha affermato, in coerenza con il principio di diritto che precede, che a fronte della presunzione legale di attribuzione alla società delle movimentazioni finanziarie risultanti dai conti correnti “di famiglia”, avrebbe dovuto il contribuente fornire la prova liberatoria, consistente nella giustificazione delle operazioni bancarie. A torto quindi la ricorrente invoca come esimente non valutata dal giudice a quo la asserita dimostrazione del possesso da parte delle persone fisiche intestatarie dei conti correnti bancari della disponibilità finanziaria per alimentarli, trattandosi di circostanza diversa dalla giustificazione specifica e analitica dei singoli movimenti bancari, che la Commissione tributaria regionale ha ritenuto implicitamente non influente ai fini della decisione.
6. – Il secondo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste la dedotta violazione di legge, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra indicata al punto 5.1. Quanto poi all’ asserita violazione del divieto di doppia presunzione, la Corte non ha motivo di discostarsi dalla precedente giurisprudenza per cui «in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie» (Cass. nn. 15003/2017; 20748/2019).
7. – Il terzo motivo di ricorso non coglie la ratio decidendi del capo della sentenza cui si riferisce (non inerenza dei costi relativi ad immobili siti in città diverse da quella ove si trova la sede legale della società), consistente nel fatto che i costi non riconosciuti si riferiscono ad immobili “non in uso” alla società, perché da essa non dichiarati come destinati all’esercizio dell’attività, per cui la circostanza che questa li avesse locati per conto terzi, invocata dalla ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione, non è idonea a dimostrarne l’uso diretto. Sotto altro profilo, poi, il motivo propone una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una diversa valutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità.
7.1- Non sussiste comunque il dedotto vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Infatti questa Corte ha ribadito anche di recente (Cass. Sez. 5 Num. 4681 21 febbraio 2020) il principio di diritto che: «il «fatto» ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014). Il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006). Non presenta queste caratteristiche che la circostanza, addotta dalla parte, che essa esercita attività di gestione di patrimoni immobiliari, che costituisce, più che un “fatto” nel senso sopra precisato, una argomentazione difensiva, la cui asserita decisività non corrisponde ad un giudizio di certezza.
8. – Il quarto motivo di ricorso, infine, è inammissibile per difetto di specificità. La sentenza di primo grado, infatti, non contiene una specifica motivazione sul punto, né la ricorrente ha evidenziato in che modo e con quali atti la questione sia stata proposta in precedenza, omettendone la trascrizione, l’allegazione in copia, e perfino la specifica “localizzazione” nel giudizio di merito, per cui il motivo di ricorso non possiede l’autonomia indispensabile per consentire alla Corte, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni proposte.
9. – In conclusione, per effetto delle considerazioni che precedono, il ricorso di cui all’intestazione deve essere rigettato. Le spese processuali, come liquidate in dispositivo, seguono alla soccombenza. Deve darsi atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 5.000 (cinquemila) complessivi; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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