CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2018, n. 9485
Tributi – Accertamento con adesione – artt. 7, 8 e 9 d.lgs. 218 del 1997 – Omesso deposito di garanzia fideiussoria – Disciplina vigente ratione temporis – Mancato perfezionamento della procedura – Efficacia del precedente atto impositivo. – Contenzioso tributario – Vizio di motivazione
Fatti di causa
A seguito di verifica conclusa con processo verbale di constatazione di maggiori ricavi per euro 101.502, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società A.L.P. e C. Sas, esercente attività di ristorazione, un invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997; all’esito della procedura di definizione concordata l’ente impositore e la società sottoscrivevano un atto di accertamento con adesione, relativo all’anno di imposta 2005, con cui i maggiori ricavi originariamente stabiliti in euro 101.502, venivano concordemente ridotti ad euro 42.652, con rateizzazione del pagamento delle corrispondenti imposte. Dopo il pagamento della prima rata la contribuente ometteva i successivi versamenti e non depositava la garanzia fideiussoria. Conseguentemente l’Agenzia delle Entrate notificava alla società A.L.P. e C. sas un avviso di accertamento recante la pretesa impositiva nella misura rideterminata a seguito dell’ accertamento con adesione, mentre ai soci venivano notificati distinti avvisi di accertamento relativi al corrispondente reddito di partecipazione.
Contro gli avvisi di accertamento la società ed i soci proponevano distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale che li rigettava con sentenza n. 23 del 2010.
La società ed i soci proponevano appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva con sentenza del 22.11.2010. Secondo il giudice di appello la procedura di accertamento con adesione non si era perfezionata a causa della mancata prestazione della garanzia da parte della contribuente; pertanto “riprendeva efficacia il precedente atto impositivo” che il giudice di merito riteneva infondato.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.
La società ed i soci C.A., D.P.F. e D.P.L. resistono con controricorso, chiedendo di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Il ricorso, ammissibile, è fondato nei limiti di seguito indicati.
1. Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 9 d.lgs. 218 del 19.6.1997.
Art. 360 n. 3 e 5 cod.proc.civ. e per quanto possa occorrere artt. 1965 e 1976 cod.civ. (con particolare riguardo a quest’ultimo) cod.civ. art. 360 n. 3 cod.civ.). Art. 360 n.3 cod.civ.”
Il motivo è infondato. Questa Corte ha stabilito il principio che, in tema di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione del contribuente, ai sensi degli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 218 del 1997, il pagamento della prima rata e la prestazione della garanzia non costituiscono una semplice modalità di esecuzione della procedura, ma un presupposto imprescindibile di efficacia della stessa. Ne consegue che, quando sia omessa la prestazione della garanzia, la procedura non può dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l’originaria pretesa tributaria (Sez. 5, Sentenza n. 22510 del 02/10/2013).
Il chiaro tenore dell’art. 9 della legge n. 218 del 1997 vigente ratione temporis (l’art. 23 comma 18 del d.l. 6 luglio 2011 n. 98 ha eliminato la necessità di prestazione della garanzia ai fini del perfezionamento dell’accertamento con adesione) escludeva che, in assenza del deposito della garanzia, si potesse considerare perfezionato il procedimento di accertamento con adesione. Da ciò deriva che l’ente impositore, pur potendo far valere la maggiore pretesa impositiva originariamente contestata, non poteva attribuire all’atto di adesione, sottoscritto ma non seguito dagli adempimenti prescritti, il valore di riconoscimento del debito tributario “definito e consolidato”, come preteso dalla Agenzia delle Entrate ricorrente.
2. Secondo motivo: “insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla illegittimità ed infondatezza degli accertamenti: art. 360 n. 5 cod.proc.civ.”.
Il motivo è fondato. La C.T.R. ha ritenuto l’infondatezza degli avvisi di accertamento impugnati sul rilievo che “i maggiori ricavi accertati e trasfusi nel p.v.c. sono stati ridotti una prima volta ad euro 63.399 e successivamente ad euro 42.652, rendendo palesemente inattendibile la procedura di accertamento adottata”, e considerato che “le riduzioni apportate in sede di concordato, indirettamente riconoscono l’inattendibilità dell’operato dei precedenti verificatori”.
Seguiva un esame della originaria pretesa impositiva contenuta nel processo verbale di constatazione.
Sussiste il dedotto vizio di motivazione. La Commissione tributaria regionale ha, illogicamente, considerato indice di inattendibilità della minore pretesa impositiva il fatto che l’Ufficio avesse accolto i rilievi del contribuente in ordine alla eccessività della originaria quantificazione delle imposte. Il giudice di appello avrebbe dovuto verificare la fondatezza della pretesa impositiva nella entità rideterminata con gli avvisi di accertamento impugnati, che avevano mantenuto ferme le risultanze del contraddittorio instaurato con il contribuente, di cui accoglievano, in buona parte, le doglianze; pertanto l’esame della fondatezza degli avvisi di accertamento impugnati doveva essere condotta sulla base della motivazione e degli elementi probatori ivi indicati, la cui valenza doveva essere apprezzata in funzione della ridotta pretesa impositiva, non potendosi ravvisare un elemento di inattendibilità nel fatto che l’Ufficio, nonostante il comportamento contraddittorio del contribuente (che sottoscriveva l’atto di accertamento con adesione, versava la prima rata e non depositava la garanzia) aveva comunque contestato i maggiori ricavi nella misura determinata in contraddittorio con il contribuente, senza ripristinare ( come pure avrebbe potuto) l’originaria maggiore pretesa impositiva, la quale pertanto non era più oggetto di controversia tra le parti.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso la sentenza deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, alla quale è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.
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