CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10865
Declaratorie di nullità o inefficacia della cessione di ramo d’azienda e ripristino del rapporto di lavoro – Transazione conclusa in sede sindacale preclude al lavoratore la contestazione – Error in procedendo ex art. 360, co. 1, c.p.c. – Non sussiste
Rilevato che
1. con sentenza n. 1325 pubblicata il 18.11.2016, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta da A. G., confermando la pronuncia di primo grado che aveva rigettato le domande del predetto volte alla declaratoria di nullità o inefficacia della cessione di ramo d’azienda da A. s.p.a. a M. Service s.r.l. e alla declaratoria di nullità, o in subordine annullabilità, della conciliazione conclusa il 6.11.07, con condanna della cedente al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento dei danni;
2. la Corte territoriale ha dato atto del passaggio del rapporto di lavoro del sig. A. da A. s.p.a. a M. Service s.r.l., ai sensi dell’art. 2112 c.c., nonché della conclusione di una transazione in sede sindacale con cui l’A. aveva accettato la prosecuzione del rapporto in capo alla cessionaria e rinunciato ad ogni azione nei confronti delle due società, a fronte della corresponsione di una somma pari a 15 mensilità di retribuzione e della garanzia di stabilità di impiego presso la cessionaria per tre anni;
3. ha rilevato come il Tribunale non avesse omesso di pronunciarsi sulla domanda di nullità della cessione, come dedotto dal lavoratore appellante, ma avesse, condivisibilmente, ritenuto che la transazione conclusa in sede sindacale precludesse al lavoratore di contestare gli effetti della cessione medesima quanto al proprio rapporto di lavoro;
4. la Corte di merito ha considerato valide ed efficaci, ai sensi dell’art. 2113 c.c., le rinunce fatte dal lavoratore nella citata sede protetta; ha escluso la nullità della transazione, denunciata dal lavoratore ai sensi dell’art. 1972 c.c., in quanto non avente ad oggetto un contratto illecito ed ha parimenti escluso l’annullabilità del negozio transattivo in quanto genericamente dedotta dal lavoratore;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il sig. A., affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso A. s.p.a.;
6. la società A. s.p.a. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis. l. c.p.c.
Considerato che
7. col primo motivo di ricorso il sig. A. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione degli artt. 1418, 1344, 1325 c.c., 112 e 115 c.p.c. nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;
8. ha ribadito come il Tribunale avesse omesso di pronunciarsi sulla domanda di nullità, illegittimità o inefficacia del contratto di cessione di ramo d’azienda, fornendo una motivazione apparente, e come erroneamente la Corte d’appello avesse respinto il motivo di impugnazione sul punto;
9. ha sostenuto come la Corte di merito avesse erroneamente incluso l’A. tra i 141 lavoratori interessati alla procedura di mobilità, e la cui posizione era stata definita mediante risoluzioni consensuali dei rapporti o cessioni individuali del contratto di lavoro, laddove il rapporto del predetto, unitamente a 14 unità lavorative, era stato oggetto della cessione di ramo d’azienda; ha allegato come tale cessione fosse stata conclusa in frode alla legge, al fine di eludere le disposizioni sui licenziamenti collettivi, ed ha denunciato la mancata ammissione delle prove testimoniali su tali profili di nullità;
10. col secondo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione dell’art. 1972 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;
11. ha sostenuto come la pronuncia sulla nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda avrebbe condotto alla declaratoria di nullità del verbale conciliativo avente ad oggetto proprio quel contratto ai sensi dell’art. 1972 c.c.;
12. ha allegato come, con la sottoscrizione del verbale di conciliazione, il lavoratore avesse rinunciato unicamente a promuovere azioni collegate agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro con A. s.p.a.; ha denunciato l’omesso esame del verbale conciliativo e la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta sul punto;
13. col terzo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 1439 c.c., 112 e 115 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;
14. ha affermato di avere, sia in primo grado che in appello, adeguatamente circostanziato il vizio del consenso dedotto (dolo) al fine dell’annullabilità dell’accordo transattivo ed ha criticato il mancato esame dei documenti prodotti e delle prove richieste;
15. il primo motivo di ricorso è infondato nella parte in cui ribadisce l’omessa pronuncia sulla domanda di nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda; premesso che il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. debba essere fatto valere quale error in procedendo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la Corte d’appello non ha omesso di pronunciarsi sulla questione in oggetto ma ha ritenuto che la domanda di nullità, illegittimità o inefficacia del contratto di cessione del ramo d’azienda fosse preclusa in ragione dell’accordo transattivo concluso tra le parti in sede protetta, come tale valido ed efficace ai sensi dell’art. 2113 c.c.;
16. l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla effettiva mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine alla domanda che, ritualmente ed incondizionatamente proposta, richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 9545 del 2001; n. 7653 del 2012), laddove nel caso in esame una decisione risulta espressamente adottata;
17. neppure può trovare accoglimento la dedotta violazione degli artt. 1418, 1344, 1325 c.c. non avendo l’attuale ricorrente indicato in che termini avesse posto la questione della nullità per frode alla legge della cessione del ramo e in quali atti processuali, che avrebbe dovuto trascrivere almeno per estratto; al riguardo la sentenza d’appello riporta che TA. evidenziava di aver sostenuto in primo grado la nullità di detta cessione per inesistenza del ramo d’azienda, nonché per violazione dell’art. 2112 e della normativa in materia di licenziamenti collettivi stabilita dalla L. n. 223/91″;
18. non vi è spazio per configurare la violazione dell’art. 115 c.p.c. che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti, circostanza neanche allegata nel caso di specie;
19. le ulteriori censure oggetto del primo motivo di ricorso e formulate in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., sono inammissibili per l’operare della disciplina della doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 26774 del 2016; n. 5528 del 2014);
20. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto incentrato sulla interpretazione dell’accordo transattivo che non è trascritto nel corpo del ricorso e riguardo al quale non è neanche indicata l’esatta collocazione tra gli atti di causa;
21. il motivo è comunque infondato;
22. questa Corte ha precisato (Cass. n. 23064 del 2016; n. 2413 del 2016; n. 8776 del 2012) come “L’art. 1972 , comma 1, c.c. sancisce la nullità della transazione soltanto se questa ha ad oggetto un titolo nullo per illiceità della causa o del motivo comune ad entrambe le parti, e non quando si tratta di contratto nullo per mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c. o per altre ragioni, mentre l’invalidità di cui al comma 2 del medesimo articolo consegue alla nullità di singole clausole del contratto base solo quando di esse risulti, ai sensi dell’art. 1419 c.c., l’essenzialità rispetto al contratto stesso“; la censura proposta col secondo motivo di ricorso non reca alcuno degli elementi necessari ai fini della integrazione dell’art. 1972 c.c. e si rivela assolutamente generica;
23. non può trovare accoglimento neanche il terzo motivo di ricorso che, sebbene formulato anche come violazione di legge, censura unicamente la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha definito generiche le allegazioni sul dolo, rilevante ai fini della annullabilità della transazione, in particolare per omesso esame di fatti storici, neanche indicati, e per mancata ammissione di prove, anch’esse non specificate, operando per il vizio motivazionale la già richiamata disciplina di cui all’art. 348 ter c.p.c.;
24. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;
25. la regolazione delle spese di lite segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;
26. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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