CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10867
Indennità per cessazione dell’attività commerciale – Riconoscimento – Maturazione dei requisiti – Sussistenza
Rilevato che
1. con sentenza del 3 giugno 2013 la Corte d’appello di Trieste confermava la decisione di rigetto della domanda proposta da S.D. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento della cd. indennità per cessazione dell’attività commerciale di cui all’art. 1 d.Lgs. 28 marzo 1996 n. 207 e successive modifiche con condanna dell’istituto al pagamento della stessa con decorrenza 20 dicembre 2005;
2. ad avviso della Corte territoriale: stante la natura eccezionale della cd. indennità per cessazione dell’attività commerciale come emergente dalla normativa che la disciplina non poteva ritenersi che l’istituto della proroga (di natura procedimentale) avesse esteso il diritto alla detta indennità a tutti i commercianti che avevano cessato l’attività e di una determinata età anagrafica; nel caso in esame, al di là della sussistenza o meno dei requisiti richiesti, il D. aveva presentato la domanda il 12 giugno 2008, oltre il termine fissato dalla legge al 31 gennaio 2008;
3. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il D. affidato ad un unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ. cui resiste l’INPS con controricorso;
Considerato che
4. con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 72 L. 28 dicembre 2001 n. 448, 1, comma 272, L. 30 dicembre 2004 n. 311, 1 del d.Lgs. n. 207/1996, 19 ter della L. 28 gennaio 2009 n. 2, (in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod, proc. civ.) avendo la Corte territoriale errato nel negare il diritto del D. alla menzionata indennità perché le norme che la prevedevano dovevano essere interpretate estensivamente consentendo la fruizione del beneficio de quo anche ai soggetti (quale il ricorrente) che avevano maturato i requisiti di legge in anni non contemplati dalle diverse norme succedutesi nel tempo, in quanto, una diversa interpretazione sarebbe stata in contrasto con l’art. 3 della Costituzione;
5. il motivo è infondato. Vale precisare il quadro normativo di riferimento. L’art. 1 del d.Lgs 28 marzo 1996 n. 207 dispone: <<1. Il presente decreto legislativo, in attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 43, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, istituisce, a decorrere dal 1 gennaio 1996, ‘un indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività’ commerciale ai soggetti che esercitano, in qualità di titolari o coadiutori, attività commerciale al minuto in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche>>. L’art. 2 prevede i requisiti per l’accesso all’indennizzo: <<1. L’indennizzo previsto dall’art. 1 spetta ai soggetti che, nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1996 e il 31 dicembre 1998, siano in possesso dei seguenti requisiti: a) più di 62 anni di età, se uomini, ovvero più di 57 anni di età, se donne; b) iscrizione, al momento della cessazione dell’attività’, per almeno 5 anni, in qualità di titolari o coadiutori, nella Gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). 2. L’erogazione dell’indennizzo è subordinata, nel periodo indicato dal comma 1, alle seguenti condizioni: a) cessazione definitiva dell’attività commerciale; b) riconsegna dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività commerciale e dell’autorizzazione per l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, nel caso in cui quest’ultima sia esercitata congiuntamente all’attività di commercio al minuto; c) cancellazione del soggetto titolare dell’attività’ dal registro degli esercenti il commercio e dal registro delle imprese presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura>>. La L. 28 dicembre 2001, n. 448 ha, quindi, disposto (con l’art. 72, comma 1) che “L’indennizzo di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, è concesso, con le medesime modalità ivi previste, anche ai soggetti che si trovino in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2 del predetto decreto legislativo nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2002 e il 31 dicembre 2004”. La L. 30 dicembre 2004, n. 311 ha previsto (con l’art. 1, comma 272) che “L’indennizzo di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, è concesso, con le medesime modalità ivi previste, anche ai soggetti che si trovino in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2 del predetto decreto legislativo nel periodo compreso fra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2007. …omissis…Le domande di cui all’articolo 7 del citato decreto legislativo 28 marzo 1996, n. 207, possono essere presentate dai soggetti di cui al primo periodo del presente comma entro il 31 gennaio 2008”.
E’ evidente che le condizioni richieste per accedere all’indennizzo in questione devono essere concomitanti nel periodo indicato mentre nel caso in esame è pacifico che il D. aveva cessato l’attività il 31 dicembre 2005^ mentre aveva compiuto i 62 anni di età successivamente, il 20 giugno 2008 (essendo nato il 20 giugno 1946), peraltro anche dopo la data di proposizione della domanda all’INPS (il 12 giugno 2008), sicché il predetto non poteva accedere all’indennizzo in questione non avendone i requisiti. La circostanza evidenziata dal ricorrente relativa al fatto che l’indennità in questione sia stata, ripristinata a decorrere dal gennaio 2009 per gli anni successivi (ed anche per il 2019 dall’art. 1, commi 283 e 284, della legge 30 dicembre 2018 n. 145) non può comportare l’estensione del beneficio anche a coloro che avevano maturato i requisiti nel corso del 2008, anno non compreso nelle proroghe. Né può prospettarsi una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Costituzione in quanto il fluire del tempo costituisce di per sé idoneo elemento di diversificazione delle situazioni poste a confronto (Cass. n. 4449 del 23/02/2018; Cass. n. 21552 del 20/09/2013, tra le varie).
In tali sensi, pertanto, va integrata ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., la motivazione dell’impugnata sentenza il cui dispositivo è conforme a diritto;
6. pertanto, il ricorso va rigettato;
7. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
8. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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