CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10878
Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Posizione fiscale della contribuente – Movimenti bancari – Procedimento
Fatti di causa
1. – A.V. ha impugnato l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate con cui erano stati rettificati il reddito dichiarato e il volume di affari per l’anno di imposta 2004, a seguito di una verifica bancaria in capo al coniuge collaboratore. L’Ufficio aveva comunicato di aver proceduto al controllo della posizione fiscale della contribuente relativa all’anno 2004 avente a oggetto i contributi previdenziali, l’Irpef, l’Irap e l’iva, richiedendo le maggiori imposte, sanzioni e interessi.
La Commissione tributaria provinciale di Brescia ha accolto il ricorso.
2. – La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha riformato la sentenza di primo grado, confermando l’avviso di accertamento.
3. – La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L’Agenzia resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa o insufficiente e contradditoria motivazione. Parte ricorrente contesta la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittime le indagini sul proprio conto corrente che avevano indotto l’Ufficio finanziario a riferire i movimenti bancari alla sua persona in considerazione della sua “mancata risposta”, gravando su di lei la prova contraria. Tali apodittiche motivazioni sarebbero del tutto erronee e contraddittorie. L’impugnata sentenza ometterebbe di considerare che la mancata risposta del contribuente era inevitabile, dato che nessuna contestazione o richiesta di chiarimenti le era mai stata inviata da parte dell’Ufficio finanziario. Le indagini, infatti, hanno riguardato un soggetto diverso (il coniuge C.B.) mentre l’accertamento è stato contestato all’odierna ricorrente, estranea al procedimento. L’amministrazione, inoltre, non avrebbe fornito elementi gravi precisi e concordanti per poter imputare a un “terzo” le movimentazioni rilevate. Il solo vincolo coniugale non può giustificare che un’indagine effettuata sul conto di un coniuge venga poi a ripercuotersi sull’altro.
In via alternativa e subordinata, parte ricorrente, nella parte finale del motivo, prospetta sinteticamente un’ulteriore doglianza riguardante la mancata notificazione degli avvisi di trattazione e del dispositivo al difensore nominato e regolarmente costituito, circostanze che renderebbero nulla la sentenza.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
Il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006 (applicabile ratione temporis), si denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (Cass. 8 settembre 2016, n. 17761).
Si deve trattare quindi di un preciso accadimento, ovvero di una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014), che appaia decisiva per la decisione (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006) mentre, anche nel vigore del testo del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c. precedente alle modifiche introdotte al d.lgs. n. 40 del 2006 è invece inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere a un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).
Parte ricorrente, invece, mira, per un verso, a ottenere una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie e, per l’altro, si duole, altrettanto inammissibilmente, della motivazione della sentenza in diritto.
Altrettanto inammissibile è la censura contenuta nella parte finale del ricorso riguardante, in maniera del tutto generica, i profili processuali e difettando per questo della necessaria specificità e della corrispondenza con le relative parti della motivazione.
2. – Il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in euro 2.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
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