CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10885

Tributi – Accertamento – Importazioni – Utilizzo del plafond valutario in assenza dei requisiti di esportatore – Sospensione d’imposta

Fatti di causa

la C. S. Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore A. S., in data 08.09.2009 riceveva notifica dell’Avviso di accertamento n. R2E030300490 relativo all’anno d’imposta 2004, con il quale la Direzione Provinciale di Monza e Brianza dell’Agenzia delle Entrate accertava, in primo luogo, costi non inerenti per l’importo di Euro 1.152,68 e costi non di competenza per l’ammontare di Euro 1.536,00, ed in secondo luogo rilevava l’effettuazione di acquisti ed importazioni in sospensione dell’IVA, con utilizzo del plafond valutario in assenza della maturazione dei requisiti di esportatore abituale, nonché l’emissione di cinque fatture senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Conseguentemente, l’Ufficio determinava maggiori imposte ai fini Iva, Irap ed Ires per complessivi Euro 48.453,00, oltre ad Euro 71.178,00 a titolo di sanzione.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che rilevava la tardività delle argomentazioni relative alle ragioni che avevano determinato la ripresa a tassazione dei costi ai fini Ires ed Irap, in quanto formulate soltanto in corso di causa, con memoria del 29.07.2010, nel resto motivava il rigetto del ricorso sul presupposto della mancanza di pregio giuridico delle eccezioni relative alla ripresa a tassazione dell’Iva, ritenendole non provate con idonea documentazione.

La Società proponeva appello esclusivamente avverso i rilievi concernenti l’Iva domandando, a tal proposito, la riforma della sentenza di prime cure. L’adita Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava il gravame.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione A. S., in qualità di legale rappresentante della C. S. affidandosi, a quanto è dato comprendere, a due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Ragioni della decisione

1.1. – Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente società critica la decisione della CTR per aver erroneamente confermato la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate circa “l’effettuazione di acquisti in sospensione di imposta con utilizzo del plafond in assenza dei requisiti di esportatore abituale per un imponibile di € 201.672,00 più Iva pari a € 35.588,00”, nonché per non aver tenuto conto della propria condotta che “pur non annotando sulle fatture l’aliquota Iva, registrava con l’iva le fatture sui rispettivi registri acquisti/vendite, senza arrecare alcun danno all’erario” (ric. p. 3).

1.2. – La contribuente, mediante il secondo motivo di ricorso, impugna le statuizioni in ordine alle cinque fatture, emesse dalla società senza applicazione dell’Iva, per un importo complessivo pari ad € 35.588,00, oltre ad Iva pari al 20% per il valore di € 7.117,60 (ric. p. 3).

Non sussistono le condizioni per addivenire ad una pronuncia sul merito del giudizio, ricorrendo insuperabili violazioni formali.

Occorre infatti costatare la mancanza della procura, che avrebbe dovuto essere rilasciata dal legale rappresentante della società ricorrente al proprio difensore, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione.

E’ appena il caso di rammentare come la consolidata giurisprudenza di questa Corte consenta che la procura, conferita ai fini della proposizione del giudizio di cassazione, non utilizzi formule particolari, ma deve comunque risultare inequivocabile la volontà della parte di rilasciare il mandato al fine di essere difesa nello specifico giudizio di legittimità.

Nel ricorso introduttivo di questo giudizio, però, si legge nell’intestazione che S. A., legale rappresentante della C. S. Srl, società che è stata parte del giudizio nei gradi di merito, è “difeso e rappresentato come da mandato a margine in atti precedenti dall’avv. F. La M.”. L’inciso “a margine in atti precedenti” lascia intendere che la procura fosse stata conferita in relazione ai gradi di merito del giudizio, dovendo pertanto escludersi che sia stata specificamente rilasciata in relazione al giudizio di legittimità.

La procura speciale ai fini del giudizio di cassazione, invero, non appare estesa né il calce né a margine del ricorso, e neppure risulta contenuta in atto separato; tuttavia il procuratore ne afferma l’intervenuto rilascio in atti relativi a precedenti gradi del giudizio. Occorre allora ribadire che l’introduzione del giudizio per cassazione richiede una propria e specifica procura speciale che sia stata rilasciata al difensore prescelto, e non è pertanto consentito a quest’ultimo introdurre il giudizio di legittimità sulla base di una procura ottenuta in relazione ai gradi di merito del giudizio, qualunque fosse la formula del mandato all’epoca conferito.

Questa Corte ha avuto del resto occasione di ribadire, in tempi recenti, che “la procura per proporre ricorso per cassazione deve essere speciale e non può essere rilasciata in via preventiva, dal momento che il requisito della specialità implica l’esigenza che questa riguardi espressamente il giudizio di legittimità sulla base di una valutazione della sentenza impugnata. Ne consegue che la procura non può considerarsi speciale se rilasciata in data precedente a quella della sentenza da impugnare, sicché è inammissibile un ricorso sottoscritto da difensore che si dichiari legittimato da procura a margine dell’atto di citazione di primo grado“, Cass. sez. III, n. 27540 del 2017.

Il ricorso introduttivo del giudizio di cassazione è dunque inammissibile.

Per completezza, comunque, appare opportuno rilevare pure che il ricorso in esame sarebbe comunque inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, come replicato dall’Agenzia delle Entrate. A tal proposito sia sufficiente ricordare che “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tas- satività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito“, Cass. sez. VI-II, ord. 14.05.2018, n. 11603. Il giudice di legittimità ha pure chiarito che “il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione“, Cass. sez. IlI, sent. 25.09.2009, n. 20652.

A tali principi la ricorrente non si è conformata, essendosi piuttosto limitata a rinnovare una prospettazione generica delle proprie doglianze, senza aver cura di indicare quando, come e dove, le sue critiche siano state esposte e coltivate, nonché di argomentare le proprie ragioni di contestazione delle affermazioni contenute nella decisione di secondo grado, con sufficiente grado di precisione ed accuratezza, onde consentire a questa Corte di verificare la tempestività e congruità delle contestazioni, prima ancora di andarne a verificare la decisività.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, per più ragioni.

Occorre ancora segnalare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’attività del difensore senza procura, perché rilasciata in relazione a fasi del processo diverse da quelle in cui l’atto è stato speso, non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità, anche in ordine alle spese di giudizio (cfr. Cass. sez. U, 10.5.2006, 10706; Cass. sez. VI-I, 20.11.2017, n. 27530; Cass. sez. IlI, 25.5.2018, n. 13055; Cass. sez. L, 12.06.2018, n. 15305). Ne consegue che le spese, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico del difensore.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da S. A. quale legale rappresentante pro-tempore della C. S. Srl. Condanna l’Avvocato dichiaratosi difensore del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 2.050,00, oltre spese prenotate a debito.