CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10919
Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Indicatori di capacità contributiva – Presunzioni – Requisiti di gravità, precisione e concordanza – Onere di prova contraria del contribuente
Rilevato che
1. M.A.Z. ha proposto ricorso per cassazione, per sei motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento del 2009 per maggiore IRPEF (calcolata su un reddito di euro 124.488,00) e addizionali, per l’annualità 2006, emesso ai sensi dell’art. 38, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del d.m. 10 settembre 1992 (c.d. accertamento sintetico con “redditometro”) – ha confermato la sentenza di primo grado, sfavorevole al contribuente;
2. il giudice d’appello, respinta l’eccezione d’illegittimità costituzionale delle norme sull’accertamento sintetico, ha riconosciuto la corretta ricostruzione dei redditi della contribuente attraverso il “redditometro” che, secondo la CTR, diversamente da quanto sostenuto dalla parte privata, non è stato applicato in modo acritico, ma è stato accompagnato da una verifica circostanziata e documentata della capacità reddituale dell’interessata, desunta da vari indicatori, quali: il possesso di automobili, gli incrementi patrimoniali, la disponibilità di una residenza secondaria, la capacità di spesa;
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso, la contribuente denuncia l’illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)” del c.d. “redditometro” per la disparità di trattamento dei contribuenti in quanto, all’epoca della verifica fiscale oggetto del giudizio (anno 2009), l’accertamento sintetico non era più uno strumento obbligatorio per gli uffici finanziari, come previsto in precedenza, ma era divenuto uno strumento facoltativo;
1.1. il motivo è infondato;
è il caso di ribadire il consolidato insegnamento della Corte Cost. (espresso già con la sent. n. 283 del 1987, richiamata nel ricorso per cassazione), in virtù del quale eventuali disparità di fatto (nella specie prospettate dalla ricorrente come effetto dell’applicazione facoltativa e non obbligatoria, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’accertamento sintetico) che possono insorgere in sede applicativa di norme di per sé non discriminatorie, sono irrilevanti ai fini del giudizio di costituzionalità dello strumento di verifica fiscale;
2. con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale per violazione della riserva di legge e del principio di capacità contributiva (artt. 23 e 53 Cost.)” dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973 che, per un verso, in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., demanda ad un decreto ministeriale l’imposizione di una prestazione patrimoniale, senza alcuna indicazione di principi e criteri direttivi e, per altro verso, disattendendo l’art. 53 Cost., rimette “la capacità contributiva […] a un apprezzamento del potere esecutivo”;
2.1. il motivo è infondato;
il Collegio intende dare continuità, in mancanza di ragioni ostative, all’indirizzo di questa Corte, per il quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma e seguenti, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., nella l. n. 122 del 2010, nella parte in cui consente l’accertamento con metodo sintetico mediante il c.d. “redditometro”, con riferimento sia all’art. 23 Cost., poiché i relativi decreti ministeriali non contengono norme per la determinazione del reddito, assolvendo soltanto ad una funzione accertatrice e probatoria, sia agli artt. 24 e 53 Cost., in quanto il contribuente può dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggiore reddito accertato è insussistente ovvero costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta (Cass. 24/04/2018, n. 10037);
3. con il terzo motivo, denunciando: “violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione al principio di progressività dell’imposta previsto dall’art. 53 secondo comma Cost.)”, la ricorrente censura l’omesso esame, da parte dei giudici di merito, dell’esplicita doglianza, formulata sia nel ricorso introduttivo che nell’atto d’appello, secondo cui l’Ufficio fiscale, facendo leva sugli indicatori di reddito dell’intero nucleo familiare della contribuente (composto anche dal figlio A.C. e dal marito C.C.), avrebbe illegittimamente attribuito il reddito presunto solo a quest’ultima, con ciò applicandole un’aliquota più elevata;
4. con il quarto motivo, denunciando “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 5 dello Statuto dei diritti del contribuente)”, la ricorrente censura la decisione della CTR che contra legem ha omesso di disapplicare il decreto ministeriale che individua gli indici di capacità contributiva, senza rendere note le “metodologie statistiche utilizzate” e, perciò, è illegittimo per contrasto con l’art. 5 cit., che sancisce il diritto all’informazione del contribuente;
soggiunge che l’Ufficio, in fase amministrativa, aveva dato un peso preponderante al possesso, da parte della contribuente, di una residenza secondaria, quale indicatore di un maggiore reddito di euro 76.000,00 e, ancora, che la CTR aveva affermato che, per quella residenza, la contribuente sosteneva una spesa, per il mutuo, pari a euro 18.000,00, senza che venisse descritto il criterio per il quale da una spesa di euro 18.000,00 l’Organo accertatore aveva desunto un reddito non dichiarato di euro 76.000,00;
4.1. il terzo e il quarto, da esaminare congiuntamente perché si prestano ad una medesima soluzione giuridica, sono inammissibili;
le doglianze in essi contenute non risultano essere state dedotte nei gradi di merito; al riguardo, è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787);
il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140);
5. con il quinto motivo, denunciando “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione all’art. 7 quarto comma d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, all’art. 2729 c.c., all’art. 38 quarto comma del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600)”, la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha riconosciuto che i coefficienti, di cui al d.m. del 1992, che quantificano il reddito hanno valore di presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, trascurando che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2729 cod. civ., 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992, “in materia tributaria non è consentita la prova tramite presunzioni”;
5.1. il motivo è infondato;
nel processo tributario, contrariamente a quanto prospetta la difesa della contribuente, il ricorso alle presunzioni è ammissibile tanto in materia di tributi erariali che di tributi dell’ente locale, essendo positivamente esclusi dall’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 solo il giuramento e la prova testimoniale; il divieto di ammissione di quest’ultima, infatti, non comporta la conseguente inammissibilità della prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729, comma 2, c.c. in quanto detta norma, stante la natura della materia ed i mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (Cass. 15/04/2016, n. 7509);
6. con il sesto motivo, denunciando: “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione all’art. 38 quarto comma del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600).”, la ricorrente censura che, anche ammettendo che in materia tributaria sia consentito il ricorso alle presunzioni, la CTR, pur affermando che i coefficienti ministeriali sono una “presunzione semplice”, di fatto ha attribuito loro “il valore di presunzione relativa, configurando una inversione dell’onere della prova.”;
assume, inoltre, che il giudice d’appello non ha esaminato l’argomento difensivo dell’interessata per il quale, atteso che gli indicatori posti a base dell’accertamento sintetico (possesso di automobili, incrementi patrimoniali e possesso di una residenza secondaria) attestavano un tenore di vita congruente con i redditi dichiarati dal nucleo familiare nel triennio verificato (euro 33.903 nel 2004, euro 22.275 nel 2005 e euro 18.490 nel 2006), conseguentemente l’Ufficio aveva attribuito alla contribuente un reddito maggiore facendo perno su un “irragionevole automatismo”;
6.1. il motivo è infondato;
preliminarmente è il caso di precisare che: «In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta» (Cass. 16/11/2018, n. 29635; in senso conforme: 19485/2017, 10973/2017, 7471/2013, 17535/2008);
ancora, questa Corte (Cass. 3/10/2014, n. 20902) ha avuto modo di affermare che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione finanziaria, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e, solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e seguenti, 2697, cod. civ.;
con specifico riferimento al tema del contendere, si è anche affermato (Cass. 19/10/2016, n. 21142) che: «Invero, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, oltre che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, anche che, più in generale, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. sez. 5, n. 20588 del 2005)»;
così composto il quadro giurisprudenziale di riferimento, nella presente controversia tributaria, la CTR ha fatto corretta applicazione dei canoni giuridici che presidiano la prova per presunzioni dell’accertamento sintetico; invece, è eccentrica rispetto al paradigma della vizio di violazione di legge in esame, l’omessa valutazione – ascritta dall’interessata al giudice d’appello – degli elementi di fatto che, secondo la tesi difensiva della contribuente, avrebbero concorso a dimostrare la congruenza tra i redditi dichiarati e il tenore di vita del suo nucleo familiare;
per di più, la pretesa architettura presuntiva, che la ricorrente asserisce di avere offerto “a discarico” nel giudizio di merito (cfr. pagg. 13 e seguenti del ricorso per cassazione), non ha superato il livello di una mera enunciazione verbale, priva di autosufficienti riscontri (protocollo Cassazione/CNF; Cass. sez. un. 22726/2011, in motivazione);
7. alla stregua di queste considerazioni, infondati il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo, inammissibili il terzo e il quarto motivo, il ricorso è rigettato;
8. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis del citato art. 13.
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