CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2019, n. 33557
Tributi – IVA – Associazioni sportive dilettantistiche – Agevolazioni – Corrispettivi per prestazioni pubblicitarie – Detrazione IVA forfetaria ax Legge n. 398/1991 – Requisiti – Onere di prova
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro la società A.S.D. B.R., impugnando la sentenza resa dalla CTR Sicilia indicata in epigrafe che ha riformato la pronuncia di primo grado, con la quale si confermava la legittimità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente per il recupero a tassazione ai fini IVA di ricavi relativi all’anno 2007, su cui era stata erroneamente applicata la detrazione IVA prevista dalla L. n. 398/1991 per le spese di pubblicità.
In accoglimento dell’appello, la CTR Sicilia argomentava che la contribuente aveva correttamente provato la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi necessari per l’applicazione del regime di detrazione forfettaria IVA sulle prestazioni pubblicitarie svolte in favore del soggetto erogante.
La parte intimata non si è costituita.
Col primo motivo l’Ufficio deduce la violazione dell’art. 90, commi 8 e 11 della l. n. 289/2002 e dell’art. 1, comma 128 della l. n. 266/2009. La CTR Sicilia, con la complessa censura, avrebbe innanzitutto omesso di motivare la decisione seguendo un proprio iter logico – argomentativo, essendosi al contrario limitata a riprodurre per intero alcuni estratti dell’atto di appello. Inoltre la CTR avrebbe erroneamente esteso, per un verso, all’associazione sportiva A.S.D. B.R. l’applicazione della presunzione assoluta riconosciuta dalla legge per i compensi dovuti come spese di pubblicità ai corrispettivi di cui la stessa risulta aver beneficiato. Per altro verso la CTR avrebbe fatto errato richiamo alle norme in materia di imposte sugli spettacoli, di esenzioni dalle imposte sulla pubblicità.
Col secondo motivo l’Ufficio lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 398/1991, dell’art. 74, comma 2 d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2697 c.c.. La CTR avrebbe fondato il proprio convincimento circa la natura pubblicitaria delle somme corrisposte alla contribuente, a fronte della prestazione da questi resa, in assenza di sufficienti elementi di fatto.
Col terzo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. Il giudice di seconde cure avrebbe omesso l’esame nel merito delle circostanze dedotte dall’Ufficio relative alle condizioni contrattuali e agli altri elementi di fatto che depongono per l’inquadramento delle erogazioni operate a favore della contribuente nelle spese di rappresentanza.
Atteso il suo carattere preliminare, questo ultimo motivo deve essere esaminato in via prioritaria e per l’effetto, deve essere rigettato perché manifestamente infondato.
Orbene, questa Corte è ferma nel ritenere che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito.
Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta.
Nel secondo caso, invece, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., Sez. VI, 5, n. 30684/2017; Cass., Sez. III, n. 7932/2012).
Si è poi aggiunto che “Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass., Sez. VI, 5, n. 28308/2017).
Orbene, nel caso di specie la CTR si è uniformata a detti superiori principi, essendosi pronunciata puntualmente su tutte le domande ed eccezioni proposte dalle parti.
Il primo complesso motivo è parimenti infondato.
Giova premettere che è principio consolidato di questa Corte quello per cui “La sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità, né dei contenuti né delle modalità espositive” (Cass., Sez. V, n. 22562/2016; Cass, S.U., n. 642/2015).
Orbene, nel caso di specie la CTR si è conformata ai superiori principi atteso che, per un verso, ha congruamente motivato nel merito la decisione, prendendo in esame la sentenza impugnata e fornendo risposta alle censure formulate negli atti di appello di entrambe le parti, sì da poter ritenere corretto e appagante il percorso argomentativo seguito.
Va poi aggiunto, con riguardo alla seconda parte della censura, che in tema di imposte sui redditizi sensi dell’art. 90, comma 8, della l. n. 289/2002, la presunzione legale assoluta per cui sono qualificati come spese di pubblicità i costi sostenuti dal soggetto erogante ai fini della promozione della sua immagine o dei suoi prodotti, impone che siano rispettate le seguenti condizioni: 1) il beneficiario della sponsorizzazione sia una società o associazione sportiva dilettantistica, come attestato dall’iscrizione nel apposito registro del CONI istituito nel 2005; 2) il soggetto beneficiario abbia effettivamente svolto una specifica attività promozionale 3) sia rispettato il limite quantitativo di spesa (cfr. Cass., Sez. VI, 5, n.7202/2017 e Cass., Sez. VI, 5, n. 14232/2017).
Ora, la CTR ha correttamente richiamato nella decisione le norme ed i principi vigenti in tema di detrazioni delle spese per rappresentanza, facendone corretta applicazione.
Il secondo motivo è invece fondato.
Invero, questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di imposte sui redditi di impresa costituiscono spese di sponsorizzazione quelle correlate ad iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre sono spese pubblicitarie o di propaganda quelle sostenute per la realizzazione di iniziative volte alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta, con la conseguenza che solo le prime, in quanto costituenti spese di rappresentanza, sono deducibili ai sensi e nei limiti previsti dall’art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986” (Cass., Sez. VI, 5, n.1922/2019; Cass., Sez. V, n. 25021/2018).
Si è aggiunto che “ai sensi dell’art. 108 (ex 74, secondo comma) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità va individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese” (Cass., Sez. V, n. 16812/2014).
Questa Corte ha poi aggiunto che “I costi di sponsorizzazione si traducono per lo sponsor in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato, sicché vanno considerati, ai fini fiscali, inerenti all’attività di impresa, senza che rilevi, in assenza di elementi di prova contraria, il cui onere incombe sull’Amministrazione finanziaria, che lo sponsor sia solo l’utilizzatore del marchio, in via esclusiva, sul territorio nazionale, identificandosi, in tale evenienza, nel soggetto che, dallo sfruttamento del segno distintivo altrui, trae un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciale” (Cass., Sez V, n. 27198/2014).
Orbene, nel caso di specie la CTR Sicilia ha disatteso i superiori principi laddove ha ritenuto raggiunta la prova della natura di spese di pubblicità relativamente alle erogazioni rese all’associazione sportiva dilettantistica B.R. sulla scorta della sola documentazione attestante l’iscrizione al CONI e l’ammontare degli importi ricevuti, senza aver peraltro indagato gli obiettivi effettivamente perseguiti dal soggetto sponsor mediante l’erogazione delle somme necessarie al compimento della prestazione e senza aver indicato altresì gli elementi di fatto idonei ad accertare il carattere pubblicitario delle spese.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va accolto, la sentenza va cassata con rinvio ad altra Sezione della CTR Sicilia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo e il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della CTR Sicilia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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