CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 dicembre 2019, n. 33624
Tributi – IRAP – Istituti bancari – Sospensione delle disposizioni di aumento delle aliquote – Rimborso maggiore imposta versata
Rilevato che
la Banca della M.C.C. Soc. Coop. (hinc anche: «la contribuente» o «la Banca») versò l’IRAP dovuta alla regione Veneto per il periodo d’imposta 2003 calcolandola applicando, cautelativamente, l’aliquota del 5,25 per cento, come maggiorata dall’art. 2, comma 1, della legge della regione Veneto 22 novembre 2002, n. 34;
successivamente la Banca, sulla premessa che gli effetti di tale maggiorazione erano stati sospesi dalle disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge finanziaria 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) e dall’art. 2, comma 21, della legge finanziaria 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350), chiese la restituzione della differenza, pari a € 217.752,00, tra l’imposta versata e quella dovuta facendo applicazione dell’aliquota ordinaria del 4,25 per cento; formatosi il rifiuto tacito della restituzione, la Banca lo impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Treviso, che accolse il ricorso della contribuente;
avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale del Veneto (hinc anche: «CTR»), deducendo l’applicabilità, in via principale, dell’aliquota del 5,25 per cento e, in via subordinata, dell’aliquota del 4,75 per cento; la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettò l’appello dell’Agenzia delle entrate, confermando l’applicabilità dell’aliquota del 4,25 per cento;
avverso tale sentenza della CTR – depositata il 18 aprile 2012 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 22-24 maggio 2013, a due motivi; la Banca della M.C.C. Soc. Coop. resiste con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge reg. Veneto n. 34 del 2002, dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 2, commi 21 e 22, della legge n. 350 del 2003, per non avere la CTR ritenuto applicabile, in contrasto con tali disposizioni, l’aliquota del 5,25 per cento, atteso che, in particolare, il comma 22 dell’art. 2 della legge n. 350 del 2003 aveva fatto salvi gli effetti della maggiorazione disposta dall’art. 2 della legge reg. Veneto n. 34 del 2002;
con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in via subordinata, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dell’art. 2 della legge reg. Veneto n. 34 del 2002, dell’art. 2 della legge della regione Veneto 24 novembre 2003, n. 38, dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 2 della legge n. 350 del 2003, per non avere la CTR ritenuto applicabile, in contrasto con tali disposizioni, neppure l’aliquota del 4,75 per cento, atteso che, in particolare, l’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 289 del 2002 limitava la sospensione degli effetti degli aumenti delle aliquote dell’IRAP deliberati dalle regioni — e, quindi, anche degli effetti dell’aumento disposto dall’art. 2 della legge reg. Veneto n. 34 del 2002 — a quegli aumenti che non fossero «confermativi» dell’aliquota del 4,75 per cento in vigore per l’anno d’imposta 2002;
preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 360-bis, primo comma, n. 1), cod. proc. civ., sollevata dalla controricorrente;
l’eccezione è parzialmente fondata con riguardo al primo motivo di ricorso mentre deve essere rigettata con riguardo al secondo motivo di ricorso (nel senso che «le ragioni d’inammissibilità contemplate dall’art. 360-bis possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non debbono perciò necessariamente comportare l’inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo consti di più motivi», Cass., Sez. U., 21/03/2017, n. 7155);
il primo motivo è inammissibile in quanto, da un lato, la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto con esso prospettata in modo conforme all’orientamento di questa Corte — già esistente al momento della proposizione del ricorso per cassazione (ex plurimis, Cass., 13/04/2012, n. 5867, 11/05/2012, n. 7344, 14/11/2012, n. 19838) e più volte ribadito anche successivamente (ex plurimis, Cass., 15/12/2014, n. 26263, 23/02/2015, n. 3574) — secondo cui, poiché «gli effetti delle disposizioni incrementative dell’aliquota Irap dettate dalle leggi regionali del Veneto nn. 34/02 e 38/03 non sono fatti salvi dal disposto dell’art. 2, comma 22, della legge n. 350/03» (così, in particolare, Cass., n. 26263 del 2014 e n. 3574 del 2015), l’aliquota del 5,25 per cento maggiorata dall’art. 2 della legge reg. Veneto n. 34 del 2002 non può trovare applicazione; dall’altro lato, la ricorrente non ha fornito argomenti che possano indurre a mutare tale orientamento;
il secondo, subordinato, motivo di ricorso non incorre, invece, nell’inammissibilità di cui all’art. 360-bis, primo comma, n. 1), cod. proc. civ., atteso che, contrariamente a quanto mostra di ritenere la controricorrente – e come di seguito compiutamente si argomenterà – la decisione della sentenza impugnata sulla questione di diritto con esso prospettata non è, in realtà, conforme al più recente e ormai consolidato orientamento di questa Corte, cosicché difetta il presupposto stesso per la configurabilità della predetta ragione di inammissibilità;
tale secondo motivo – che deve, perciò, essere esaminato nel merito – è fondato;
il comma 3 dell’art. 16 del d.lgs. n. 446 del 1997, nel testo applicabile ratione temporis (come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. I, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 506), prevedeva la facoltà delle regioni di variare fino a un massimo di un punto percentuale l’aliquota ordinaria dell’IRAP del 4,25 per cento di cui al comma 1 dello stesso art. 16, eventualmente differenziando la variazione per settori di attività e per categorie di soggetti passivi;
avvalendosi di tale facoltà, la regione Veneto, con l’art. 2 della legge regionale n. 34 del 2002, aumentò di un punto percentuale – e, quindi, al 5,25 per cento – l’aliquota a carico dei soggetti di cui agli artt. 6 (banche e altri enti e società finanziari) e 7 (imprese di assicurazione) del d.lgs. n. 546 del 1997 per l’anno d’imposta 2003 (la stessa variazione fu poi disposta, per l’anno d’imposta 2004, dall’art. 2 della legge reg. Veneto n. 38 del 2003);
l’art. 3, comma 1, lett. a), della legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002) stabilì tuttavia che, «(in funzione dell’attuazione del titolo V della parte seconda della Costituzione e in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale», gli aumenti delle addizionali all’IRPEF), per i comuni e le regioni e la maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP di cui all’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1997 «deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sono sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale»; tale sospensione fu poi confermata fino al 31 dicembre 2004 dal comma 21 dell’art. 2 della legge finanziaria 2004 (legge n. 350 del 2003), a norma del quale «[f]ino al 31 dicembre 2004 restano sospesi gli effetti degli aumenti delle addizionali e delle maggiorazioni di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 3 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, eventualmente deliberati; gli effetti decorrono, in ogni caso, a decorrere dal periodo d’imposta successivo alla predetta data»;
la decisione della questione di diritto posta dal motivo in esame passa per l’interpretazione della disposizione dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 289 del 2002, là dove prevede la sospensione – e, quindi, l’inapplicabilità – degli incrementi dell’aliquota ordinaria dell’IRAP stabiliti dalle regioni per l’anno d’imposta 2003 (per quanto qui interessa), salvo che gli stessi «siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002»;
in particolare, si tratta di stabilire se, ai sensi di tale locuzione normativa, l’incremento dell’aliquota dell’IRAP stabilito dalla regione Veneto a carico dei soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 546 del 1997 per l’anno d’imposta 2003 sia totalmente inapplicabile, cosicché si debba fare applicazione dell’aliquota ordinaria del 4,25 per cento di cui al comma 1 dell’art. 16 del d.lgs. n. 446 del 1997, oppure sia applicabile fino a concorrenza della percentuale vigente per l’anno d’imposta 2002, come determinata per tale anno da una norma regionale emanata nell’esercizio della facoltà di variazione conferita alle regioni dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 o, in difetto di una tale normativa regionale, come risultante dalla disposizione transitoria dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (che stabiliva tale percentuale nella misura del 4,75 per cento); quest’ultima tesi, sostenuta dall’Agenzia delle entrate con il motivo in esame, trova riscontro nella più recente giurisprudenza di questa Corte – inaugurata da Cass., n. 19838 del 2012 e successivamente ribadita da Cass., 18/09/2013, n. 21327, 25/07/2014, n. 17017, n. 26263 del 2014 e n. 3574 del 2015, 14/09/2016, n. 18003 – che questo Collegio, condividendola, ritiene di confermare; queste pronunce hanno persuasivamente argomentato che l’attribuzione alle regioni della facoltà di variare l’aliquota dell’IRAP fino a un punto percentuale deve essere intesa nell’ottica del legislatore statale di perseguire gli obiettivi di autonomia e di decentramento fiscale (cosiddetto federalismo fiscale) delle stesse regioni;
in tale prospettiva deve essere coerentemente interpretato anche l’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 289 del 2002, il quale, nel sospendere gli effetti delle maggiorazioni dell’aliquota dell’IRAP deliberati dalle regioni successivamente al 29 settembre 2002 «che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002», ha voluto comunque limitare l’effetto sospensivo a quelle maggiorazioni che determinassero, e nella misura in cui determinassero, il superamento dell’aliquota in vigore per l’anno 2002 e, in quanto tali, fossero non confermative di tale aliquota;
la nozione di “confermatività”, del resto, non può che riferirsi alla percentuale effettivamente vigente nel 2002, derivi essa da una previa determinazione regionale (adottata nell’esercizio della facoltà riconosciuta alle regioni dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997) o, in difetto di una tale determinazione regionale, direttamente dalla disposizione transitoria statale dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997;
la sospensione disposta dall’art. 3, comma 1, lett. a) della legge n. 289 del 2002 e confermata dall’art. 2, comma 21, della legge n. 350 del 2003 aveva dunque a oggetto la maggiorazione dell’aliquota deliberata dalle regioni, ma incideva su quella sola parte di essa che, decisa per il periodo d’imposta 2003, eccedesse la percentuale in concreto già in vigore per il periodo d’imposta 2002;
tale sospensione non incideva quindi sulla parte della maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP deliberata dalla regione Veneto che non eccedeva l’aliquota del 4,75 per cento in vigore nel periodo d’imposta 2002 per i soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997 ai sensi dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997;
pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a tale motivo; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente per la sola parte di esso relativa al rifiuto della restituzione dell’IRAP versata in eccedenza rispetto a quella dovuta in applicazione dell’aliquota del 4,75 per cento;
in considerazione della soccombenza reciproca, sia le spese del giudizio di legittimità sia le spese dei giudizi di merito devono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione a quest’ultimo motivo e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente per la sola parte di esso relativa al rifiuto della restituzione dell’IRAP versata in eccedenza rispetto a quella dovuta in applicazione dell’aliquota del 4,75 per cento; compensa tra le parti le spese dei giudizi di legittimità e di merito.
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