CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2019, n. 4691
Lavoro – Contratto di prestazione d’opera – Determinazione del compenso – Conseguimento di un migliore risultato di gestione
Premesso
che con sentenza n. 14/2014, pubblicata il 7 febbraio 2014r la Corte di appello di Brescia, pronunciando sull’interpretazione della clausola, relativa al compenso, di cui all’art. 2 del contratto di prestazione d’opera, con durata biennale, stipulato il 17/1/2003 da O. A. e da E. S.r.l. (appartenente al 100%, come la successiva incorporante T. R. S.p.A., al Gruppo G. C.) con l’obiettivo della riorganizzazione e del potenziamento della struttura produttiva e commerciale della società, ha ritenuto – in riforma della sentenza parziale del Tribunale della medesima sede – che tale clausola dovesse essere intesa nel senso che tra le variazioni delle “condizioni commerciali” dei prodotti realizzati per le società del Gruppo, delle quali non si sarebbe tenuto conto ai fini del calcolo del parametro (valore dell’EBITDA) indicato dalle parti per la determinazione tanto dell’avvenuto conseguimento di un migliore risultato di gestione come delle somme spettanti al collaboratore, non rientrasse la variazione dei volumi di fatturato e cioè delle quantità ordinate dal Gruppo, committente principale (se non pressoché esclusivo) della società, salve (come peraltro pacifico fra le parti) le contrazioni degli ordini dipendenti da mera volontà o arbitrio;
– che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’A. con quattro motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito la T. R. S.p.A. con controricorso;
Rilevato
che con il primo e con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione rispettivamente dell’art. 1362 e dell’art. 1363 cod. civ. per avere la sentenza impugnata ritenuto di non escludere le variazioni dei volumi di vendita dei prodotti realizzati per il Gruppo dal calcolo dell’EBITDA e, quindi, dalla determinazione del compenso dovuto al collaboratore, erroneamente individuando la comune volontà delle parti e senza compiere un’interpretazione sistematica delle clausole contrattuali;
– che con il terzo e con il quarto viene dedotto dal ricorrente il vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. per avere la sentenza errato rispettivamente nell’applicazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1367 e di cui all’art. 1371 cod. civ.;
Osservato
che i primi due motivi non possono trovare accoglimento, posto che con essi il ricorrente si limita a contrapporre a quella del giudice di merito la propria difforme interpretazione, a fronte di sentenza che, con ampia motivazione, ha ricostruito la comune volontà dei contraenti, non solo valutando la portata della nozione di “condizioni commerciali”, cui è fatto riferimento nella clausola, e la sua coerenza con i fini e gli interessi dalle medesime perseguiti ma altresì compiendo una lettura coordinata delle varie parti e proposizioni in cui si articola l’accordo (cfr. pp. 8-16);
– che, come ancora di recente precisato da questa Corte, “l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” (Cass. n. 11254/2018);
– che devono egualmente disattendersi il terzo e il quarto motivo, avendo la sentenza fondato l’esito della propria disamina del contratto, per ciò che attiene all’essenziale tema della inclusione/esclusione della variazione dei volumi di fatturato, sulla premessa di una “interpretazione sistematica della clausola, anche alla luce della volontà delle parti e del contenuto del rapporto tra loro intercorso” (così, in sintesi, a p. 11 della sentenza), di seguito compiendo un diffuso percorso analitico delle varie questioni in esso implicate, ma non avendo affermato, né in relazione a tali questioni né ad altre, che la clausola fosse infine risultata di tenore tale da non comportare alcun effetto o che fosse rimasta oscura, così che non può configurarsi un’erronea o falsa applicazione delle norme di interpretazione denunciate;
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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