CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2019, n. 4704
Tributi – Accertamento induttivo – Società a ristretta base societaria – Presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili – Versamento di somme riscosse dalla società in un conto finanziamento soci
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 8629/16, sez 31, rigettava il ricorso proposto da O.M. avverso l’avviso di accertamento TF501AP05654/2014 relativo ad Irpef anno 2009 per l’importo di euro 101.331,00, pari al 49,72% del maggior reddito introitato dalla O.E.G. Srl.
Avverso detta decisione il contribuente proponeva appello innanzi alla CTR Campania che, con sentenza 6513/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’O. sulla base di due motivi illustrati con memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis cpc
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente contesta l’applicazione al caso di specie della presunzione di distribuzione ai soci di una società dei maggiori ricavi in un periodo d’imposta diverso da quello in cui gli utili non contabilizzati si sarebbero realizzati.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha accertato che, sulla base delle stesse dichiarazioni del ricorrente, risultava che le somme riscosse dalla società erano state versate dal socio amministratore in un conto finanziamento soci e non già a riserva in un conto riserva di utili. Da ciò ha dedotto che le somme erano entrate direttamente nel patrimonio dei soci.
Ha altresì accertato che le stesse, benché inerenti ad attività svolte nel 2008, erano state incassate nel 2009, ad eccezione di quelle riscosse dalle società G.I. spa e C.E. spa come dichiarato dallo stesso ricorrente.
Trattasi di un accertamento argomentato in modo sintetico ma comunque logico in relazione alle prove dedotte in giudizio che, come tale, non è sindacabile in questa fase di legittimità. (Cass Sez. 5, n. 25332/2014).
Questa Corte ha già chiarito che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità. (Cass 29404/17).
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, infatti non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. (Cass. 1892/16).
Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 47 TUIR e 2697 c.c. contestandosi l’erronea applicazione al caso di specie della presunzione di distribuzione degli utili.
Il motivo è manifestamente infondato.
Sulla questione si è già pronunciata questa Corte che ha affermato che, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale. (Cass 15824/16; Cass. 25271/14).
Il ricorso va in conclusione respinto con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore della controricorrente, in euro 5000,00, oltre spese prenotate a debito e il doppio contributo.
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