CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2020, n. 4155
Tributi – IVA – Omessi versamenti dell’imposta mensile – Irrogazione sanzioni – Riduzione in materia di cumulo giuridico – Esclusione
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione delle sanzioni applicate con le cartelle di pagamento emesse a seguito di accertato omesso versamento dell’IVA mensile da parte della società contribuente per gli anni d’imposta 1995 e 1996, la CTR pronunciando nel giudizio di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 703 del 2017 (che ha escluso la condonabilità dell’IVA ex art. 12 della legge n. 289 del 2002), ha accolto l’appello agenziale sull’unica questione che era residuata all’esito del giudizio di legittimità, ovvero sull’entità delle sanzioni amministrative pecuniarie applicabili, escludendo «qualsiasi ipotesi di riduzione, ivi compresa l’applicazione estensiva di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 472/97», dettato in materia di cumulo giuridico.
2. Avverso tale statuizione la società contribuente ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché vizio motivazionale sia assoluto, sub specie di motivazione apparente, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sia per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
Il motivo è inammissibile ed infondato.
Sotto il primo profilo osserva il Collegio che nell’ambito dell’esposizione del motivo la ricorrente sostiene le doglianze formulate con argomenti unitariamente esposti. Orbene, come già statuito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 18021 del 14/09/2016; Cass. n. 21611 del 20/09/2013) sono inammissibili i motivi di ricorso per cassazione con cui si prospettano una pluralità di censure relative ad una medesima questione, ma addirittura prospettano una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate; le formulazioni della specie costituiscono, da un lato, una negazione della regola di chiarezza (già posta dall’art. 366 bis cod. proc. civ. abrogato, ma desumibile dall’obiettivo del sistema di attribuire rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito);
dall’altro, ammetterne l’ammissibilità significherebbe affidare alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure.
Inoltre, il motivo là dove prospetta un vizio motivazionale ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile per mancata deduzione del fatto storico la cui valutazione i giudici di appello avrebbero pretermesso. Al riguardo va, peraltro, rilevato che, nell’esposizione del mezzo in esame (pag. 6 del ricorso) la ricorrente fa riferimento ad una «omessa e/o insufficiente motivazione» la cui deduzione come vizio motivazionale, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non è più consentita.
Sotto il secondo profilo deve osservarsi che il dedotto difetto assoluto di motivazione è palesemente infondato avendo la CTR espresso una chiara ratio deciderteli spiegando, a torto o a ragione, i motivi per i quali ha ritenuto l’inapplicabilità al caso di specie (omessi versamenti mensili IVA) del cumulo giuridico di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997. E’ infondata anche la dedotta violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997 alla stregua del consolidato principio giurisprudenziale, cui si è correttamente attenuta la CTR, secondo cui «Le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dall’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, perché questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale l’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento>> (così, da ultimo, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8148 del 22/03/2019, Rv. 653340).
in estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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