CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2022, n. 5416
Pensione di inabilità civile – Corresponsione – Indennità di accompagnamento – Sussistenza del requisito sanitario – Prova
Rilevato in fatto che
1. Con ordinanza del 16 aprile 2019 – 2 agosto 2019 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da V. N. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva respinto l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta dalla stessa Valeria N. tesa ad ottenere la condanna dell’INPS alla corresponsione della pensione di inabilità civile e della indennità di accompagnamento;
2. a fondamento della decisione i giudici di legittimità hanno rilevato la genericità del motivo, posto che pur avendo lamentato la violazione degli artt. 74 ed 87 dìsp. att. c.p.c. (in quanto la sentenza impugnata, respinto il capo relativo all’indennità di accompagnamento per difetto del requisito sanitario, non aveva ritenuto provato il requisito reddituale perché non provato documentalmente), la parte non aveva trascritto il contenuto degli atti che aveva assunto di aver depositato nell’apposito box predisposto dall’ufficio per il deposito degli atti, né il contenuto del verbale d’udienza del 4 novembre 2014 con il quale era stato concesso termine, non adempiuto, per provvedere al deposito della documentazione rilevante;
la Corte di cassazione ha, quindi, condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite;
3. V. N. ha proposto ricorso per la revocazione e o per la correzione di errore materiale, dell’ordinanza predetta denunziando la sussistenza dei presupposti previsti dal combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, per non avere la Suprema Corte applicato la causa di esonero prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nonostante che, già con il ricorso iniziale, erano stati prodotti i documenti attestanti la sussistenza del requisito reddituale per l’esonero tanto delle spese di causa che del contributo unificato e che, nell’ultima pagina del ricorso per cassazione, era stato ribadito che il reddito conseguito dal nucleo familiare era stato inferiore sia a quello previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c., sia a quello previsto ai fini del versamento del contributo unificato;
ha opposto difese con controricorso l’INPS;
Considerato in diritto che
4. osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e segg. c.p.c.,
5. si ha errore di fatto, risultante dagli atti o documenti della causa, ex art. 395 c.p.c., n. 4, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;
6. l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicchè i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di errore di fatto denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Cass. 6.12.2018 n. 31563);
7. l’errore revocatorio non può, quindi, riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (ex plurimis cfr. Cass. n. 27094/2011; Cass. n. 5075/2008);
8. ciò premesso in tema di ammissibilità della censura, ritiene il Collegio che il motivo sia fondato perchè l’ordinanza impugnata per revocazione, quanto al regolamento delle spese di lite, è evidentemente fondata su un presupposto di fatto erroneo, ossia sull’avere ritenuto non operanti le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., per l’esonero del pagamento delle spese processuali, non essendo stata riscontrata l’indicazione della ricorrente, contenuta a partire dal tredicesimo rigo dell’ultima pagina del ricorso per cassazione, secondo cui, fin dall’atto introduttivo del giudizio, era stata depositata l’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma ed il relativo atto notorio;
13. si tratta di un mero errore di percezione su una circostanza di fatto che emergeva con evidenza atteso che la ricorrente, in tutti gli atti del primo grado e del ricorso per cassazione, e nelle richiamate ed allegate attestazioni (sufficientemente ed adeguatamente indicate anche nella loro collocazione processuale), dichiarava un reddito, conseguito da sè e dal proprio nucleo familiare, inferiore alla soglia limite per ottenere l’esenzione dal pagamento ex art. 152 disp. att. c.p.c.,
14. non vi è dubbio che l’errore sia stato decisivo in relazione al regolamento delle spese di lite e che il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;
15. l’ordinanza impugnata, dunque, deve essere revocata, previo accoglimento del motivo, quanto al regolamento delle spese di lite che, in sede rescissoria, devono essere dichiarate non dovute ex art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile;
16. le spese del giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico dell’INPS, giacchè l’Istituto ha resistito all’accoglimento del ricorso, del quale ha eccepito la totale inammissibilità.
P.Q.M.
accoglie il motivo, revoca la ordinanza n. 20828/2019 della Corte di Cassazione, in ordine alle statuizioni sulle spese e decidendo in sede rescissoria sul ricorso n. 18883/2016, limitatamente a tale capo, dichiara che nulla è dovuto da N. V. per spese processuali. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese processuali di questo giudizio che si liquidano in Euro 1.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avvocata E.F.M. dichiaratasi antistataria.