CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2022, n. 5419
Insinuazione al passivo fallimentare – Credito da TFR – Rilevanza ed efficacia degli accordi sindacali – Mancata allegazione in giudizio
Fatti di causa
1. I. F. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., contro il decreto del Tribunale di Venezia dell’1 ottobre 2020, n. 8281, reiettivo dell’opposizione da lui promossa, ai sensi degli artt. 98-99 l.fall., avverso la mancata ammissione al passivo del fallimento S.D.G. s.r.l. in liquidazione (d’ora in avanti, breviter, Fallimento), in via privilegiata ex art. 2751-bis, n. 1, cod. civ., del proprio preteso credito di € 9.139,70, a titolo di trattamento di fine rapporto in relazione ad un periodo lavorativo ricompreso tra il gennaio 2001 ed il dicembre 2006. Resiste, con controricorso, il Fallimento che pure deposita memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ..
1.1. Quel tribunale ha ritenuto che l’opponente «…non ha provato di avere svolto, nel periodo indicato, attività lavorativa alle dipendenze della società fallita. L’assunto è contraddetto proprio dalla documentazione prodotta dall’opponente: dalla domanda di insinuazione al passivo del Fallimento di S.I. s.r.l., prodotta quale doc. 4 in allegato al ricorso in opposizione, risulta che F.I. ha prestato attività di lavoro dal febbraio 2001 al febbraio 2011 presso S.I. s.r.l. e non, invece, presso S.D.G. s.r.l.. Inoltre, nell’accordo sindacale del 16 febbraio 2011 (prodotto dall’opponente sempre all’interno del doc. 4, relativo all’affitto del ramo d’azienda di S.I. da parte di S.D.G.) si legge che “il trattamento di fine rapporto, le ferie ed i permessi retribuiti previsti dal C.C.N.L. applicato, maturati e residui alla data del trasferimento del ramo d’azienda … non passano in carico a S.D.G. S.r.l. nemmeno in considerazione del prospettato acquisto del ramo d’azienda.”. I dipendenti sottoscriventi l’accordo hanno altresì rinunciato a “far valere la solidarietà nei confronti della subentrante S.D.G. anche per il pagamento del t.f.r. maturato. In definitiva, in difetto di idonea prova in ordine ai fatti costitutivi della domanda proposta, l’opposizione va respinta».
Ragioni della decisione
1. I formulati tre motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:
I) «Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – Nullità del provvedimento impugnato per errata valutazione della prova ex art. 116 c.p.c., consistente nell’accordo di conciliazione sindacale, ex art. 410 c.p.c., datato 17.04.2011». Si ascrive al tribunale di non aver «valutato correttamente la rilevanza e l’efficacia degli accordi sindacali intercorsi e succedutisi nel tempo tra i lavoratori e la fallita»: in particolare, quello intercorso il 17 aprile 2011, tra l’istante, la S.D.G. in bonis ed il fallimento della S.I. s.r.l., comprovante, a suo dire, «la sussistenza del rapporto di lavoro tra la S.D.G. s.r.l. ed il sig. I.F.» e recante «un riconoscimento di debito, per la somma di € 9.152,56, della predetta società» nei confronti di quest’ultimo;
II) «Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame ovvero errato esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nel contenuto dell’accordo sindacale datato 17.04.2011 in rapporto all’accordo sindacale datato 16.01.2011 – nullità della sentenza per motivazione insufficiente». Si lamenta, sostanzialmente, un’asserita, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato, per non avere il tribunale motivato ovvero preso in considerazione il suddetto accordo sindacale sottoscritto il 17 aprile 2011, il quale comprovava proprio la sussistenza del rapporto lavorativo ed il riconoscimento del credito di cui il ricorrente chiede l’insinuazione fallimentare. Da ciò la denunciata omessa valutazione di un fatto decisivo dedotto dalla parte in giudizio, perché la «valutazione del succitato documento […] e quello di cui al […] precedente e derogato accordo del 16.02.2011, avrebbe delineato nel Giudice di primo grado la corretta successione delle dinamiche, pur complicate, intercorse tra il lavoratore I.F., la S.I. s.r.l., la S.D.G. s.r.l. e la D. T. s.r.l.»;
III) «Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c. per omesso esame ovvero errato esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’ordinanza di esecutività dello stato passivo con i relativi allegati, per contraddittorietà della motivazione attesa l’ammissione al passivo fallimentare di altri lavoratori della S.I. s.r.l. trasferiti alla S.D.G. S.r.l. – Nullità della sentenza per motivazione contraddittoria». Ci si duole della disparità di trattamento derivante dal fatto che il giudice delegato del Fallimento aveva adottato, con riferimento ad altri due lavoratori, provvedimenti diametralmente opposti.
2. Tali censure, scrutinabili congiuntamente perché connesse, si rivelano complessivamente inammissibili.
2.1. Invero, giova ricordare, innanzitutto, che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (come invece prospettato dal F. con il suo primo motivo), bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 3572 del 2021; Cass. n. 23940 del 2017), qui applicabile ratione temporis risultando impugnato un decreto decisorio pubblicato l’1 ottobre 2020.
2.1.1. Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 16016 del 2021; Cass. SU, n. 20867 del 2020; Cass. n. 18092 del 2020; Cass., SU, n. 34474 del 2019, con richiami pure a Cass. n. 13960 del 2014, ovvero a Cass. n. 26965 del 2007), la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014.
2.1.2. Costituisce, poi, indirizzo interpretativo parimenti consolidato quello per cui il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di “fondamento”, dovendosi, altresì, indicare puntualmente le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (cfr. Cass. n. 16812 del 2018; Cass. n. 19150 del 2016; Cass. n. 25756 del 2014; Cass. n. 4980 del 2014; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 11457 del 2007).
2.1.3. Infine, va ricordato pure che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente pur riproducendone il contenuto, non fornisca puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021).
2.2. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, ne deriva che il primo motivo deve considerarsi inammissibile perché il F., benché abbia riprodotto, per quanto di suo interesse, il contenuto dell’invocato accordo sindacale del 17 aprile 2011, non ha puntualmente indicato, nel ricorso introduttivo di questo giudizio di legittimità, in quale momento del giudizio di opposizione lo stesso sia stato effettivamente prodotto: se, cioè, come dovuto, contestualmente al deposito del ricorso ex artt. 98-99 l.fall., oppure, affatto inammissibilmente, in un momento successivo, come, specificamente eccepito dal Fallimento controricorrente. Neppure è stato indicato se, nel menzionato ricorso ex art. 98-99 l.fall., almeno sia stato indicato puntualmente di avvalersi di quel documento ove già prodotto in sede di verifica (cfr. Cass. n. 25663 del 2020). Nella successiva memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., lo stesso F. ha confermato, invece, l’avvenuta produzione di quel documento solo (e, quindi, tardivamente), con la memoria autorizzata dal Tribunale.
2.2.1. Posto, allora, che il decreto impugnato effettivamente non contiene alcuna menzione di tale accordo, la predetta puntualizzazione, assume valore decisivo posto che nessun obbligo poteva gravare sul giudice di merito di valutare documentazione prodotta tardivamente, e, come tale, da considerarsi inammissibile (conseguentemente, nessuna censura di omessa valutazione della stessa è configurabile).
2.3. Conclusione, quest’ultima, che conduce alla inammissibilità anche del secondo motivo, dovendosi solo aggiungere, così giustificandosi anche analoga sorte in relazione al terzo, che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel novellato testo in precedenza richiamato, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, pure nelle loro motivazioni, Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
3. In definitiva, l’odierno ricorso deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., S.U., n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del F., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre «spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento».
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso di I. F. e lo condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte controricorrente, che si quantificano in € 200,00 per esborsi ed in € 2.500,00 per compenso di avvocato, oltre alle spese forfetarie pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.