CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2022, n. 5501
Tributi – Avviso di accertamento – Evasione d’imposta – Mancato raggiungimento della soglia di rilevanza penale – Raddoppio dei termini di accertamento – Esclusione – Necessità di astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro la Costruzioni A.D. s.r.l. (di seguito A.D. s.r.l.) per la cassazione della sentenza n. 65/24/13 della Commissione tributaria regionale del Veneto, pronunciata in data 25 settembre 2013, depositata in data 9 ottobre 2013 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiore Ires, relativa all’anno di imposta 2004;
con la sentenza impugnata, la C.t.r. rilevava che nel caso di specie non ricorresse l’obbligo di denunzia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000;
in particolare, secondo il giudice di appello, non vi erano gli elementi oggettivi integranti il reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifizi, cioè un’imposta evasa superiore ad euro 77.468,53, una falsa rappresentazione contabile nelle scritture obbligatorie, l’uso di mezzi fraudolenti per ostacolare l’accertamento, l’indicazione nella dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo e di elementi passivi fittizi;
a seguito del ricorso, la società resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 gennaio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis-1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
la contribuente ha depositato memoria;
Considerato che
con l’unico motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione degli artt. 43, comma 3, del d.P.R.29 settembre 1973 n. 600 e 57, comma 3, del d.P.R.26 ottobre 1972 n.633, nella versione vigente ratione temporis, dell’art. 331 cod. proc. pen., dell’art. 37 bis del d.P.R.29 settembre 1973 n. 600 e dell’art. 3 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod.proc.civ.;
nella specie, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere negato che operasse il termine raddoppiato dell’attività accertatrice, a causa della mancanza di elementi da cui desumere il fumus dell’obbligo di denuncia penale ex art. 331, cod. proc. pen., sull’erroneo presupposto che non ricorressero gli elementi oggettivi del reato di “dichiarazione fraudolenta” e che non fosse superata, per l’annualità in contestazione, la soglia di punibilità, il cui raggiungimento faceva appunto scattare l’obbligo della denuncia penale;
secondo l’Agenzia delle entrate, il giudice di appello avrebbe dovuto limitarsi a constatare la presenza di seri indizi di reato ed avrebbe dovuto valutare il superamento della soglia di punibilità con riferimento a tutte le annualità di imposta verificate ed oggetto di separati avvisi di accertamento;
il motivo è infondato;
il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e alla l. 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen.;
l’art.43, terzo comma, vigente ratione temporis (eguale disposizione è contenuta per l’Iva nell’art.57 d.P.R. n. 633/1972), a sua volta prevede:<<In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione>>;
la dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto;
come più volte chiarito da questa S.C., anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass., Sez. VI, 28/06/2019, n. 17586, Cass., Sez. V, 13/09/2018, n. 22337; Cass., Sez. VI, 30/05/2016, n. 11171);
si è anche detto che <<in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie “ab origine” diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento>> (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23628 del 09/10/2017);
quando viene contestato il raddoppio dei termini, rientra nei compiti del giudice tributario l’accertamento dell’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che faccia sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., quindi anche del raggiungimento della soglia di rilevanza penale di cui all’artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11171 del 30/05/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13483 del 30/06/2016); nella specie la C.t.r. ha dato atto che per l’annualità in contestazione non era applicabile il comma 3 dell’art.43 d.P.R. n.600/1973 sul raddoppio dei termini, anche perché l’imposta asseritamente evasa non raggiungeva la cd. soglia di punibilità;
in particolare, la ricorrente riconosce che, come rilevato dalla C.t.r., per l’anno di imposta 2004 l’imposta evasa era al di sotto della soglia penalmente rilevante, ma sostiene che essa vada calcolata sommando l’importo delle imposte evase con riferimento alle diverse annualità, evidentemente oggetto di distinti avvisi di accertamento;
tuttavia, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n.74/2000, vigente ratione temporis, << 1. Fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire centocinquanta milioni; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire tre miliardi>>;
pertanto, i requisiti di cui alle lettere a) e b) della norma citata devono sussistere con riferimento alle indicazioni contenute in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte;
conformemente al disposto normativo il superamento delle soglie di punibilità dev’essere riferito ad ogni imposta considerata singolarmente e ad ogni singolo anno d’imposta; tale conclusione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte in sede penale, richiamata nella memoria di parte controricorrente, secondo cui le soglie di punibilità hanno natura di elementi costitutivi del reato;
in tal senso deporrebbero, invero, non solo il chiaro tenore della relazione Governativa di accompagnamento al d.lgs. n. 74 del 2000 (che espressamente qualifica in tal senso le due soglie), ma anche l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, che con la sentenza 28 marzo – 12 settembre 2013 n. 37424 in motivazione hanno qualificato le soglie di punibilità come elementi costitutivi del reato (vedi Cass. pen. sez. III 18 ottobre 2013, n. 42868);
nel caso di specie, la stessa ricorrente ammette che la contestazione dell’imposta evasa per l’anno di imposta 2004 era al di sotto della soglia penalmente rilevante e, dunque, il ricorso va rigettato;
di conseguenza, non è necessario esaminare il ricorso incidentale condizionato, relativo all’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate, che, secondo la contribuente, non avrebbe impugnato tutte le rationes decidendi poste a fondamento della decisione di appello;
la ricorrente incidentale, invero, è risultata totalmente vittoriosa all’esito del secondo grado di giudizio e non ha alcun interesse ad una pronuncia di inammissibilità dell’appello, una volta che sia stato rigettato dalla Corte il ricorso principale;
in conclusione, il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale rimane assorbito;
la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente;
rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, 200,00 euro per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
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