CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2018, n. 16098
Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Notificazione tramite posta
Ragioni della decisione
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 7366/17/2016, depositata il 27 luglio 2016, la CTR della Campania accolse parzialmente l’appello proposto dal sig. C.C. nei confronti di Equitalia Sud S.p.A. avverso la sentenza della CTP di Caserta, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal contribuente avverso tre cartelle di pagamento per tributi vari, delle quali il medesimo aveva dichiarato di essere venuto a conoscenza per mezzo di estratto di ruolo rilasciatogli dall’agente della riscossione, assumendo di non avere ricevuto notifica delle cartelle e dei ruoli ad esse sottesi.
La CTR ritenne che l’agente della riscossione avesse provato la notifica, mediante deposito del relativo avviso di ricevimento della raccomandata inviata per la relativa notifica, di una soltanto delle cartelle e che per il resto dovesse riconoscersi l’autonoma impugnabilità dei ruoli e delle cartelle, delle quali il contribuente era venuto a conoscenza tramite estratto di ruolo.
Avverso la pronuncia della CTR Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., incorporante Equitalia Sud S.p.A., ha proposto ricorso per cassazione, affidato e tre motivi.
L’intimato non ha svolto difese.
In prosieguo, subentrata Agenzia delle Entrate — Riscossione a titolo universale nei rapporti di Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., la prima, nel costituirsi in prosieguo, ha insistito per l’accoglimento del ricorso proposto dalla propria dante causa.
Va in ordine logico esaminato prioritariamente il secondo motivo, col quale la ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., ritenendo che motivazione della sentenza impugnata sia meramente apparente.
Il motivo è manifestamente infondato, essendo la sentenza impugnata perfettamente idonea a consentire il controllo sulla ratio decidendi e dunque rispondendo pienamente al cd. “minimo costituzionale” alla stregua dei principi esposti da Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053 e giurisprudenza conforme (tra le molte cfr. Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n. 22232).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia in rubrica violazione dell’art. 100 c.p.c., 2 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sviluppando nel corpo dell’articolazione della censura, in relazione alla giurisprudenza della Corte ivi richiamata, l’argomentazione anche in relazione alla violazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, rilevando l’erroneità dell’impugnata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’originaria impugnazione proposta dal contribuente avverso le cartelle ed i ruoli in questione per il tramite di estratto di ruolo, quantunque le risultanze probatorie avessero dimostrato che il contribuente aveva acquisito piena conoscenza di tutte le cartelle in questione, la cui impugnazione doveva ritenersi quindi inammissibile perché tardiva, non potendo assumersi — una volta notificate le cartelle — l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione.
Il motivo è manifestamente fondato alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 2 ottobre 2015, n. 19704), che hanno chiarito che la tutela del contribuente può estendersi sì anche all’impugnazione delle cartelle e dei ruoli ad esse sottesi sempre che l’interesse all’impugnazione nasca effettivamente dalla conoscenza che se ne abbia, in assenza di notifica, solo per mezzo della consegna dell’estratto di ruolo, restando, al di fuori di detta ipotesi, non consentita l’impugnazione in sé dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione.
Di detto principio la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione, ritenendo che solo per una delle cartelle l’agente della riscossione avesse provato l’avvenuta rimale notifica.
Per le altre cartelle per le quali l’agente della riscossione aveva prodotto documentazione comprovante la richiesta di rateizzazione del debito dalle stesse portato e finanche il pagamento di un certo numero di rate (17 su 72 del beneficio concesso), pur richiamando remoto precedente di questa Corte (Cass. sez. 1, 19 giugno 1975, n. 2436), la sentenza impugnata se ne è in concreto discostata, perché, se è vero che di per sé in materia tributaria, non può costituire acquiescenza da parte del contribuente l’avere chiesto ed ottenuto, senza riserva alcuna, la rateizzazione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento, nondimeno il riconoscimento del debito comporta in ogni caso l’interruzione del decorso del termine di prescrizione e si pone quindi in maniera incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto notifica delle cartelle.
Ciò comporta, come chiarito più di recente anche da Cass. sez. 5, 8 febbraio 2017, n. 3347, che in tanto è possibile comunque la contestazione nell’an della pretesa tributaria, sempre che non siano scaduti i termini per la proposizione dell’impugnazione avverso le cartelle, nella fattispecie in esame ampiamente decorsi all’atto della proposizione del ricorso in primo grado, avuto riguardo alla data del 15 gennaio 2012 dei provvedimenti che avevano autorizzato la rateizzazione del debito richiesta dal contribuente.
Il ricorso è dunque fondato in relazione al primo motivo, ciò comportando l’assorbimento del terzo, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., perché la causa non avrebbe potuto essere proposta.
Le spese del doppio grado del giudizio di merito possono essere compensate, stante l’incertezza della giurisprudenza risolta dall’intervento della citata pronuncia delle Sezioni Unite.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, rigettato il secondo e assorbito il terzo e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.
Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna l’intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.
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