CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2020, n. 11899
Appalto del servizio di pulizia – Cessazione – Obbligo di riassunzione di tutti i dipendenti dell’impresa cessante da parte di quella subentrante nell’appalto – Licenziamento verbale
Premesso
che G.C. – già dipendente di O.C. S.n.c. fino al 15 aprile 2011, data di cessazione dell’appalto del servizio di pulizia cui era addetto – ha agito in giudizio nei confronti di M.M. S.r.l., subentrata nel contratto, per ottenere la dichiarazione di inefficacia, con le relative e conseguenti pronunce, del licenziamento verbale intervenuto il 18 successivo, quando, ripresentatosi nel luogo di lavoro, ne era stato allontanato;
– che il Tribunale di Napoli Nord ha respinto la domanda;
– che la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado sul rilievo del difetto di elementi significativi e concludenti per ritenere in modo univoco che il licenziamento disposto dalla O.C. con lettera in data 31/3/2011 fosse stato revocato dalla nuova appaltatrice, non potendo assegnarsi tale valore al fatto che il C. avesse lavorato la mattina del 18 aprile 2011 prima di essere allontanato ed anzi la tesi della revoca del licenziamento scritto, seguito da quello verbale, apparendo in contrasto con la circostanza che l’allontanamento fosse stato disposto dal capo-squadra e non dal datore di lavoro; osservando poi – con riguardo all’obbligo di riassunzione di tutti i dipendenti dell’impresa cessante da parte di quella subentrante nell’appalto, ai sensi dell’art. 4 C.C.N.L. di settore – che se era vero che nel ricorso introduttivo era presente un cenno a tale norma, era parimenti vero che le conclusioni, che vi risultavano formulate, attenevano esclusivamente alla declaratoria di illegittimità del licenziamento orale e alla conseguente domanda di reintegrazione in servizio, mentre non era stato affatto richiesto di ordinare alla nuova appaltatrice di procedere all’assunzione del ricorrente in forza della disciplina collettiva: ciò che portava a concludere che il primo giudice si era correttamente pronunciato sull’unica domanda fatta valere dall’attore;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., con due motivi;
– che la M.M. S.r.l. è rimasta intimata;
Rilevato
che con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 5 e 8 l. n. 604/1966 e 18 l. n. 300/1970 (nella formulazione anteriore alla l. n. 92 del 2012) per essere la sentenza di appello pervenuta alle proprie conclusioni senza adeguatamente valutare che alla data del 18 aprile 2011 era da intendersi già avvenuto il passaggio di cantiere tra le due società, con automatica assunzione del ricorrente alle dipendenze della M.M. S.r.l., che vi era stata continuazione della presenza del ricorrente stesso nel luogo di lavoro e che il soggetto (caposquadra), che ne aveva disposto l’allontanamento, esercitando in quel momento e in quel luogo il potere gerarchico sul dipendente, non poteva essere qualificato diversamente che come datore di lavoro; senza avere, inoltre, valutato la natura intrinsecamente discriminatoria del licenziamento intimato dalla precedente appaltatrice, posto che il ricorrente era stato l’unico tra i suoi dipendenti a non essere trasferito alla società subentrante;
– che con il secondo motivo sono denunciati la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione per avere la sentenza omesso di pronunciare sul punto di domanda relativo all’obbligo, in capo alla società resistente, di riassunzione ex art. 4 C.C.N.L. di settore e ciò sulla base di un’errata qualificazione delle conclusioni formulate in primo grado, con le quali, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, il ricorrente aveva espressamente richiesto la propria reintegrazione, previa declaratoria dell’obbligo previsto dalla richiamata norma collettiva;
Osservato
che il primo motivo è inammissibile;
– che, infatti, con il motivo in esame il ricorrente, sotto il velo della denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., lungi dal dedurre una violazione in senso proprio, sotto il profilo dell’affermazione o negazione dell’esistenza della norma in contestazione, ovvero una falsa applicazione determinata da un errore di sussunzione, ha inteso rimettere in discussione l’accertamento di fatto motivatamente compiuto dal giudice del merito, là dove la Corte di appello, nel ricostruire gli accadimenti occorsi il 18/4/2011 nel cantiere cui il lavoratore era stato addetto, ha escluso, alla stregua degli elementi acquisiti al giudizio, la possibilità di configurare in maniera univoca una prosecuzione del rapporto lavorativo e, con essa, un superamento del recesso intimato dalla precedente datrice di lavoro con lettera del 31/3/2011, ponendo in particolare evidenza come il ricorrente fosse stato estromesso dal luogo di lavoro nel corso della stessa mattinata e in esecuzione di un mero ordine, disposto dal caposquadra, di allontanarsi dal cantiere: accertamento come tale sottratto al sindacato di questa Corte di legittimità, tanto più nel quadro di applicazione del “nuovo” n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., che ha ridotto il controllo sulla motivazione entro i limiti del “minimo costituzionale” (Sez. U n. 8053/2014 e successive conformi);
– che l’ulteriore censura svolta con il motivo in esame, con cui il ricorrente si duole della mancata valutazione della natura intrinsecamente discriminatoria del licenziamento, risulta questione nuova e, pertanto, inammissibile in questa sede di legittimità (Cass. n. 907/2018, fra le numerose conformi), posto che il ricorrente non indica specificamente se, con quale atto ed esattamente in che termini la questione, di cui non è cenno nella sentenza impugnata (che pure esamina distintamente i diversi motivi di gravame), fosse stata devoluta alla cognizione della Corte di merito;
– che egualmente inammissibile è il secondo motivo, atteso che la sentenza, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, ha espressamente preso in esame, e valutato (cfr. p. 4), la presenza di una domanda basata sul disposto dell’art. 4 C.C.N.L. di settore, giungendo motivatamente ad una conclusione negativa; né il lavoratore ha dimostrato, nell’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., di avere fondato il proprio ricorso anche sulla violazione della norma collettiva, non risultando presente nelle conclusioni – come già rilevato in sentenza – la formulazione di una specifica richiesta in tal senso e fermo restando il principio di diritto, secondo il quale “Il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione” (Cass. n. 13602/2019, fra le numerose conformi): vizio, quest’ultimo, formalmente enunciato dal ricorrente e peraltro non dedotto ritualmente secondo il paradigma normativo dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., quale risultante a seguito delle modifiche introdotte nel 2012 e delle precisazioni fornite da questa Corte, circa perimetro applicativo e oneri di deduzione, con la citata giurisprudenza a sezioni Unite;
ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
– che non sussistono i presupposti per una pronuncia sulle spese, essendo la società rimasta intimata
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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