CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2021, n. 17570
Professionisti – Avvocato – Compensi professionali – Riduzione – Gravi carenze nell’esercizio del patrocinio
Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1. L’avv. M. M. ha adito il tribunale di Bologna per ottenere il pagamento di € 21.121,31, oltre accessori, quale compenso per l’attività svolta in favore della S. in un giudizio, introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo ed avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo di una fornitura di materiali.
Con ordinanza ex art. 14 d.lgs. 150/2011, il Collegio adito ha riconosciuto un importo di € 6448,00, oltre ad € 154,90 per spese, applicando i valori tabellari minimi ex D.M. 55/2014, osservando che l’attività difensiva era stata effettivamente svolta, ma che le spese del procedimento monitorio andavano ridotte perché mancava la prova del pagamento della tassa di registro del decreto ingiuntivo, mentre, quanto agli onorari, talune gravi carenze nell’esercizio del patrocinio avevano comportato la compensazione delle spese processuali e ciò sebbene la causa di opposizione si fosse conclusa favorevolmente per la cliente.
In particolare, erano emerse contraddizioni nella condotta difensiva dell’odierno ricorrente, che aveva “erroneamente indicato l’anno di sottoscrizione del documento fondamentale per la risoluzione della lite, facendo sorgere anche la questione della eventuale falsità delle dichiarazioni dei testi di parte opposta escussi”.
Per la cassazione dell’ordinanza M. M. ricorre in cassazione, sulla base di tre motivi.
La S. è rimasta intimata.
Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente infondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma primo, n. 5 c.p.c., il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.
2. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 2333 c.c. e 4 D.M. 55/2014, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c..
Si assume che il tribunale non poteva tener conto, nella liquidazione del compenso, della disposta compensazione delle spese lite nella causa in cui era stato svolto il patrocinio, poiché la regolazione adottata nel giudizio riguarda le parti processuali e non il rapporto tra il difensore ed il cliente. In ogni caso, la pronuncia di compensazione non era giustificata, essendo dipesa dalla sola errata indicazione della data di una scrittura con cui le parti in lite avevano concordato una dilazione di pagamento.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 4 D.M. 55/2014, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., assumendo che la liquidazione doveva essere effettuata anche in base alle caratteristiche, all’urgenza dell’attività prestata, all’importanza, alla natura e della difficoltà e del valore dell’affare, mentre il tribunale avrebbe dato rilievo solo al risultato finale.
I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Il tribunale, pur dando atto dell’esito positivo della causa di opposizione, ha dato rilevo al risultato complessivo ottenuto dal cliente, rilevando che – nonostante la totale soccombenza della controparte – il giudice aveva disposto la compensazione delle spese a causa delle gravi carenze con cui era stata svolta l’attività difensiva.
Non veniva in rilievo il principio secondo cui la pronuncia sulle spese processuali non influisce sulla spettanza del compenso del difensore ed interessa anzitutto il rapporto tra le parti processuali, poiché, nella specie, il tribunale ha tenuto conto delle decisioni adottate nella causa in cui era stato svolto il tirocinio, solo per stabilire quale fosse l’esito finale della lite, il risultato complessivo ottenuto dalla S. (Cass. 2863/2014) e il modo con cui era stata espletato il mandato difensivo, in conformità al disposto dell’art. 4 comma primo, 4 D.M. 55/2014, secondo cui ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
La norma contempla un potere del giudice che è ampiamente discrezionale, il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità (cfr. con riferimento all’art. 5, D.M. 392/1990, la cui formulazione è analoga a quella dell’art. 4 D.M. 55/2014: Cass. 1266/1999; Cass. 2037/2000), senza che il rilievo dato ai risultati dell’attività costituisca violazione del principio per cui l’obbligazione del professionista è di mezzi e non di risultato (Cass. 2863/2014).
La quantificazione del compenso appare – infine – il frutto di un apprezzamento che legittimamente il giudice di merito ha effettuato, attribuendo prevalenza a taluni soltanto dei criteri fissati dall’art. 4 cit. rispetto agli altri, in quanto ritenuti maggiormente influenti sulla valutazione dell’attività svolta.
Riguardo poi all’effettiva sussistenza delle evidenziate carenze difensive, la questione attiene al merito e, in quanto tale, è sottratta al controllo di legittimità.
3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 4 D.M. 55/2014 e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e 5 c.p.c., asserendo che il tribunale avrebbe dovuto compiutamente giustificare la congruità degli importi liquidati per ciascuna attività, dato che la causa aveva avuto un esito positivo, richiedendo un impegno gravoso e la trattazione di questioni complesse, non giustificandosi l’applicazione dei valori minimi.
Anche il terzo motivo appare inammissibile, poiché – in sostanza – sollecita un nuovo e non consentito apprezzamento delle risultanze di causa ed è volto a sindacare la sufficienza della motivazione, sollecitando un controllo non più ammissibile in sede di legittimità (Cass. s.u. 8053/2014).
La sentenza, riconoscendo il compenso per tutte le attività documentate, ha comunque considerato l’intera attività svolta senza omettere di valutare fatti decisivi, avendo ridotto le somme spettanti al difensore sulla base del modo in cui era stato esercitata la difesa, rispettando i valori tabellari minimi.
Sia l’esito della lite che la complessità dell’impegno profuso dal ricorrente sono stati specificamente vagliati dal giudice (pag. 2), e la quantificazione del compenso per ciascuna voce appare giustificata, sul piano argomentativo, sulla base dei criteri enunciati nell’ordinanza e ai quali il giudice ha dichiarato di volersi conformare, non occorrendo una più specifica motivazione. Il ricorso è quindi inammissibile.
Nulla sulle spese, non avendo l’intimata svolto difese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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