CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 luglio 2018, n. 19080
Indennità sostitutiva del preavviso – Termine di durata del periodo stabilito nel contratto individuale – Più lungo rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva – Efficacia bilaterale – Durata legale o contrattuale del preavviso derogabile dall’autonomia delle parti
Premesso
Con sentenza n. 76/2013, depositata il 19 marzo 2013, la Corte di appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari ha respinto il gravame principale proposto da F.R. nel confronti della sentenza del Tribunale di Sassari, che lo aveva condannato, in accoglimento della domanda riconvenzionale di B.C. S.p.A., al pagamento, in favore della stessa, della somma di euro 33.738,64 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, osservando come il più lungo termine di durata del relativo periodo (12 mesi), stabilito nel contratto individuale, rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva, non potesse considerarsi di sfavore per il solo lavoratore, avendo il prolungamento del termine efficacia “bilaterale”;
– che con la medesima sentenza, in parziale accoglimento del gravame incidentale della Banca, la Corte di appello ha condannato il lavoratore alla restituzione della complessiva somma di euro 17.332,64 a titolo di corrispettivo ricevuto in costanza di rapporto (euro 11.412,64) in relazione al patto di non concorrenza, già dichiarato nullo dal giudice di primo grado, e a titolo di compenso incentivante (euro 5.920,00);
– che nei confronti della sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, con quattro motivi;
– che la Banca ha resistito con controricorso, assistito da memoria;
Rilevato
che con il primo motivo, deducendo la violazione ed erronea applicazione degli artt. 10 e 14 r.d.l. n. 1865/1924 e conseguentemente degli artt. 1339, 2077 e 2118 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto applicabile la disciplina dell’impiego privato nella parte in cui fissa un termine massimo di 3 mesi per il preavviso, nonostante il richiamo ad essa specificamente contenuto nell’art. 98 disp. att. cod. civ.;
– che con il secondo motivo, deducendo la violazione ed erronea applicazione dell’art. 2118 cod. civ. e dei CCNL 19/12/1994 e 11/7/1999, in relazione all’art. 2077 cod. civ., il ricorrente si duole che la Corte non abbia tenuto conto che la clausola di salvaguardia, che sancisce la prevalenza delle condizioni più favorevoli stabilite nei contratti individuali, debba operare anche per la contrattazione collettiva, la quale non potrebbe introdurre norme sfavorevoli per il contraente debole;
– che con il terzo motivo, deducendo la violazione ed erronea applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2077, 2118 e 1362 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza per avere considerato legittimo il prolungamento del termine di preavviso, pur in assenza di specifica remunerazione o altra compensazione per il lavoratore, e ciò sulla base di una ritenuta, e peraltro insussistente, condizione oggettiva di reciproco vantaggio per i soggetti contraenti;
– che con il quarto motivo il ricorrente, deducendo la violazione ed erronea applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 278 e 424 cod. proc. civ. e all’art. 2697 cod. civ., nonché erroneo apprezzamento delle risultanze delle lettere di assunzione in riferimento al patto di non concorrenza e al suo corrispettivo, lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto non contestati gli importi richiesti dalla Banca, nonostante i contrari rilievi della memoria difensiva conseguente alla domanda riconvenzionale formulata in primo grado e le stesse contrarie affermazioni contenute nella sentenza impugnata;
Osservato
che il primo e il secondo motivo non possono trovare accoglimento;
– che, infatti, con il primo, il ricorrente non si confronta specificamente con quella parte della motivazione della sentenza in cui la Corte di appello ha ritenuto che la disposizione, di cui all’art. 2118 cod. civ., demandando alle parti collettive l’individuazione del termine di preavviso, avesse abrogato “implicitamente quella precedente richiamata dalla parte appellante”, con la conseguenza che il termine di preavviso deve essere individuato ora “unicamente in base alle previsioni del comma 1” della citata norma del Codice civile;
– che, con il secondo, il ricorrente propone una lettura dell’art. 2077 che non tiene conto della chiara formulazione della norma, che ha sancito, oltre al principio di inderogabilità del contratto collettivo, la validità in ogni caso delle clausole più favorevoli ai lavoratori con espresso ed esclusivo riferimento alle difformi condizioni “dei contratti individuali”, preesistenti o successivi al contratto collettivo, secondo quanto risulta dal comma 2°, ultima parte, della disposizione in oggetto;
– che risulta, invece, fondato, e deve essere accolto, il terzo motivo di ricorso;
– che invero la Corte di merito non si è conformata all’ormai consolidato orientamento di legittimità, per il quale “in materia di recesso dal rapporto di lavoro, la durata legale o contrattuale del preavviso è derogabile dall’autonomia delle parti, sicché è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito dalla contrattazione collettiva, ove il lavoratore riceva, quale corrispettivo per tale deroga, l’attribuzione di benefici economici e di carriera. (Nella specie, la S.C. ha confermato la legittimità di un prolungamento del periodo di preavviso, da uno a dodici mesi, pattuito a fronte di un avanzamento di carriera e del riconoscimento di un assegno ad personam)”: Cass. n. 18122/2016; conforme Cass. n. 4991/2015;
– che risulta altresì fondato, e deve parimenti essere accolto, il quarto motivo, avendo la Corte di appello fondato l’accoglimento del gravame incidentale della Banca sul rilievo che l’importo di euro 17.332,64, oggetto della statuizione di condanna nei confronti del lavoratore, sarebbe provato e “non contestato” (cfr. sentenza, ultima pagina), quando la stessa Corte ha rilevato come il ricorrente avesse riconosciuto di avere percepito “quale corrispettivo del patto di non concorrenza, la somma di euro 3.563,813 mentre le altre somme riportate nella memoria difensiva quale corrispettivo del patto sarebbero in effetti la conseguenza di aumenti di grado ricevuti per capacità professionale del ricorrente o a titolo di emolumenti vari” (pag. 5, secondo capoverso);
Ritenuto
conclusivamente che – accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri – la impugnata sentenza n. 76/2013 della Corte di appello di Cagliari – sezione Distaccata di Sassari deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Cagliari, la quale farà applicazione del principio di diritto sopra richiamato ed inoltre accerterà, attraverso nuovo esame degli atti e degli elementi acquisiti, se, e in quale misura, risultino non contestati gli emolumenti ricevuti dal prestatore di lavoro, in corso di rapporto, a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza e quale sia comunque l’ammontare di essi da ritenersi provato alla stregua delle risultanze di causa, eventualmente avvalendosi degli approfondimenti e delle verifiche contabili consentite da una consulenza tecnica d’ufficio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Cagliari.
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