CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 luglio 2018, n. 19082
Licenziamento – Infrazioni alla disciplina e alla diligenza del lavoro – Recidiva – Comportamento insofferente del dipendente nei confronti del datore di lavoro – Allontanamenti ingiustificati dal posto di lavoro
Rilevato che
1.1. con ricorso al Tribunale di Bari F.B., dipendente della M.M.P. S.p.A. dal 1° dicembre 1994, impugnava sei sanzioni disciplinari rispettivamente del 15 maggio 2006, 3 ottobre 2006, 25 gennaio 2007, 31 gennaio 2007, 9 ottobre 2007, 15 ottobre 2007 e il licenziamento con preavviso intimatogli dalla società il 25 ottobre 2007 ai sensi dell’art. 25 lett. A) primo cpv. del c.c.n.I. e dell’art. 25 lett. H) per infrazioni alla disciplina e alla diligenza del lavoro con la recidiva;
le contestazioni avevano riguardato il comportamento insofferente tenuto dal dipendente nei confronti del suo capo UTE in data 19 ottobre 2007 e l’allontanamento ingiustificato dal lavoro nel medesimo giorno dalle ore 17.55 alle ore 22.00 nonché le precedenti sanzioni disciplinari per assenze ingiustificate nei giorni 3 ottobre 2007 e 22, 24 e 26 settembre 2007 (queste ultime tre determinative di altrettante sospensioni dal servizio) ed i precedenti allontanamenti ingiustificati dal posto di lavoro oltre che l’inesatta esecuzione della prestazione lavorativa nei giorni 15, 18 e 19 gennaio 2007 (che aveva comportato altra sospensione dal servizio) in relazione alla presenza, riscontrata da clienti, di o-ring (anelli utilizzati quali guarnizioni) danneggiati, significativa della mancata effettuazione delle prescritte operazioni di sostituzione di tali pezzi;
1.2. il Tribunale rigettava la domanda;
1.3. la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Bari;
riteneva la Corte territoriale che tutti comportamenti di cui ai vari addebiti fossero risultati provati e che, anche a voler ritenere che le assenze ingiustificate del 22, 24 e 26 settembre 2007 integrassero un’unica infrazione, le stesse avrebbero comunque rappresentato la seconda sospensione nel biennio, idonea a legittimare il recesso datoriale;
quanto alla proporzionalità dell’adottato provvedimento riteneva la piena conformità dello stesso alle previsioni pattizie risultando la condotta addebitata finanche più grave di quella minima (due provvedimenti di sospensione nel biennio);
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale F.B. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi;
3. la società resiste con controricorso;
4. il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 lett. A) e C), dell’art. 25 lett. A) e 25 lett. A) e H) c.c.n.I. metalmeccanici industria e dell’art. 7 della l. n. 300/1970 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.);
lamenta che la Corte territoriale non avrebbe considerato quale elemento essenziale della fattispecie disciplinare l’unico e solo addebito la cui ricorrenza doveva essere valutata (e cioè quello relativo all’episodio del 3/10/2007 riguardante le infrazioni alla disciplina ed alla diligenza nel lavoro) prima ancora di procedere ad esaminare la rilevanza della recidiva e sarebbe così incorsa in una falsa applicazione della norma contrattuale la cui lett. A) avente una portata del tutto autonoma rispetto alla previsione di cui alla lett. H);
rileva che, non potendo il comportamento addebitato al B. in relazione all’episodio del 3/10/2007 essere legittimante considerato quale infrazione alla disciplina ed alla diligenza del lavoro, verrebbe meno lo stesso motivo di licenziamento ed anche la valida contestazione di una recidiva;
egualmente avrebbe errato nell’attribuire rilevanza, rispetto all’essenziale ulteriore recidiva di cui alle tre assenze ingiustificate del 22, 24 e 26 settembre 2007 (che non andavano considerate separatamente), i precedenti provvedimenti di sospensione inidonei a sostenere da soli la legittimità dell’atto interruttivo del rapporto di lavoro;
il ricorrente lamenta, altresì, che la Corte di appello non avrebbe proceduto ad una verifica separata, autonoma e distinta, di ciascuno dei fatti di cui alla contestazione ed in particolare non avrebbe verificato la corrispondenza di tali fatti addebitati alle distinte fattispecie contrattuali (insubordinazione e assenza ingiustificata dal lavoro);
rileva che nella sentenza i due piani sono sovrapposti e confusi con conseguente distorsione della valutazione in ordine alla effettiva sussistenza delle rispettive fattispecie;
in particolare la Corte territoriale avrebbe considerato l’allontanamento dal posto di lavoro del 3/10/2007 assumendo come parametri di valutazione elementi che attengono al profilo comportamentale, utili però a sostenere l’insubordinazione piuttosto che l’assenza ingiustificata;
1.2. il motivo è invero improcedibile nella parte in cui è denunciata la violazione di norme del contratto collettivo senza che sia stata depositata in allegato al ricorso la copia integrale di tale contratto ovvero che risulti precisato, in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., se e quando tale documentazione fosse stata depositata nel corso del giudizio di merito e dove la stessa sia in concreto reperibile;
invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. 4 marzo 2015, n. 4350; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21358; Cass., Sez. U, 23 settembre 2010, n. 20075; Cass. 13 maggio 2010, n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della fonte convenzionale, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 cod. civ.;
né a tal fine basterebbe la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tale atto sia stato eventualmente depositato, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ex aliis, Cass. n. 27228/14), il che nel caso di specie non è avvenuto;
in ogni caso, anche a voler ritenere che, nella specie, oggetto di doglianza non sia un vizio nell’interpretazione dell’esatto tenore delle suddette norme contrattuali (richiamate dal ricorrente nel motivo di ricorso, in cui è però principalmente e sostanzialmente denunciata la violazione dell’art. 7 della l. n. 300/1970) e che, pacifica essendo la lettura di tali norme alla stregua di ricorso, controricorso e sentenza impugnata come prevedenti le ipotesi convenzionalmente stabilite relative all’adozione di sanzioni disciplinari conservative ed al licenziamento con preavviso, quello in discussione sia il rispetto del disposto dell’art. 7 St. lav. e la valutazione della recidiva quale elemento costitutivo della mancanza addebitata, il motivo è infondato;
innanzitutto si osserva che la Corte territoriale ha correttamente valutato le infrazioni commesse dal lavoratore, sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo ritenendo la gravità degli addebiti ai fini della proporzionalità delle sanzioni conservative ed ha quindi, in successivo ordine logico, proceduto alla disamina degli ulteriori addebiti di cui al provvedimento espulsivo e quindi, ai fini della sussunzione della fattispecie nell’ipotesi contrattualmente prevista, considerato la contestata recidiva;
in tale percorso ricostruttivo, la Corte barese ha ritenuto provati tutti gli addebiti di cui alle contestazioni, ha sussunto gli stessi rispettivamente nell’ambito delle infrazioni di cui alla previsione dell’art. 24 del c.c.n.I. (giustificanti la sospensione) ovvero in quello delle infrazioni di cui alla previsione dell’art. 25 lett. A) (giustificanti il licenziamento senza preavviso);
in particolare, in risposta ad analoghi rilievi formulati in quella sede dall’appellante, ha confermato la sussistenza e legittimità di tutti i provvedimenti disciplinari irrogati nei confronti del lavoratore nell’ultimo biennio (rilevando che in tale biennio vi erano stati quattro provvedimenti di sospensione e che nel medesimo arco temporale il lavoratore aveva anche accumulato ripetute sanzioni di multa) ed altresì ritenuto, con argomentazione ad abundantiam, che, anche a considerare le assenze del 22, 24 e 26 settembre 2007 come un’unica infrazione, le stesse avrebbero comunque rappresentato la seconda sospensione nel biennio, idonea a giustificare il recesso datoriale;
quanto alla valutazione della recidiva, prevista all’ultimo comma dell’art. 7 della legge n. 300/1970 con la tipica funzione di aggravante, anche se la norma ne limita l’operatività al biennio susseguente l’applicazione del provvedimento, va ricordato che, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 15 febbraio 1996, n. 1185; Cass. 9 novembre 2000, n. 14555), la stessa deve essere riferita non al momento dell’esecuzione, ma a quello della sua irrogazione che corrisponde al momento nel quale è stata formalmente comunicata (al contrario, dalla disposizione dell’ultimo comma dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300 – secondo cui “non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dallo loro applicazione” – si desume che, nell’ambito del biennio, può prendersi in considerazione, ai fini della recidiva, solo le sanzioni disciplinari applicate non già le infrazioni commesse e conosciute, che però non siano state contestate e per le quali non sia stata applicata alcuna sanzione – v. Cass., 7 dicembre 1982, n. 6691; Cass. 20 ottobre 2009, n. 22162);
sempre secondo l’indirizzo di questa Corte (Cass. 28 marzo 1992, n. 3843; Cass. 25 novembre 2010, n. 23924; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1909) la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva, o comunque i precedenti disciplinari che la integrano, ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già mero criterio di determinazione della sanzione ad essa proporzionata;
inoltre, come pure da questa Corte affermato, la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in successive mancanze disciplinari come ipotesi di giustificato motivo di licenziamento non esclude il potere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell’accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva e ciò ai sensi delle norme di cui all’art. 3 l. n. 604/1966, all’art. 7 I n. 300/70 e all’ art. 2119 cod. civ. (v. Cass. 4 maggio 2017, n. 10838; Cass. 18 dicembre 2014, n. 26741; Cass. 27 settembre 2002, n. 14041; Cass. 2 luglio 1992, n. 8098);
di contro, allorquando si verifica un comportamento del lavoratore che, secondo il datore presenti gli estremi della condotta illecita, nel rispetto della procedura contrattuale e dei principi contenuti nell’art. 7, può essere adottata una sanzione più grave rispetto a quella che sarebbe stata applicata in mancanza di recidiva esprimendo quest’ultima una sorta di pervicacia del lavoratore nell’ignorare i suoi doveri (così Cass. 28 gennaio 2015, n. 1603);
nella specie la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli indicati principi laddove, quanto più specificamente al provvedimento espulsivo, ha rilevato che, oltre alle sospensioni già intervenute nel biennio (ritenute legittime), al B. fosse stato addebitato un ulteriore allontanamento dal lavoro ed una insubordinazione tali da integrare nel complesso, considerati altresì i trascorsi disciplinari dello stesso, una condotta finanche più grave di quella di cui alla lett. H) e cioè della ‘recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 24, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 24’;
2.1. con il secondo motivo il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti riguardo la riconoscibilità dell’assenza ingiustificata nei giorni 22, 24 e 26 settembre 2007 e la legittimità del frazionamento delle contestazioni disciplinari di cui alle comunicazioni del 2, 3 e 4 ottobre 2007 e delle corrispondenti sanzioni disciplinari di cui alle comunicazioni del 9, 11 e 15 ottobre 2007 di parte datoriale – violazione e falsa applicazione dell’art. 24 lett. A) e C), dell’art. 25 lett. A) e 25 lett. A) e H) c.c.n.I. metalmeccanici industria e dell’art. 7 della l. n. 300/1970;
2.2. la denuncia di omesso esame è inammissibile poiché, secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. (disposizione applicabile ratione temporis – ex art. 54, co. 2, d.l. n. 83/2012 – nel presente giudizio giacché l’appello è stato depositato in data 13.5.2015), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2018, n. 5528; Cass. 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
nel caso in esame la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure con riguardo alla fondatezza di tutti gli addebiti contestati;
l’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento anche della decisione di rigetto di cui al secondo grado, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dal ricorrente;
per il resto vanno richiamate le stesse considerazioni svolte con riguardo al primo motivo di ricorso dovendosi anche in questo caso rilevare che il ricorrente sviluppa censure di merito e dirette ad una ‘rivalutazione del fatto’ non compatibili con la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, cod. civ. proc.: il fatto, nel suo complesso, è già stato valutato dal giudice di merito con una motivazione che certamente eccede i limiti costituzionali essendo congrua, puntuale e correlata a specifici elementi (cfr. Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, nn. 8052 e 8053);
il rilievo concernente la mancata considerazione da parte della Corte d’appello delle richieste di permesso in data 21/9/2007 ed in data 25/9/2007 che, a dire del ricorrente, avrebbero reso giustificate le indicate assenze del 22, 24 e 26 settembre, contrappone alla puntuale valutazione dei giudici di appello (che, sul punto, hanno decisamente escluso che fossero stati presentati dal B. moduli prestampati con richieste di permesso) una propria personale valutazione del materiale istruttorio ma tale modus procedendi non è coerente con il paradigma fissato dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella specie ratione temporis);
è noto infatti che, a seguito di tale riforma, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), mentre non integra tale vizio l’omesso esame di elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, n. 8053/2014 cit.; id. Cass. 22 settembre 2014, n. 19881);
nella specie non si denuncia l’omesso esame di fatti storici specifici, ma semmai l’erronea o mancata valutazione di elementi istruttori, in funzione peraltro non già della dimostrazione di un «fatto storico» oggettivamente definito e circoscritto, quanto piuttosto di un giudizio, quello della «giustificatezza» di un’assenza;
inoltre i rilievi relativi concernenti l’unitarietà del comportamento contestato e sanzionato tre volte non tengono conto del fatto che nella sentenza impugnata, con motivazione aggiuntiva, i giudici di appello hanno anche considerato (pag. 15) le tre contestazioni relative alle assenze del 22, 24 e 26 settembre come un’unica infrazione ed evidenziato che pure in tale caso esse avrebbero rappresentato comunque la seconda sospensione nel biennio, idonea a giustificare il recesso datoriale;
la censura concernente la mancata considerazione da parte della Corte d’appello delle richieste di permesso in data 21/9/2007 ed in data 25/9/2007 che, a dire del ricorrente, avrebbero reso giustificate le indicate assenze del 22, 24 e 26 settembre contrappone alla puntuale disamina dei giudici di appello (che, sul punto, hanno decisamente escluso che fossero stati presentati dal B. moduli prestampati con richieste di permesso) una propria personale valutazione del materiale istruttorio;
3.1. con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti riguardo la riconoscibilità della negligente esecuzione del lavoro nei giorni 15, 18 e 19 gennaio 2007 contestati al lavoratore con comunicazione del 24 gennaio 2007 e riguardo la congruenza della sanzione della sospensione di due giorni irrogata al lavoratore con comunicazione del 31 gennaio 2007 – violazione e falsa applicazione dell’art. 24 lett. A) e C), dell’art. 25 lett. A) e 25 lett. A) e H) c.c.n.I. metalmeccanici industria e dell’art. 7 della l. n. 300/1970;
3.2. anche in questo caso la denuncia di omesso esame è inammissibile per le stesse ragioni evidenziate con riguardo al secondo motivo di ricorso in presenza di una ‘doppia conforme’;
per il resto il motivo, lungi dal far emergere un’erronea applicazione delle norme indicate in rubrica, impinge nella valutazione di merito espressa dai giudici a quibus opponendo a questa una propria diversa lettura delle risultanze di causa;
così prospetta l’esistenza di una prassi di non informare il proprio responsabile per ogni pezzo caduto (e danneggiato) in quanto ciò avrebbe interrotto continuamente la produzione rallentato che però, secondo la Corte territoriale, non era risultata provata;
peraltro, nella specie, come evidenziato nella sentenza impugnata, l’infrazione non era consistita nel non aver informato il responsabile ma, nel caso dei ‘primi 4 pezzi di scarto’, nel non aver sostituito i pezzi danneggiati, pur apponendo il visto di operazione effettuata, negli altri casi, nel non aver montato il pezzo nuovo dopo aver rimosso quello danneggiato o nell’aver totalmente omesso ogni operazione;
quanto alla prospettata erroneità del giudizio di congruità della sanzione della sospensione di due giorni irrogata al lavoratore nell’occasione, va ricordato che, in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso concreto;
anche l’accertamento della ricorrenza degli elementi del parametro normativo si pone sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito;
le relative questioni, ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (v. Cass. 7 aprile 2011, n. 7948; Cass. 15 novembre 2006, n. 24349);
nella specie la Corte d’appello ha ritenuto la sanzione disciplinare della sospensione adottata dall’azienda in relazione all’inesatta esecuzione della prestazione lavorativa nei giorni 15, 18 e 19 gennaio 2007 (sanzione rispetto alla quale è stata poi valutata la sussistenza della recidiva ai fini del licenziamento) congrua rispetto ai fatti ascritti;
sul punto, parte ricorrente, oltre ad invocare impropriamente l’esistenza di una prassi aziendale (esclusa dalla Corte territoriale e comunque ritenuta irrilevante ai fini del contestato inadempimenti), propone un diverso apprezzamento della gravità dei fatti, senza peraltro adeguatamente contestare l’operazione di sussunzione della fattispecie – quale ricostruita dai giudizi di merito – nell’alveo delle norme del contratto collettivo, la cui violazione è stata posta a base della sanzione;
ed infatti la Corte territoriale ha evidenziato che si era trattato di più infrazioni non opportunamente giustificate evidenzianti una negligenza di particolare rilievo nell’esecuzione del lavoro e che non vi era stata alcuna contestazione da parte dell’appellante circa la congruità della sanzione essendosi il medesimo limitato a richiamare la prassi di cui si è detto;
4. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato;
5. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
6. va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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