CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2018, n. 12291
Tributi – Contenzioso tributario – Diniego di rimborso – Onere della prova a carico del contribuente – Obbligo decennale di conservazione delle scritture contabili – Rilevanza – Esclusione
Ritenuto in fatto
La Commissione Tributaria regionale di Milano respingeva l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 56 del 31/1/2008 con la quale la Commissione Tributaria provinciale aveva accolto il ricorso della contribuente I.V. s.p.a. avverso il silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso presentata in data 19.12.2001, avente ad oggetto un credito di imposta da ritenute di acconto Irpeg su titoli obbligazionari e su depositi bancari e postali e da eccedenza di imposte, esposto dalla società nella dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1993.
La Commissione Tributaria regionale, sottolineando che l’Ufficio aveva negato il rimborso alla contribuente sostenendo che la stessa “avrebbe dovuto attivarsi al fine di fornire prove a sostegno della propria pretesa già al momento dell’inoltro dell’istanza di rimborso presentata a partire dall’anno 2001” e che la contribuente aveva riconosciuto di avere incassato, in data 27.6.07, euro 162.909,57, quale quota parte del credito chiesto a rimborso per l’anno 1993, ed euro 87.795,09, quale quota degli interessi sul capitale rimborsato, ha rigettato l’appello, rideterminando il credito in euro 208.948,90, oltre interessi di legge, ed ha motivato che la eccezione sollevata dall’Agenzia delle Entrate, la quale aveva richiesto dopo dieci anni la produzione di documentazione relativa al credito di imposta, non poteva essere presa in considerazione <<sia per il decorso del tempo, molto rilevante, sia perché nelle istruzioni al modello per l’anno 1993 ed in particolare al modello 760/M al rigo 24 non si richiedeva l’allegazione di alcuna certificazione. Allo stesso modo per il quadro 760/S regolarmente compilato dalla società non si faceva alcun cenno all’obbligatorietà di unire le certificazioni bancarie>>.
La Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidandosi ad un unico motivo.
La I.V. s.p.a. ha depositato controricorso e memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato in diritto
1. La controricorrente ha eccepito, in via preliminare, la inammissibilità del ricorso perché proposto oltre il termine di mesi sei dalla pubblicazione della sentenza impugnata, giusta la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge n. 69 del 2009.
1.1. La eccezione è infondata.
1.2. In tema di impugnazioni nel processo tributario, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 46 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito con il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza l’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma primo, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 15741 del 21/06/2013; n. 17060 del 5/10/12; n. 19969 del 6/10/15).
Il termine per il gravame risulta pertanto osservato, posto che la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata pubblicata in data 9/12/09, mentre il ricorso è stato proposto in data 21.1.2011, e quindi nel termine previsto, che era quello cosiddetto lungo di un anno e 46 giorni, atteso che la novella di mesi sei, introdotta con l’art. 46 legge n. 69/09 non è applicabile nella presente controversia, giusta il disposto dell’art. 58 della stessa, secondo cui l’entrata in vigore di tale disposizione coincideva con il 4.7.2009, senza possibilità di efficacia retroattiva ai procedimenti già pendenti.
2. Con l’unico motivo la Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.” e sostiene che la mera indicazione in dichiarazione dei redditi del credito chiesto a rimborso non è sufficiente a dimostrare il diritto vantato dal contribuente, dovendo lo stesso fornire, quanto meno, la certificazione delle ritenute subite e la copia del mod. F24 dei versamenti in eccesso.
Lamenta, quindi, che il giudice di appello ha derogato agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova, facendo riferimento al lungo tempo trascorso dalla presentazione della dichiarazione di credito nel mod. 760 del 1994 ed alla mancanza, nelle istruzioni dello stesso modello, di un obbligo di allegazione della documentazione contabile.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. La Agenzia delle Entrate già nel giudizio di primo grado, come evidenziato dalla contribuente, aveva chiesto il rigetto del ricorso proposto dalla controparte, in quanto “improponibile, inammissibile e comunque infondato e non provato sia in fatto che in diritto”, contestando in tal modo la domanda di rimborso.
La Commissione Tributaria regionale, a fronte di tale contestazione, ha fatto discendere la prova del credito chiesto a rimborso dalla mera indicazione dello stesso nella dichiarazione mod. 760/94, ma tale affermazione contrasta con gli ordinari principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova nel caso in cui il contribuente impugni il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su una istanza di rimborso.
2.3. Infatti, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato, con la conseguenza che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass. n. 21197 del 08/10/2014; n. 29613 del 29/12/2011).
2.4. Non rileva, come affermato dalla Commissione Tributaria regionale, che la Agenzia delle Entrate abbia richiesto la produzione di documentazione dopo circa dieci anni dall’inserimento del credito nella dichiarazione, atteso che, in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum” (Cass. Sez. U, n. 5069 del 15/03/2016).
2.5. Neppure è condivisibile la tesi difensiva della contribuente, secondo la quale l’Agenzia delle Entrate non potrebbe pretendere la produzione di documentazione comprovante il credito, quale la certificazione delle ritenute, in quanto al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 1993 nelle istruzioni del modello non era richiesta l’allegazione di certificazione e perché, essendo ormai decorso molto tempo, essa non ha a disposizione le certificazioni richieste, non essendo tenuta alla conservazione della predetta documentazione.
2.6. La contribuente non può sottrarsi all’assolvimento dell’onere sulla stessa incombente invocando la insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass. n. 23974 del 25/11/2010).
Peraltro, la contribuente non può invocare a supporto della propria tesi difensiva il lungo tempo trascorso, considerato che il credito di imposta è stato esposto nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 1993, mentre la istanza di rimborso è stata presentata solo in data 19.12.2001.
3. La sentenza impugnata, ritenendo provato il diritto al rimborso, non ha fatto corretta applicazione delle regole di riparto dell’onere della prova in materia di rimborso.
4. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria della Lombardia, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
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