CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2021, n. 7629
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso introduttivo tardivo di uno degli obbligati – Riqualificazione quale intervento volontario tardivo – Inammissibilità – Improcedibilità del ricorso in cassazione
Ritenuto che
M.G.G. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, unitamente al fratello G.G., l’avviso di rettifica valori, notificato in data 7.9.1990, relativo ad immobili dichiarati in atto di successione del defunto genitore A.G..
L’adita Commissione confermava la legittimità dell’avviso con sentenza n. 428/07/2004, passata in giudicato. L’Ufficio, pertanto, notificava l’avviso di liquidazione di maggior imposta di successione, nonché ai fini INVIM ed imposta ipocatastale.
Gli eredi G. proponevano ricorso avverso l’avviso di liquidazione, assumendo che l’Ufficio non aveva tenuto conto, in sede di liquidazione della sentenza definitiva, dei valori nel frattempo resisi definitivi nell’ambito di altri e separati giudizi riguardanti gli stessi immobili, violando così il disposto di cui all’art. 19, secondo comma, del d.P.R. n. 643 del 1973, inoltre aveva irrogato illegittimamente le relative sanzioni, in violazione del principio di intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, sancito dall’art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997. L’Ufficio costituendosi in giudizio eccepiva la tardività dei ricorsi, evidenziando l’inconferenza delle sentenze intervenute in altri contenziosi, ribadendo, altresì, la debenza delle sanzioni, in quanto le stesse non erano state irrogate ai ricorrenti nella loro qualità di eredi. La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 221/1/2020, accoglieva le impugnazioni assumendo la tempestività del ricorso proposto da G.G., e, pur rilevando la tardività del ricorso proposto da G.M.G., lo riqualificava quale intervento volontario tardivo ai sensi dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. 546 del 1992.
L’Ufficio proponeva appello, ribadendo l’inammissibilità del ricorso di G.M.G. per tardività e rilevando che i valori degli immobili erano divenuti definitivi in virtù del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale n. 428/07/04, e precisando che le sanzioni irrogate non dipendevano dallo status di eredi, ma scaturivano dal maggior valore accertato. L’adita Commissione accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio, riconoscendo dovute le imposte come liquidate, ma non anche le sanzioni.
M.G.G. ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo un solo motivo. Con riferimento al ricorso principale proposto da M.G.G., l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, depositando altresì ricorso successivo – da qualificarsi incidentale (v. Cass. n. 9682 del 2020) – per la cassazione della sentenza n. 243/26/16, affidato a due motivi.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso principale, M.G.G. denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in quanto i giudici del gravame, nonostante fosse stato esplicato da parte resistente come i valori dei cespiti indicati nell’avviso di liquidazione fossero stati definiti con pronunce passate in giudicato, hanno ritenuto che: “la circostanza che i valori dei beni caduti in successione siano stati poi valutati in altri procedimenti per altri tributi è ininfluente ai fini del presente giudizio”. Tale conclusione, secondo la contribuente, sarebbe senza dubbio illegittima, in quanto i valori oggetto di rettifica sarebbero stati definiti proprio ai fini INVIM, e quindi per la medesima imposta e tra le stesse parti, con la conseguenza che le suddette pronunce avrebbero dovuto essere considerate giudicato esterno da far valere nell’odierno giudizio. Sulla base delle esposte considerazioni sarebbe indubbio che i valori su cui calcolare le imposte dovute avrebbero dovuto essere quelli definiti tra le stesse parti in precedenza, a seguito delle pronunce n. 5/3/1999 della CTP di Foggia e n. 339/15/2002 della CTP di Bologna.
2. Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo che l’Ufficio aveva tempestivamente rilevato, quale specifico motivo di appello, la tardività del ricorso proposto da G.M.G. su cui la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di pronunciare. L’Agenzia delle entrate, nel corso del giudizio, non solo avrebbe ribadito la tardività del ricorso, ma avrebbe anche censurato la decisione di primo grado rilevando come la individuazione di un intervento volontario tardivo, ritenuto esistente dalla Commissione Tributaria Provinciale, fosse del tutto inammissibile ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n.546 del 1992. Ma, a tale riguardo, i giudici di appello avrebbero omesso ogni pronuncia, così violando l’art. 112 c.p.c.
3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 71 D.P.R. n. 131 del 1986, degli articoli 23 e 24 del d.P.R. n. 643 del 1972, degli articoli 51, 52 e 54 del d.lgs. n. 346 del 1990, nonché dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997. L’Agenzia delle entrate censura quanto affermato dalla Commissione Tributaria Regionale con riferimento alla asserita incertezza del quadro normativo sui valori da prendere in considerazione ai fini della quantificazione dei tributi, con conseguente inapplicabilità delle sanzioni.
Tale affermazione, secondo l’Ufficio, sarebbe errata, in quanto gli stessi giudici avrebbero spiegato come non sussistesse alcuna incertezza sui tributi da pagare, essendo intangibile il contenuto della sentenza definitiva n. 428/2004 della Commissione Tributaria Provinciale, laddove la sanzione doveva ritenersi accessoria al tributo ed era dovuta a prescindere dall’animus del contribuente.
4. Il Collegio preliminarmente rileva che verrà esaminato, per la ragione “più liquida” il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, in adesione alle esigenze di celerità di giudizio e di economia processuale di cui agli artt. 24 e 111 Cost. (Cass. n. 9671 del 2018; Cass. n. 23531 del 2016; Cass. n. 23271 del 2014).
Ciò premesso, il primo motivo di ricorso incidentale è fondato. Dall’accoglimento del mezzo consegue l’improcedibilità del ricorso principale, in ragione della inammissibilità dell’originario ricorso proposto dalla contribuente.
4.1. L’Agenzia delle entrate, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riportato in ricorso il contenuto del motivo di appello con il quale ha denunciato l’inammissibilità del ricorso proposto da G.M.G., lamentando l’errore in cui era incorso il giudice di primo grado, il quale, pur rilevando la tardività del ricorso introduttivo, aveva ritenuto di non dichiarare l’inamissibilità dell’impugnazione in ragione del “principio di conservazione degli effetti giuridici degli atti”, considerando quel ricorso quale intervento volontario tardivo, ai sensi dell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 546 del 1992. In particolare, l’Ufficio predicava che “pur tralasciando di considerare la non applicabilità del citato principio, tipico del diritto amministrativo, al processo tributario, non può sottacersi che l’intervento adesivo autonomo, disciplinato dall’art. 105 c.p.c. è escluso nel caso in cui il coobligato solidale abbia ricevuto la notifica dell’atto amministrativo, ma non lo abbia tempestivamente impugnato”.
A fronte di questi specifici motivi , i giudici di appello non hanno ritenuto di pronunciarsi, omettendo di valutare le censure proposte nel gravame, così incorrendo nel vizio motivazionale di cui all’art. 112 c.p.c.
Tuttavia, questa Corte, con riferimento alle conseguenze dell’accertamento della sussistenza del vizio “in procedendo”, ha precisato che: “Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificatasi l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto“. (Cass. n. 16171 del 2017).
Nella fattispecie, non è contestato che il giudice di primo grado abbia rilevato la tardività del ricorso proposto da M.G.G., ma ha ritenuto per il principio di conservazione di qualificare tale impugnazione come un intervento adesivo tardivo, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992.
L’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che: “Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza”.
Ai sensi dell’art. 105 c.p.c. sono consentite tre forme di intervento volontario in causa. L’intervento principale (ad escludendum) con il quale l’interveniente fa valere nel giudizio pendente una pretesa autonoma, relativa all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo, incompatibile con quella di tutte le originarie parti del giudizio. L’intervento adesivo autonomo, o litisconsortile, mediante il quale un soggetto fa valere un proprio diritto connesso per oggetto e/o per titolo a quello dedotto in giudizio, nei confronti di una soltanto delle parti oringarie. In tale ipotesi, l’interveniente si limita a sostenere la posizione di una delle parti già in giudizio, per la tutela di un proprio interesse tendendo a provocare un giudicato destinato a produrre benefici anche nei suoi riguardi. L’intervento adesivo dipendente, che si verifica quando il terzo non fa valere un proprio diritto nei confronti di alcuno, ma si limita a sostenere le ragioni di una delle parti in giudizio perché titolare di un rapporto strutturalmente dipendente da quello oggetto del giudizio. Tale ultimo tipo di intervento è dunque caratterizzato dal fatto che l’interveniente non rivendica un proprio diritto, come negli altri due tipi di intervento, ma assume una posizione subordinata alla parte della quale auspica e cerca di propiziare la vittoria. Nella fattispecie, emerge all’evidenza che l’intervento volontario, come qualificato dalla Commissione Tributaria Regionale, era nella sostanza una impugnazione principale dell’atto impositivo notificato alla contribuente, che doveva essere proposta necessariamente entro il termine di decadenza previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 pena l’inammissibilità della stessa, oltre al fatto che, anche a volerla qualificare come intervento volontario, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992 le parti “intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza”.
In sostanza, la natura impugnatoria del processo innanzi alle Commissioni Tributarie, la cui introduzione è subordinata ad un termine decadenziale posto nei confronti dei soggetti a cui sia stato notficiato un atto impositivo, consente l’intervento adesivo solo nel caso in cui non sia ancora decorso il termine per impugnare, ossia non sia scaduto il termine di sessanta giorni dalla notifica.
5. Il secondo motivo di ricorso incidentale è fondato.
La Commissione Tributaria Regionale afferma che: “Quanto poi alle sovratasse o sanzioni che dir si voglia, stando l’incertezza del quadro normativo sui valori da prendere in considerazione ai fini della quantificazione dei tributi si ritiene che non siano dovute”.
L’assunto è errato. Nella fattispecie, non è contestato che le sanzioni irrogate derivavano dalle sanzioni scaturenti dal maggior valore accertato irrogate a seguito di maggior imposta accertata e scaturenti dal mancato pagamento dell’avviso di liquidazione, né è contestato che il tale maggior valore si era reso definitivo in virtù del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale n. 428/07/04.
Secondo l’indirizzo ampiamente condiviso di questa Corte: “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. 472 del 1997, è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici” quali, ad esempio: 1) difficoltà di individuare delle disposizioni normative; 2) difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative e la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrative e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente” (Cass. n. 15452 del 2018).
Nessuno di tali fatti indice può ravvisarsi nella fattispecie in esame, atteso che le sanzioni sono state commisurate al nuovo accertamento dei valori, resi incontestabili con sentenza passata in giudicato.
6. In definitiva, va accolto il ricorso incidentale e dichiarato improcedibile il ricorso principale proposto da M.G.G., la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso originario proposto da G.G. e il rigetto del ricorso introduttivo proposto da G.G.. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, in ragione dell’andamento della lite e della peculiarità della vicenda processuale, mentre le parti soccombenti sono tenute al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate e dichiara improcedibile il ricorso principale proposto da M.G.G., cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’inammissibilità del ricorso introduttivo proposto da M.G.G. e il rigetto del ricorso introduttivo proposto da G.G..
Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna le parti soccombenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.