CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2021, n. 7676
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Risarcimento dei danni – Riduzione del budget – Non utilizzabile l’istituto del repechage poiché unica dipendente dello studio odontoiatrico – Poteri d’ufficio del giudice
Rilevato che
La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 197/2018 aveva rigettato l’appello proposto da G.A. avverso la decisione con la quale il tribunale di Castrovillari aveva rigettato la sua domanda diretta ad accertare la illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo con conseguente risarcimento dei danni nonché condanna alla reintegrazione e pagamento delle retribuzioni maturate dal dì del licenziamento alla reintegrazione oltre che al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione delle mansioni svolte ( differenti rispetto a quelle stabilite nel contratto stipulato tra le parti).
La Corte territoriale aveva ritenuto formato il giudicato implicito sulla prova della esistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento consistita nella riduzione del budget; aveva poi valutato non utilizzabile l’istituto del “repechage” poiché la G. era unica dipendente dello studio odontoiatrico. Aveva infine ritenuto formato il giudicato implicito circa l’assenza delle allegazioni sulla natura delle mansioni svolte e su quelle rivendicate.
Avverso detta decisione la G. proponeva quattro motivi di censura cui resisteva lo Studio medico odontoiatrico Dr P..
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 2 co.1 I.n. 604/1966, (art. 360 co.1 n., 3 cpc) per la mancata comunicazione del licenziamento in forma scritta e la illegittimità del licenziamento orale. La censura è inammissibile in quanto risulta essere estranea alle questioni sottoposte alla corte di appello e quindi nuova.
A conferma di ciò, la stessa ricorrente, nell’elencare i motivi della impugnazione ( pg.2 ricorso) nulla dice rispetto a tale profilo di censura anche omettendo di indicare ove fosse eventualmente contenuto ed indicato. La carenza di specificazione della attuale doglianza oltre che la errata sussunzione della stessa nel vizio denunciato, rendono la stessa inammissibile.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c.) per aver il giudice di primo grado pronunciato ultra petita ovvero extra petita.
La censura è inammissibile per assoluta genericità della stessa in quanto non soltanto non è esattamente indicato in essa il contenuto della denunciata ultrapetizione, ma neppure è inserita l’originaria domanda al fine di poterne valutare la corrispondenza o meno con la pronuncia resa.
3) La terza censura ha ad oggetto la violazione dell’art. 421 c.p.c.(ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c..) per non aver, il Giudice, utilizzato i poteri d’ufficio per la ricerca della verità materiale. Anche tale doglianza è affetta da genericità e carenza di specificazione poiché non contiene precise indicazioni circa le circostanze o i profili della questione posta, sui quali la corte territoriale avrebbe dovuto esercitare i poteri d’ufficio. Deve peraltro ribadirsi che tali poteri vanno comunque esercitati allorché il giudice “reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, (…il Giudice) può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento (Cass.n. 7694/2018).
Tali condizioni non risultano allegate nel caso in esame.
4) Con l’ultimo motivo è denunciata la omessa insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.). Il motivo è inammissibile poiché, secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( Cass. n.26774/2016; Cass. n. 5528/2014).
Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure. L’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento della decisione di rigetto dell’appello, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dalla ricorrente.
Il motivo si appalesa quindi inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente nella misura di cui al dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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