CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2019, n. 29849

Adempimenti contabili e fiscali – Omissione – Responsabilità del consulente – Assenza di culpa in vigilando – Disapplicazione delle sanzioni

Rilevato che

– in controversia avverso un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per il recupero del credito IVA indebitamente utilizzato in compensazione dal contribuente negli anni 2006 e 2007, con applicazione di interessi e sanzioni, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente limitatamente alle sanzioni applicate, riconoscendo la responsabilità del consulente del Manasse; sosteneva la CTR che i giudici di primo grado avevano pronunciato ultra petita, ovvero in assenza di domanda avanzata sulla disapplicazione delle sanzioni che, in ogni caso, erano dovute per culpa in vigilando del contribuente che aveva omesso di verificare l’effettiva esecuzione degli adempimenti fiscali da parte del consulente;

– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 99 cod. proc. civ. là dove la CTR aveva erroneamente escluso la proposizione della domanda di disapplicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

2. Il motivo è fondato e va accolto essendo pacifico tra le parti che il contribuente aveva avanzato domanda di disapplicazione delle sanzioni. Tanto si desume sia dalla circostanza dedotta in ricorso dal contribuente, di avere sviluppato nei propri scritti difensivi «un autonomo punto di diritto specificamente rubricato “Sull’inapplicabilità delle sanzioni”» (ricorso, pag. 4), sia dal contenuto del controricorso, in cui la difesa erariale, nel riassumere i fatti di causa, dà espressamente atto che nel ricorso alla CTP il contribuente aveva lamentato «l’inapplicabilità delle sanzioni in forza della causa di non punibilità prevista dall’art. 6 comma 3 del D.lgs. 472/1997» (controricorso, pag. 2).

3. In applicazione del principio di diritto secondo cui, «Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017, nonché Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015), ritiene il Collegio di pronunciare nel merito accogliendo anche il secondo e terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, e 6, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 nonché dell’articolo unico della legge n. 423 del 1995, sostenendo che la CTR aveva erroneamente confermato l’applicabilità delle sanzioni rilevando una responsabilità colposa del contribuente, che nella specie andava esclusa per il comportamento fraudolento del consulente del medesimo (secondo motivo), nonché vizio motivazionale ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di appello omesso di valutare le risultanze probatorie, tra cui la sentenza penale di condanna del professionista, da cui emergeva il comportamento chiaramente fraudolento tenuto dal medesimo.

4. E’ principio giurisprudenziale assolutamente condivisibile, quello secondo cui «In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo (di regola l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il profilo della “culpa in vigilando”» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28359 del 07/11/2018, Rv. 651225), «dovendo l’inadempimento medesimo essere imputabile in via esclusiva all’intermediario» (così in motivazione nella citata sentenza).

5. Nella specie, la CTR ha fatto mal governo dell’enunciato principio di diritto in quanto, pur in presenza di un comportamento manifestamente fraudolento del professionista incaricato dal contribuente di provvedere agli adempimenti contabili e fiscali, consistito nella falsificazione della documentazione (ricevute di pagamento a mezzo F24) consegnata al contribuente a dimostrazione del regolare adempimento degli obblighi fiscali, e quindi in evidente assenza di culpa in vigilando, ha ritenuto comunque applicabili al Manasse le sanzioni amministrative pecuniarie, e ciò in violazione delle disposizioni censurate.

6. Ne consegue che il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, potendo questa Corte decidere nel merito in assenza di ulteriori necessari accertamenti di fatto, con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della controricorrente rimasta soccombente, mentre vanno compensate quelle dei gradi di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.